Potevano essere salvati
"Erano dodici. Morti come muoiono i dimenticati. Trascinati nell'abisso di un continente che volta le spalle. Sette sono affogati in mare. Cinque mentre venivano riportati in Libia. Erano dodici, ma non sono più un numero. Anche i morti hanno diritto a un nome. Ora possiamo darglielo, per sei di loro anche un volto: Omar, Mogos, Hzqiel, Hdru, Huruy, Teklay, Nohom, Kidus, Debesay e i tre Filmon". Comincia così l'articolo della cronaca spietata del naufragio della notte dopo Pasquetta che nessuno doveva sapere e tantomeno raccontare. Come quella di tanti altri barconi sepolti dalle onde del mare. Nello Scavo (Avvenire) ha frugato tra le sue fonti, ha ricostruito la vicenda con il contributo delle dichiarazioni maltesi, libiche e italiane, ha sentito il parere dei giuristi britannici e, nero su bianco, lo riferisce alla nostra coscienza. Ancora una volta è una storia tutta sbagliata perché non è destino ma volontà chiara che condanna a morte la disperazione degli affamati e dei mendicanti di libertà, di respiro, di fraternità. E le parole sono appena sufficienti a raccontare i fatti ma non più a definirli o a rovistare tra le ragioni. Ci rimane un "perchè" in fondo all'anima. Con tanto di punto interrogativo. E l'eco indomabile di quella certezza che rimorde: potevano essere salvati.