Tra le corsie di un ospedale turco
Se è vero che "fa più rumore un albero che cade che un'intera foresta che cresce", è altrettanto vero che, talvolta, anche un albero bello cade in silenzio. Ma noi non dobbiamo permetterlo. Noi tutti dovremmo sentire la vocazione a dare voce alla vita, perché si moltiplichi e diventi pienezza. Come è stato per Murat Dilmener, un medico 78nne di Istanbul caduto vittima del coronavirus domenica scorsa. Era conosciuto come "il medico dei poveri". Sempre accanto a chi occupa i vagoni della terza classe. Nel 2004 subì un pesante processo perché in un ospedale pubblico aveva curato gratuitamente ammalati che non erano nelle condizioni di pagare. Quel che è "peggio" è che dalle indagini risultò che il medico era riuscito a coinvolgere ben 135 colleghi in questo "spreco di risorse pubbliche". Ma anche quelle accuse si rivelarono false e furono tutti assolti. Della comunità cristiana siro-ortodossa, il dr. Murat Dilmener era stato il primo medico cristiano ad essere assunto come professore in una facoltà universitaria turca. I suoi ex studenti e i suoi colleghi lo hanno ricordato con una piccola manifestazione davanti all'ospedale. E io respiro la santità della porta accanto fatta di silenziosa e feconda quotidianità.