Voce del verbo taliare
Nadia Terranova è la penna che descrive meglio ciò che è avvenuto sull'ennesima nave della disperazione. Da La Stampa di ieri, trascrivo.
Taliare, in siciliano, significa guardare. È un verbo usato nella parte occidentale dell'isola (chi ha letto Andrea Camilleri lo sa, è un verbo ricorrente nei suoi libri) e viene dalla lingua siculo-araba, parlata in Sicilia e a Malta tra il nono e il quattordicesimo secolo. Attaláya' in arabo e atalayar in spagnolo sono verbi imparentati – l'ultimo, in particolare, indica esplicitamente il senso di quel mirare: atalaya è la torre da cui si spia l'orizzonte per controllare arrivi, assalti, pericoli. Ieri, intorno a questo preciso campo semantico, sono accaduti due fatti diversi e speculari: mentre in piazza San Giovanni a Roma il sindacalista Aboubakar Soumahoro portava in piazza il popolo degli "invisibili", nel Mediterraneo un mercantile chiamato Talia soccorreva cinquantadue migranti, "vedendoli" nel senso più autentico del termine. Li taliava e riteneva impossibile non prendersene cura (…). Sarà difficile dimenticare la foto più emblematica di quelle ore: un marinaio regge tra le braccia un uomo denutrito e terrorizzato. Guardando quella foto, ci accorgiamo di conoscere bene quella scena, è la stessa che ha dato origine alla nostra civiltà. Tutti noi siamo nati da quell'andare avanti che non lascia indietro i più deboli. Il marinaio è Enea che fuggendo da Troia in fiamme porta sulle braccia il padre Anchise, infermo, perché chi è sano non può lasciare indietro chi è malato, chi è in piedi non può dimenticarsi di chi è a terra. È la legge del mare, ma pure quella della terra, quella che ci obbliga a taliare, a non scappare da soli, a non navigare da soli, a soccorrere navi e affollare piazze per vedere gli invisibili e prendere parola insieme a loro. Fragole. Le donne invisibili della migrazione stagionale è un libro appena uscito per Luiss University Press di Chadia Arab, geografa e ricercatrice francese di origine marocchina. Parla delle "donne delle fragole" che hanno rotto l'omertà sulle violenze sessuali subite durante lo sfruttamento della loro manodopera. "Vite a volte spezzate, logorate, maltrattate, rovinate dal tempo e dalle difficoltà", le definisce Soumahoro nella prefazione, mentre la ricerca di Arab porta alla luce criticità e orrori di una migrazione "usa e getta". (...) Quando Troia brucia, quando la nave affonda, quando lo sguardo manca, bisogna fare solo una cosa: taliare e andare fino in fondo, finché a terra o in mare, invisibile e calpestato e ignorato, non sarà rimasto più nessuno (Nadia Terranova, Quel marinaio che riscatta la nostra civiltà, in La Stampa del 6 Luglio 2020).