Servi delle parole
Ieri sera ho incontrato un poeta. O almeno questa è la definizione che lui dà di se stesso e che in molti gli riconoscono. Ha pubblicato tanti libri in versi e ne declama le pagine. Nonostante l'evidenza, a me piace dire che Franco Arminio è piuttosto un servo delle parole. E noi oggi abbiamo una necessità urgente di gente che si ponga al servizio delle parole senza essere giocoliere delle parole, senza camuffarle, senza tramutarle in pietre. Perché le parole hanno bisogno di liberare la propria forza che va oltre significato, etimologia e semantica. Dobbiamo ritornare a credere nelle parole-ponte, nelle parole amiche, nelle parole vive. Il fruttivendolo che al mercato libera le parole che invitano ad acquistare la merce esposta, ha parole più vive di un politico che dalla tribunetta di un teatro si serve di parole vili per denigrare il proprio avversario e incitare a votare la sua stessa persona o delle parole-social impregnate di odio e vanità o delle stesse parole con costrutto ad effetto. Il fruttivendolo del mercato è molto più poeta perché libera la forza delle parole in modo creativo e, anche se le tiene al filo del suo stesso interesse commerciale, le reinventa. Fino a materializzare negli altri, immagini di arance succose e di prugne dagli effetti miracolosi. Metafore, immagini, figure. Se apriamo gli occhi (e le orecchie) ci rendiamo conto che nuotiamo in un mare di poesia e che siamo invitati a lasciarci cullare dalle sue onde. Mittenti e destinatari di parole-poesia sono ruoli interscambiabili. A noi spetta il potere di diventare servi delle parole senza servirci di esse, senza deformarle, senza irriderle, senza offenderle, senza ferirle. Servi, insomma, di parole vere.