Sessantanni di disastri. È ora di voltare pagina
Gentile dott. Wolfensohn e dott. Bossone, nel giorno del sessantesimo compleanno della Banca mondiale mi rivolgo a Lei, ed ai rappresentanti italiani nell'istituzione che Lei dirige. Il mio non è un biglietto di auguri. Vorrei ricordarvi quali sono le responsabilità e le cose che ci si aspetta da una istituzione che raggiunge questa età.
La Banca mondiale investe 30 miliardi di dollari l'anno con il mandato specifico di alleviare la povertà e avrebbe tutto il potenziale di creare con questi soldi servizi sanitari, educativi, programmi agricoli ed infrastrutture adeguate per i più poveri del mondo. Invece mi accorgo con rammarico che continua a finanziare progetti energetici di sfruttamento dei combustibili fossili nei paesi poveri, spesso condotti dalle multinazionali più ricche del mondo, come la Shell o la BP o l'Agip, che hanno dimostrato nel corso degli ultimi decenni di non avere alcun impatto sulla lotta alla miseria. Più dell'80% dell'energia prodotta, con i prestiti della Banca ai governi o direttamente alle imprese, è infatti esportata, usata dai paesi ricchi, inclusa l'Italia. Non serve ai poveri! Forse ancora più grave è il fatto che i soldi investiti dalla Banca in questo settore hanno lasciato una scia di disastri ambientali e sociali enormi, dalle fuoriuscite di cianuro in Perù o Kyrghizistan alle espropriazioni delle terre e l'inquinamento delle scarse risorse acquifere nei progetti petroliferi del Ciad. Gli esempi abbondano. Sessant'anni dovrebbe essere l'età della saggezza. La Banca Mondiale invece sta ostinatamente recitando ancora il mantra della «crescita economica» ai critici delle sue politiche sostenendo che i progetti petroliferi o minerari aiuteranno inevitabilmente i poveri. Ma non è stato ormai dimostrato che 1.5 miliardi di persone, nei 50 paesi al mondo, dipendenti maggiormente da petrolio, gas e miniere, vivono con meno di 2 $ al giorno? Perché la Banca Mondiale non vuole trarre le dovute conseguenze dai dati degli ultimi 40 anni che rivelano che paesi del Sud del mondo con poche risorse naturali hanno visto una crescita due o tre volte maggiore di quelli ricchi di risorse?
Sono constatazioni che prendo dal rapporto Extractive industry review (Eir), preparato dall'autorevole Emil Salim, frutto di tre anni di ricerche e analisi in tutto il mondo, anche con il coinvolgimento della società civile Internazionale e delle popolazioni colpite dagli effetti disastrosi dei progetti.
Le raccomandazioni di questo rapporto sono a mio giudizio un'opportunità immensa per bloccare una volta per sempre i finanziamenti da parte della Banca per l'estrazione di petrolio e carbone a vantaggio soltanto delle grandi multinazionali e dei consumatori del nord del mondo e potenziare invece i finanziamenti necessari per progetti reali di lotta alla povertà.
Questo rapporto dimostra oggettivamente che la Banca non ha portato sviluppo quando ha investito solo sui combustibili fossili, ma ha creato più povertà, debito e conflitti.
Nei suoi 60 anni di attività la Banca mondiale ha sostenuto compagnie petrolifere con un passato equivoco ed in paesi a regimi dittatoriali. In paesi con scarsa democrazia, nessuna trasparenza e poco rispetto per i processi legali, investire in petrolio, gas e progetti minerari ha portato pochi benefici ai poveri, ma anzi ha aggravato la loro situazione. Mi preoccupa molto la paurosa distruzione dell'ambiente che i progetti promossi dalla Banca provocano. E questo è strettamente legato alla crescente pauperizzazione. Lo hanno capito le migliaia di sfortunati che ogni giorno muoiono vittime di progetti di sviluppo sbagliati. Perché, a sessant'anni, la Banca mondiale si ostina a non capirlo?
Dall'anno della firma della Convenzione sul clima (1992) non è diminuita infatti la percentuale di risorse finanziarie dei paesi del Nord - finanziatori della Banca mondiale - che confluiscono nel settore estrattivo.
Ma i poveri non sono i più vulnerabili ai cambiamenti climatici? So che numerosi studi sostengono che un innalzamento della temperatura di più di due gradi al di sopra delle medie del periodo pre-industriali avrà rischi maggiori sui poveri. Non si tratta di impedire ai paesi poveri di usare le loro risorse. Credo che petrolio, gas e miniere non siano prodotti fini a se stessi, ma mezzi per provvedere energia nella lotta contro la miseria. E se questo non avviene la Banca mondiale deve ripensare tutto il modello di sviluppo.
Sessant'anni di disastri, pagati soprattutto dai poveri, sono più che sufficienti!
Forse la raccomandazione più importante del rapporto è che la Banca mondiale dovrà ridurre progressivamente fino all'annullamento, gli investimenti nella produzione petrolifera entro il 2008, ed eliminare fin d'ora i sussidi per il carbone. La Banca dovrà devolvere parte di queste risorse finanziarie liberate a favore di investimenti per le energie rinnovabili, progetti di riduzione delle emissioni di gas, investimenti in tecnologia pulita e in conservazione dell'efficienza energetica. Il mercato mondiale riceverà così un segnale importante che i soldi della più grande agenzia di sviluppo al mondo non andranno più a finanziare le grandi imprese petrolifere multinazionali.
I paesi ricchi e finanziatori della Banca mondiale, come l'Italia, devono invertire la rotta di 360 gradi e iniziare a premiare quei paesi che rispettano i diritti l'ambiente - condizioni essenziali per una vera lotta alla povertà - e non coloro che chiedono garanzie finanziarie per coprire il rischi con soldi pubblici.
Sessant'anni è il momento giusto per fare un bilancio. O oggi la Banca inizia a diventare più saggia e a imparare dai disastri del passato, o è meglio che vada in pensione. Centinaia di organizzazioni, movimenti di base, religiosi, parlamentari che in tutto il mondo chiedono alla Banca mondiale ed ai suoi direttori esecutivi di adottare le raccomandazioni del rapporto Eir. È questione di vita o di morte per due miliardi di uomini e donne che non hanno futuro!