Una domanda a Unicredit
Nella Relazione 2003 del governo risulta ancora la presenza, tra le cosiddette &_#8220;banche armate&_#8221; (come Banca di Roma, S. Paolo Imi, Banca Intesa, Sociiti Ginirale e Bnl che hanno negoziato il 75% delle operazioni autorizzate) di Unicredit che nel maggio 2001, aderendo alla pressione della Campagna Banche Armate ha annunciato di non voler più sostenere esportazioni di armi.
Tra le esportazioni che riguardano Unicredit va segnalata quella verso lo Zambia, uno dei paesi verso i quali lo stato italiano ha in atto procedimenti di annullamento del debito estero a condizione che non acquistino armi.
Nella lista compaiono anche due autorizzazioni verso il Pakistan, già paese canaglia da anni in conflitto con l&_#8217;India per la questione del Kashmir. C&_#8217;è anche un flusso armato verso la Malesia in cui, come ripetutamente denunciato da Amnesty International, vi sono gravi violazioni dei diritti umani come tortura, esecuzioni sommarie e sparizioni.
Secondo la Campagna Banche Armate i dati sono preoccupanti perché una parte dell&_#8217;export avviene in violazione della legge 185/90 che cerca di regolamentare il commercio delle armi vietandolo con paesi che offendono i diritti umani o sono in conflitto.
Come cittadini operatori di pace e come correntisti e clienti sensibili alla trasparenza e all&_#8217;etica della responsabilità, chiediamo spiegazioni sull&_#8217;impegno annunciato e sulle modalità di uscita dall&_#8217;immorale commercio delle armi. Esso non solo alimenta gli interessi di pochi ma mantiene accesi circa 40 conflitti nel mondo, con la morte di milioni di persone ogni anno, e può favorire pericolosi fenomeni di terrorismo e di delinquenza.
Sergio Paronetto(Verona)