EDITORIALE

La fabbrica dell’illegalità

Luigi Ciotti

Il 7 dicembre scorso a Cinisi (Palermo) è morta la mamma di Peppino Impastato. Ai funerali avranno partecipato in tutto 150 persone, pochissimi: di Cinisi non c’era! Eppure dovremmo ricordarci di questa donna coraggiosa, che ha saputo opporre la parola della legalità alla vendetta. La mafia non è stata sconfitta. La delinquenza organizzata continua ad assestare i suoi colpi spesso con la connivenza del nostro silenzio, distrazione, indifferenza. La situazione di Napoli non rappresenta un caso isolato nello scenario del nostro Paese. Tutt’altro. Prima della mattanza di Napoli avevamo avuto in Italia, in un anno, un incremento dell’83% di morti di mafia (dati ISTAT) e, anche se non mancano autorevoli richiami all’impegno per la legalità, non riusciamo altrettanto esplicitamente a denunciare chi fabbrica l’illegalità con presunte forme di legalità. Oggi siamo chiamati a difenderci non soltanto dalla mafia, ma soprattutto dalla sua cultura, da quella mafiosità che costituisce il bacino di coltura della mafia stessa. Il silenzio che circonda i 1500 suicidi avvenuti negli ultimi anni per storie di usura è motivo di “vergogna” per una società che vanta primati di civiltà. Le vittime dell’usura sono tanti ostaggi della mafia e della violenza. Dobbiamo chiederci con forza: perché non si mette in moto la macchina imponente dello Stato per combattere la mafia? Assistiamo a troppi ammiccamenti, contiguità, occhiolini… che favoriscono la crescita, la proliferazione e la sostanziale intangibilità della mafia.
Ma anche il panorama della situazione sociale non è confortante. Sembra che coloro che fanno fatica a vivere siano abbandonati a se stessi e che addirittura la forbice che li taglia fuori dalla società si incattivisca ancora di più. Questo vale per tutte le forme di nuove povertà che la società produce. I Centri di Permanenza Temporanea, ad esempio, sono un’offesa al diritto e sono immorali prima ancora che illegali. Dobbiamo ribadire con forza e convinzione che titolare dei diritti umani è la persona umana e non i cittadini, la vera cittadinanza è quella umana e multinazionale. Il compito delle società evolute è di conferirla a chi non l’ha mai avuta e restituirla alle persone cui è stata sottratta. Ma anche qui come in tanti altri casi ci sentiamo rispondere che “non ci sono soldi” e ci tocca prendere atto che le leggi del diritto diventano secondarie rispetto alle leggi dell’economia. Salvo poi scoprire che paghiamo un leasing alla Gran Bretagna per l’acquisto dei temibili 24 Eurofighter, che non conosce battute d’arresto il nostro programma di investimenti per la “sicurezza” e che nello scorso mese di luglio abbiamo varato la più grande portaerei della storia italiana. Nel frattempo alle persone affette da AIDS che finiscono in carcere viene negato nei fatti il diritto alla continuità della cura. Per le persone anziane sieropositive non ci sono posti nelle strutture sanitarie protette. L’ombra del carcerario si allunga sempre di più sul sociale per i tossicodipendenti e non solo. Cambia lo scenario della prostituzione che prende le contromisure verso la legislazione vigente e si svolge prevalentemente “indoor”. Ma ci scandalizza sempre più la maniera in cui apertamente viene disatteso l’articolo 3 della Costituzione.
Di fronte a questo sgretolarsi del diritto dobbiamo denunciare la crisi di legalità che sta vivendo il nostro Paese. Chi nella politica si limita a gestire l’esistente, non fa politica perché non sogna, non esprime una tensione, una profezia, una passione. La politica che non sa trasformare non è politica. Quanta tristezza oggi nel constatare che la politica viene ridotta a ricerca di leadership invece che essere promozione di partecipazione. In questo senso abbiamo il dovere morale di lavorare tutti insieme perché la politica sia il futuro tra libertà e responsabilità. È la scelta che ci viene indicata anche dalla testimonianza di vita di una donna coraggiosa come Felicia Impastato.

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