Quando Dio mandò Giona a Ninive
Un vero peccato che normalmente la gente associ il nome di Giona semplicemente alla sua scomoda permanenza di tre giorni nel ventre della balena. Peccato perché ben altre potrebbero essere le considerazioni su un evento che, se si apre e si chiude nel giro di due pagine (quattro brevi capitoli), contiene spunti di riflessione e lezioni importanti e profonde. A cominciare da quell’inattesa chiamata a recarsi a Ninive “la grande città”, la capitale della temibile Assiria, per richiamare i suoi abitanti alla conversione. Sfido io che Giona dovesse voltare le spalle al Signore dirigendosi altrove, a Tarsis (sulle coste meridionali della Spagna) che si trova esattamente all’estremo occidentale di Ninive che è a oriente! Il più lontano possibile da Ninive, ma anche il più distante possibile da Dio e dalla sua volontà. Per quale motivo poi Giona rifiutasse tale comando è tutto da comprendere. Che già sapesse, come dicevano i padri e San Girolamo, che gli abitanti di quella città si sarebbero convertiti, segnando così più che una pessima figura agli israeliti di dura cervice? Oppure è più realistica la seconda ipotesi per la quale Giona comprende il non senso di un tale comando? Che senso aveva, infatti, recarsi tanto lontano a predicare la salvezza a uomini e donne che erano già abbondantemente tagliati fuori dalla salvezza per etnia? Tutta la xenofobia e il nazionalismo di Giona si ribella di fronte a una tale pretesa e non l’accetta. È come se a un padano convinto e impenitente, iscritto al partito di Bossi dalla prima ora, il suo stesso leader dovesse dire che bisogna lavorare duro per risollevare le sorti del meridione d’Italia e che faremmo bene ad accogliere gli stranieri che arrivano semplicemente perché ce ne dobbiamo prendere cura. “Che vadano tutti in malora” risponderebbe il Signor Brambilla in stretto dialetto lombardo! E penserebbe che “al leader gli ha dato di volta il cervello”. E sarebbe come se al capofila dei cardinali conservatori Dio chiedesse di spalancare le porte del Vaticano a un gruppo di islamici e, in segno di dialogo e fratellanza, lasciar loro costruire una moschea entro le mura leonine.
Un Dio imprevedibile
Ancora una volta Dio gioca la carta dell’imprevedibile, dell’inatteso, de “i miei pensieri non sono i vostri pensieri” e si sporge verso i più lontani, i tagliati fuori. Nella raffigurazione di Michelangelo nella Cappella Sistina, in cui il ricino alle spalle e il grosso pesce ci rendono il profeta assolutamente identificabile, Giona ha l’espressione tipica di colui che è sorpreso, terrificato e riluttante al tempo stesso. Si ritrae con tutto il corpo e cerca di sfuggire, quasi di sgattaiolare lontano da quella presenza cui volge lo sguardo per carpirne la prima distrazione e farla franca. Giona non ci sta! Cerca quasi una scusa banale. Le mani e le dita sembrano indicare la terra, la tomba, la morte che dice di preferire piuttosto che sottomettersi
all’inspiegabile, incomprensibile, intollerabile… disegno di Dio. Ma il ricino quello è bello! I recenti restauri della Cappella Sistina hanno posto in evidenza come alcune delle sue foglie comincino a cambiare colore e a seccarsi. Anch’esse per ordine di Dio, lo stesso Dio. La teologia di Michelangelo, espressa con i colori dell’affresco, ci insegna che, più che nella permanenza nel ventre del pesce, il messaggio del libro di questo profeta minore è tutto in quelle ultime frasi: Dio disse a Giona: “Ti sembra giusto essere così sdegnato per una pianta di ricino?”. Egli rispose: “Sì, è giusto; ne sono sdegnato al punto da invocare la morte!”. Ma il Signore gli rispose: “Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: e io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?” (Giona 4, 10-11). La misericordia ha il sopravvento. La giustizia di Dio sulla giustizia degli uomini. Prodigiosamente i niniviti scommetteranno sul “pentimento” di Dio e faranno essi stessi penitenza convertendosi. Un miracolo che vale molto di più di tante “sospensioni delle leggi della natura” che si leggono nel Libro. Qui è il cuore dell’uomo, di un’intera grande città a rivolgersi nuovamente verso Dio.
L’ultimo aspetto che lo spazio ci concede di sottolineare è il decreto del re che, dopo aver chiesto segni di penitenza per uomini e “bestie”, invita ognuno a convertirsi: “dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani” (3, 8). La violenza fa capitolo a sé. Essa è un peccato distinto dagli altri perché più degli altri sconvolge la vita sociale e… la pazienza di Dio.
Carissimo Giona,
quante domande avrei da farti ora che anche tu finalmente conosci la verità per intero, la vedi in tutta la sua trasparenza e puoi interpellare Dio per chiedergli spiegazione di quelle che, francamente, anche a noi sembrano bizzarrie. Ma almeno vorrei pregarti di infondere nei credenti la convinzione che non ti ha animato, ma che alla fine ti è servita di lezione. Insegnaci a confidare più nel cuore di Dio che nelle nostre miopie. Ad abbandonarci prima di tutto al suo sogno per l’umanità, piuttosto che alle nostre visioni parziali. Ad accogliere insomma l’invito ad arrischiarci verso le nuove Ninive del terzo millennio per chiederne la conversione completa soprattutto dalla violenza. Il mito della “città grande” si è pervertito nell’idolo della ricchezza senza freni. Impera la teologia deviata dell’accumulo. Miete vittime ogni giorno la convinzione radicata che tutto il mondo debba convertirsi a questo pensiero unico del mercato tanto più che si teorizza che solo su questa via vi sarà anche la salvezza dei più poveri. È un fondamentalismo senza esplosioni, ma con tante vittime! Predichiamo falsità. Vomitiamo menzogne suadenti per imbonire i semplici dalle televisioni e dai giornali. Davvero non sembra esserci scampo mentre il debito estero strozza intere popolazioni e le regole della Banca Mondiale uccidono silenziosamente, anonimamente… con la benedizione dei grandi della terra.
Caro Giona, dei tre giorni di cammino che servivano per percorrere tutta la città, al re di Ninive fu sufficiente che tu ne percorressi solo uno. Si convertì chiedendo a tutti di fare penitenza e di abbandonare la condotta violenta. Noi pervicacemente proseguiamo in questo comportamento violento e dissoluto. Ninive è oggi il nome di un villaggio globale in cui la violenza del terrore e della guerra, del mercato e del disprezzo, sono parte integrante di fondamentalismi difficilmente scalfibili. Insegna, ti prego, ai credenti la forza di una parola che non si piega deferente di fronte ai potenti, che non spegne i toni per timore di vedere diminuiti diritti acquisiti o storici privilegi. Nelle nostre chiese permane la tentazione di rifugiarsi a Tarsis pur di non andare verso Ninive, ma ci si rende conto che “siamo tutti sulla stessa barca” e che se non compiamo il dovere della verità da servire senza sconti e del diritto da difendere per tutti, affondiamo inesorabilmente. Non c’è grosso pesce che tenga!
Caro Giona, tu che ormai la lezione l’hai capita, dacci una mano ad accogliere la tenerezza di Dio che non risparmia nessuno e stringe di commozione al suo petto anche i più incalliti delinquenti, i malfattori e persino coloro ai quali continuiamo a negare la comunione piena. Non c’è peccato che meriti un Dio che volti definitivamente le spalle! Non c’è umanità corrotta che non possa essere risanata! Non c’è comunione infranta che non possa essere riconciliata! Anche se agli occhi nostri, come ai tuoi, non c’è barlume di redenzione per Ninive, aiutaci a sperare contro ogni speranza. Aiutaci a fidarci di Dio. Perché noi, figli dell’efficienza, facciamo conto sulle possibilità illimitate del progresso, della scienza, della tecnologia. A loro abbiamo consacrato il nostro lavoro, per loro bruciamo l’incenso del tempo, in loro confidiamo per affermare la nostra invincibilità. Poi ci succede che il programma del computer non funzioni, l’ascensore si blocchi, la torre di controllo vada in tilt e ci scopriamo credenti all’incontrario nelle nostre imprecazioni. Qualcuno prega. Ma mi sembra una conversione d’accatto, aperto opportunismo. Siamo ridotti male, vero Giona? Peggio che a Ninive. Rendici capaci d’ascoltare una voce interiore e profonda che ci riconduca semplicemente verso la fonte della nostra stessa umanità per intercettare una briciola della misericordia di Dio ed estenderla sul mondo. Avremo in cambio la gioia semplice di un ricino alla cui frescura anche noi troviamo riparo.