Umanità ingannevole
Le guerre sono tutte ingiuste? La tentazione di rispondere affermativamente a questa domanda, senza lasciare spazio a dubbi o esitazioni, è stata fortissima fin dal mese scorso, quando abbiamo deciso di occuparci dell’ultimo libro di Michael Walzer Sulla guerra (Laterza, 2004).
Qualcosa, però, ci ha fermato la penna. Ci ha impedito di bocciare il libro senza leggerlo e di commentarlo a senso unico. È stata forte, infatti, la responsabilità di capire perché, in un momento di guerra globale internazionale, si sente di nuovo l’urgenza dei distinguo tra guerre buone e cattive. Perché un intellettuale autorevole che applaude Kosovo e Afghanistan,
fa tirare a molti un sospiro di sollievo.
Per evitare che, a colpi di filosofia, si giustifichi l’orrore e il terrore, abbiamo chiamato un amico della pace, che della condanna alla teoria della guerra giusta si è occupato spesso e volentieri. Si tratta di Danilo Zolo, professore ordinario di Filosofia del diritto dell’Università di Firenze e collaboratore de Il manifesto.
Professor Zolo, non è quantomeno il momento sbagliato per un rilancio della teoria della “guerra giusta”? Ci vuole una certa imprudenza per lanciarsi nella difesa dei conflitti armati degli ultimi dieci anni. O no?
È una vera e propria tendenza quella che vede riproporre oggi, negli Stati Uniti, la dottrina della guerra giusta. Anche altre pubblicazioni di autori statunitensi o al più inglesi vanno nella stessa direzione, fino ad arrivare alla lettera di sessanta intellettuali guidati da Walzer di un paio di anni fa, in cui si sosteneva che la guerra contro il terrorismo era una guerra giusta. Va sottolineato, quindi, che la millenaria dottrina della guerra giusta, che era una vecchia dottrina cattolica, risalente a Sant’Agostino, venga ripresa negli ultimi dieci o anche vent’anni soltanto da autori anglosassoni.
Questo è indicativo di cosa, secondo lei?
Il punto è che quella dottrina era una dottrina teocratico-imperiale che supponeva l’unità del mondo cattolico sotto l’autoritas spirituale e temporale del pontefice e dell’imperatore. Ed è significativo che una dottrina imperiale di giustificazione della guerra venga oggi riproposta essenzialmente dal mondo anglosassone e soprattutto statunitense.
Un’acrobazia presente nel libro di Walzer e davvero imbarazzante è il disinteresse quasi completo che mostra rispetto al legame tra legittimità e “giustezza” della guerra. Cioè, guerre illegittime possono essere comunque giuste. Come si fa a disinteressarsi a questi livelli del ruolo dell’Onu e a
pensare che alcune guerre vadano fatte a tutti i costi da chiunque abbia la forza di farle?
Nel terzo capitolo del mio libro Cosmopolis ho sottolineato come l’etica militare di Walzer non tiene conto minimamente del diritto internazionale. L’intero diritto internazionale moderno condanna la cosiddetta legittima difesa preventiva, assolutamente esclusa dall’articolo 51 della carta delle Nazioni Unite. Tutto l’impianto teorico del pensiero di Walzer, invece, gira attorno al fatto che la difesa preventiva contro il nemico, anche contro un nemico che non abbia minimamente attaccato il Paese, ma abbia lanciato minacce generiche o non abbia intenzione di attaccare il Paese, è legittima. C’è un’altra nozione fondamentale su questo del pensiero di Walzer, che è la supreme emergency. Lui sostiene che in situazioni di grave pericolo, quando c’è un avversario che minaccia i valori fondamentali del consorzio umano e quindi incute paura e terrore, qualsiasi strumento militare può essere moralmente usato. Anche strumenti terroristici. Questo è chiarissimo in Walzer. È evidente come questo si adatti perfettamente a giustificare le attuali strategie belliche degli Stati Uniti.
Un altro punto chiarissimo in Walzer è la convinta giustificazione delle cosiddette “guerre umanitarie”.
Un paio di anni fa ho scritto un libro chiamato Chi dice umanità. In quarta di copertina il titolo continua: chi dice umanità intende ingannarti. È un detto famoso di Schmitt. In quell’occasione ho dedicato molte pagine a mostrare che l’intera argomentazione per cui le guerre fondate su ragioni umanitarie siano legittime è del tutto insostenibile. Poniamo anche che la motivazione sia autentica: noi intendiamo salvare la vita di un certo numero di cittadini della Repubblica Federale Jugoslava perché c’è un’autorità politica che minaccia gravemente i loro diritti fondamentali. Allora interveniamo. Ma per salvare quei diritti noi decidiamo di sopprimere i diritti fondamentali di migliaia di persone innocenti, bombardando quel Paese in modo indiscriminato. Chi ha l’autorità morale e politica di sopprimere la vita di migliaia di persone innocenti, carbonizzandole ad esempio, per salvare i diritti degli altri? Questo è un punto eticamente decisivo. Nessuno ce l’ha. Potrebbe averlo, semmai, una autorità sopranazionale assolutamente imparziale, la quale fa indagini accuratissime in loco e poi, con il consenso dell’intera comunità internazionale, decide un intervento sotto il controllo di questa autorità. Non certo un’alleanza come la NATO, che non ha nessun titolo per decidere di intervenire.
Esprimendosi sulla situazione post 11 settembre, Walzer propone una distinzione tra Afghanistan e Iraq, promovendo la prima guerra e facendo un po’ marcia indietro sulla seconda. Questa distinzione regge?
Sulla guerra in Iraq la posizione di Walzer sembra ammorbidirsi proprio perché siamo di fronte a un uso della forza militare lesivo dell’intero impianto del diritto internazionale e con le conseguenze che tutti stiamo notando: si sono spalancate le porte dell’inferno. Ma il percorso che ci ha portati all’Iraq è iniziato da almeno un decennio. E comunque Walzer non ha mai suggerito il ritiro delle truppe. A guerra iniziata, ha comunque detto che bisogna continuarla. Ad ogni modo, la distinzione tra Afghanistan e Iraq non ha alcun fondamento né dal punto di vista del diritto internazionale, né sul piano etico, perché gli USA hanno abusato di alcune risoluzioni del Consiglio di Sicurezza per fare una guerra preventiva, senza nessuna giustificazione legale. Questo vale certamente per l’Iraq, ma non meno per l’Afghanistan, perché non c’è nessuna prova esibita per cui il governo talebano fosse responsabile dell’aggressione agli Stati Uniti dell’11 settembre. Ciò non esclude i sospetti, anche miei personali. Ma le prove non sono state esibite. Per cui siamo nella più totale illegalità.
Lei è stato in Afghanistan. Che situazione ha trovato fra i civili? Visto che Walzer ha scritto che si è trattato di una guerra giusta, in linea di principio dovrebbe aver migliorato le condizioni di vita tra i civili e comunque non dovrebbe averle peggiorate. Ma nella realtà?
Nella realtà il controllo politico sull’Afghanistan, a oggi, si limita alla sola capitale, Kabul. Per il resto siamo ancora di fronte a uno dei Paesi più poveri del mondo, con una aspettativa di vita di 47 anni per le donne e 46 per gli uomini, con un tasso di analfabetismo che tra le donne raggiunge il 95 per cento, donne che indossano ancora il burqa, a parte un migliaio di esponenti dell’alta borghesia della capitale. Il territorio è ancora violato da almeno ottomila mine antiuomo e i mutilati sono a migliaia. È questa la realtà dell’Afghanistan che io ho visto e della quale in questo momento non ci si sta occupando affatto.