Perdonami se ti chiamo così, anche se col Marocco non hai nulla da spartire.
… Il mondo ti è indifferente. Ma forse non ne ha colpa. Perché se,
passandoti accanto, ti vede dormire sul marciapiede, è convinto che lì,
sulle stuoie invendute, giaccia riversa solo la tua maschera. …
Dimmi, marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un’anima pure tu?
Quando rannicchiato nella tua macchina consumi un pasto veloce,
qualche volta versi anche tu lacrime amare nella scodella? Conti anche tu
i soldi la sera come facevano un tempo i nostri emigranti? E a fine mese
mandi a casa pure tu i poveri risparmi, immaginandoti la gioia di chi
li riceverà? È viva tua madre? La sera dice anche lei le orazioni per il figlio
lontano e invoca Allah, guardando i minareti del villaggio addormentato?
Scrivi anche tu lettere d’amore? Dici anche tu alla tua donna
che sei stanco, ma che un giorno tornerai e le costruirai un tukul tutto
per lei, ai margini del deserto o a ridosso della brughiera?
Mio caro fratello, perdonaci. Anche a nome di tutti gli emigrati clandestini
come te, che sono penetrati in Italia, con le astuzie della disperazione,
e ora sopravvivono adattandosi ai lavori più umili. Sfruttati, sottopagati,
ricattati, sono costretti al silenzio sotto la minaccia continua di improvvise
denunce, che farebbero immediatamente scattare il “foglio di via”
obbligatorio. Perdonaci, fratello marocchino, se, pur appartenendo
a un popolo che ha sperimentato l’amarezza dell’emigrazione, non abbiamo
usato misericordia verso di te. Anzi ripetiamo su di te, con le rivalse
di una squallida nemesi storica, le violenze che hanno umiliato e offeso
i nostri padri in terra straniera.
Perdonaci, se non abbiamo saputo levare coraggiosamente la voce
per forzare la mano dei nostri legislatori. Ci manca ancora l’audacia
di gridare che le norme vigenti in Italia, a proposito di clandestini
come te, hanno sapore poliziesco, non tutelano i più elementari diritti
umani, e sono indegne di un popolo libero come il nostro. Perdonaci,
fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure l’ospitalità
della soglia. Se nei giorni di festa, non ti abbiamo braccato per condurti
a mensa con noi. Se a mezzogiorno ti abbiamo lasciato sulla piazza,
deserta dopo la fiera, a mangiare in solitudine le olive nere della tua miseria.
Perdona soprattutto me, vescovo di questa città, che non ti ho mai fermato
per chiederti come stai. Se leggi fedelmente il Corano.
Se osservi scrupolosamente le norme di Maometto.
Se hai bisogno di un luogo, fosse anche una chiesetta, dove poter riassaporare,
con i tuoi fratelli di fede e di sventura, i silenzi misteriosi della tua moschea.
Perdonaci fratello marocchino. Un giorno, quando nel cielo incontreremo
il nostro Dio, questo infaticabile viandante sulle strade della terra,
ci accorgeremo con sorpresa che egli ha… il colore della tua pelle.
don Tonino Bello
P.S. Se passi da casa mia, fermati.