Le Chiese e l’apartheid

Tra tutte le Chiese cristiane presenti negli Stati Uniti, soltanto i Quaccheri, i Mennoniti e la Church of Brothers, che anzi aiutarono gli schiavi a fuggire, costituendo una rete clandestina di appoggio, la Underground Railroad, possono dirsi innocenti dal peccato di compromissione con la schiavitù: nonostante l’esistenza, in alcuni casi, di documenti ufficiali di condanna – per la Chiesa cattolica, ad esempio, le Bolle di Pio V e Urbano VIII, scritti proprio per l’evangelizzazione nel Nuovo mondo –singoli e comunità religiose possedevano schiavi secondo il costume generalizzato. Durante le celebrazioni, agli schiavi erano riservati “recinti” speciali, spesso fuori della Chiesa, o al piano superiore, per marcare la loro inferiorità. Uno stato di segregazione che restò in vigore fino alle lotte del movimento nonviolento per i diritti civili di Martin Luther King.

È per questo che sono nate le Chiese nere (la prima nel 1787), che ancora oggi riuniscono la quasi totalità della popolazione afroamericana – maggioritari i battisti, i metodisti e l’area dei carismatici – e sono molto influenti. Sono Chiese “separate”, perché la scelta di staccarsi è una scelta dei neri, non imposta dai bianchi come la segregazione.