TESTIMONI

Un teologo contro Hitler

Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer in un recente libro di Eraldo Affinati.
Andrea Bigalli

Dietrich Bonhoeffer L’intreccio delle circostanze che tessono le esistenze degli individui con la storia conosce momenti e opportunità diverse. La vita può transitare al riparo da grandi decisioni, senza coinvolgimenti che vedano il destino personale inserirsi in realtà più grandi, che abbiano il respiro degli eventi, trascendendo il livello della cronaca. Ma accade, in tempi particolari, che si sia di fronte all’enormità delle vicende collettive e non sia possibile nascondersi, sul piano delle responsabilità che si hanno verso la propria coscienza. Allora si può capire l’autentico valore che si ha, si è davanti al problema di esprimere la propria dignità: e bisogna capire cosa si è disposti a pagare per farlo.
Eraldo Affinati, nel suo Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer, identifica nel percorso biografico del teologo protestante, morto martire nel lager di Flossenburg il 9 aprile del 1945 per la sua opposizione al nazismo, un momento capace di essere sintesi di tutta una vita, un tempo di decisione in cui far rispecchiare quanto si crede e spera. Questo momento è il 20 giugno del 1939, quando Bonhoeffer, inviato negli Stati Uniti – quindi ormai in salvo - su iniziativa di amici, decide di ritornare in Germania, ben consapevole di quanto lo attende, ma convinto che il proprio posto è comunque quello in cui opporsi al male, nel suo proprio contesto, là dove lo si è visto sorgere, là dove ha snaturato e compromesso ciò che più si conosceva e si amava, la propria patria. La vita è il dispiegarsi delle proprie responsabilità; l’unico modo possibile per spenderla dignitosamente è vivere attraverso gli altri, per gli altri. Sul piano della fede questa consegna di sé all’Altro esprime l’ultimo consapevole atto di amore rivolto al mondo, nella sequela del Cristo, Dio capace di salvare non nell’onnipotenza ma con la sua fragilità di uomo, un uomo che ha vissuto i propri giorni come un dono all’umanità, in quella pro-esistenza, esistenza-per, annunciata dal cristianesimo come unica possibilità di salvezza.

Resistere al male

Affinati nel suo libro parla con passione di Bonhoeffer, incontrato come autore nel percorso che lo ha portato a occuparsi della Shoà con estrema competenza, mettendolo in grado di consegnarci un libro per molti aspetti formidabile come Campo del sangue, in cui descrive il suo viaggio verso Auschwitz, vero cuore nero del mondo in questa sofferta contemporaneità: ed è proprio la passione che differenzia il suo testo da una semplice biografia. Ripercorrendo fisicamente le tappe dell’itinerario umano del figlio della borghesia tedesca, del pastore, dell’oppositore al nazismo, nei luoghi concreti, riletti con l’occhio dell’oggi da un letterato che non vuole, per programma, sentirsi distante o neutrale da quanto racconta, Un teologo contro Hitler fa – a sua volta – appassionare alla vicenda di Bonhoeffer perché ce lo riconsegna come uomo, dopo che la teologia ce lo ha fatto conoscere come uno dei maestri della postmodernità religiosa. E l’uomo è narrato nel suo essere lacerato dall’esigenza di decidere, lui, pacifista convinto, ammiratore di Gandhi, pronto a diventarne discepolo in un viaggio in India già deciso e preparato, a entrare nel gruppo che progetta l’attentato a Hitler.
Il pastore Bonhoeffer motiva la decisione come ultima possibilità di fermare l’orrore: vedere un pazzo scagliare un tram in mezzo alla folla non chiede a chi si sente responsabile di fronte a ciò che accade di intervenire per toglierlo dalla guida? La resistenza al male come modalità di espressione dell’amore che sottostà al senso della fede, un amore che definisce questa fede nel suo senso laico eppure propriamente cristiano.
Uno dei meriti del teologo tedesco è quello di essersi posto il problema dell’identità laica del mondo contemporaneo, un mondo che non sembra aver più bisogno di Dio perché ormai adulto, autonomo dal suo Creatore fino al punto di poterlo pensare inesistente se non inutile. L’idea del divino va quindi recuperata non dove l’umano è più fragile ed è facile parlare di Dio in forma consolatoria, con il rischio di farne “un tappabuchi”: non quindi alla periferia dell’esperienza umana, ma dove essa conosce la sua forza, al centro. Lì Dio può essere conosciuto e sperimentato come un’Alterità con cui confrontarsi in piena consapevolezza, con amore e per amore, in piena gratuità. Solo in questo amore, sperimentato nel rapporto di fede ma vissuto nel coraggio di verificarlo nella vita, contro una storia spesso ostile, la realtà di Dio può uscire dal rischio di essere un’astrazione per ridivenire una fondazione possibile per l’esistenza, ma questa volta su basi che non discriminino l’ateo: la fede si definisce come potenzialità e volontà di consegnarsi all’altro\Altro, la Parola diviene un linguaggio di comunicazione che non esclude ma apre a un dialogo che va al di là della potenzialità dei linguaggi umani, perché è alfabeto dello Spirito.
Bonhoeffer scrive la sua teologia più significativa in un contesto estremamente significativo. La sua opera più importante è costituita dall’epistolario: dal maggio 1943 al gennaio 1945 lettere e scritti arrivano in maniera anche avventurosa agli amici, ai parenti, alla fidanzata. Dalla marginalità assoluta del carcere scaturisce una delle pagine più belle della spiritualità del ‘900: la resistenza al male diviene, al termine di quanto è possibile fare, la resa davanti alla volontà di Dio, che, intesa nella sua amorevolezza, non può spaventare, ma diviene invito a una speranza assoluta. “Sulla strada della libertà la morte è la festa suprema”: è degli ultimi frammenti contenuti in Resistenza e resa, che è appunto il titolo del suo epistolario. Il senso del proprio limite, della propria impotenza, è via di salvezza, se intesa non come espressione di debolezza ma nella comprensione del proprio essere come il Dio di Gesù Cristo, che in tale limite educa al rapporto con il mondo, con l’umano altrui e proprio, con il Creatore.

L’inizio della vita

Resistenza e resa contiene passaggi dalla forza e dall’attualità impressionanti. Nel piccolo saggio che lo introduce, Dieci anni dopo: Un bilancio sul limitare del 1943, Dietrich descrive il suo tempo, ma nei termini di una critica al totalitarismo che non gli fa perdere neanche un filo di attualità. Quando parla “…di un processo di involgarimento che interessa tutti gli strati sociali…” e pone il problema di una qualità dell’esistenza umana da ricercare e realizzare in se stessi per contrastare quelle forze che vorrebbero omogeneizzare e conformare (“La qualità è il nemico più potente di qualsiasi massificazione”), ci dice del tempo presente e degli strumenti per affrontarlo: “Le quantità si contendono lo spazio, le qualità si completano a vicenda”. La grandezza della testimonianza non si appassisce con lo scorrere dei tempi. Non è la sorte possibile per un uomo che si congeda dalla vita con queste parole: “Questa è la fine. Per me, l’inizio della vita” e, dirette al vescovo Bell, “Fagli sapere che io credo nel principio della fratellanza cristiana universale al di sopra di qualsiasi interesse nazionale e credo che la nostra vittoria è certa”.
Affinati conclude il suo libro con una semplice e preziosa annotazione su quanto ha imparato dal teologo tedesco: “Negli ultimi tempi posso dire di averlo frequentato a lungo. È stata una delle più grandi avventure spirituali della mia esistenza. Cosa ho imparato? Spendersi, contar niente, sporcarsi le mani, lasciarsi trafiggere dal punto di vista altrui, essere pronto a perdere tutto e ricominciare da capo. Dietrich Bonhoeffer mi ha insegnato la qualità dell’impegno quotidiano, l’importanza del lavoro che abbiamo scelto, l’umiltà del confronto e la difesa della dialettica, pensare se stessi in un contesto del quale assumersi la responsabilità…la nobiltà delle cose semplici e chiare. Grazie a lui ho riparlato, ancora una volta, con mio nonno, fucilato da un camerata di Eberhard Bethge (suo fraterno amico) e, nello stesso tempo, ho stretto la mano alla Germania. Si chiama così il cristianesimo che ci invita a stare nel mondo con tutt’e due le gambe?”.
Credo di sì. Quando mi hanno chiesto cosa pensavo di questo libro ho risposto da lettore e studioso attento di Bonhoeffer: “Affinati ha capito. Ha capito quest’uomo e quanto ha cercato di lasciare di se”. Per questo ci regala un libro su cui vale la pena di investire tempo e passione.

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