CHIESA

Tra Vangelo e moschetto

Il ruolo dei cattolici italiani del movimento per l’obiezione al militare. A colloquio con don Giuseppe Pasini.
Diego Cipriani

Nella storia trentennale del diritto dell’obiezione di coscienza al servizio militare ci sono anche i cattolici. Accanto a quella “laica”, infatti, è innegabile il ruolo avuto dalla Chiesa italiana, più o meno ufficiale, nella diffusione della pratica dell’obiezione di coscienza anche se non pochi limitano tale ruolo allo sviluppo del servizio civile.
Monsignor Giuseppe Pasini è stato per venticinque anni ai vertici della Caritas Italiana, l’organismo pastorale dei Vescovi italiani, che nel 1977 aprì con la Difesa una convenzione per accogliere obiettori di coscienza. È certamente uno dei testimoni privilegiati per capire quale ruolo hanno avuto i cattolici in questi decenni.

A Roma, nel 1976
Nel 1976, il Convegno “Evangelizzazione e Promozione Umana” di Roma indicò il servizio civile “come scelta esemplare e preferenziale dei cristiani”. Questa dichiarazione in pratica veniva dopo 4 anni l’approvazione della legge 772 che aveva riconosciuto l’obiezione di coscienza nel nostro Paese ma veniva anche dopo 13 anni dal processo a Padre Balducci e 11 anni alla “Lettera ai giudici” di don Milani. Un ritardo troppo lungo?
“La proposta rimbalzata nell’Assemblea del Convegno EPU” risponde don Pasini “da parte di una delle venti commissioni di lavoro, fu accolta da un lunghissimo applauso: il relatore della sintesi dei lavori, Padre Sorge, correttamente, volle inserire questo particolare nel testo finale e, pertanto, la proposta divenne ufficiale nella Chiesa Italiana. La Caritas Italiana diede tempestivamente attuazione alla proposta, con il consenso, anzi con la sollecitazione del Segretario della CEI, Mons. Gaetano Bonicelli. Va detto però, che l’iniziativa manteneva tutta la sua carica di novità e di profezia nella Chiesa Italiana. Non si era avvertito, in quel momento - neppure da parte dei Vescovi - che l’avvio di questa esperienza giovanile degli obiettori, non era facilmente armonizzabile con la permanenza ‘ufficiale’ dei cappellani militari, inquadrati a tutti gli effetti tra gli ufficiali dell’esercito. Perciò il pronunciamento del Convegno che pur può apparire in ritardo rispetto alle prese di posizione di P. Balducci e Don Milani, in realtà era una proposta profetica ed era largamente in anticipo rispetto alla maturazione culturale della Chiesa italiana nel suo complesso.”
Tuttavia, con quel pronunciamento del Convegno EPU comincia la storia dell’impegno della chiesa italiana nella promozione dell’obiezione di coscienza e del servizio civile. Chiediamo a don Pasini un giudizio complessivo di questa quasi trentennale storia. “Considero questo capitolo della vita ecclesiale italiana un vero ‘evento’ e un grande dono dello Spirito, per una serie di motivi: anzitutto perché ha consentito di tener viva l’attenzione pubblica ecclesiale e civile sul tema della pace e della nonviolenza ed ha aiutato a cogliere le contraddizioni tra la dichiarata volontà di pace delle forze politiche e governative e alcune scelte troppo remissive, come ad esempio la guerra contro l’Iraq; inoltre perché ha permesso a decine di migliaia di giovani, di vivere un’esperienza ricca e fruttuosa di servizio ai poveri, aiutandoli a maturare, nel confronto con i problemi quotidiani della gente, con le loro relative limitazioni e sofferenze, uno stile di vita sobrio ed essenziale, contrapposto al consumismo imperante; infine perché ha evidenziato che sui valori della pace, della nonviolenza del rispetto del creato è possibile costruire un’alleanza allargata a tutti gli uomini di buona volontà, al di là degli schieramenti religiosi e ideologici. Per completare il quadro, devo aggiungere però, che l’esperienza all’interno della Chiesa italiana, è stata apprezzata più per le opportunità di servizio offerto ai giovani, che per la carica innovativa e profetica che l’obiezione assumeva nel contesto culturale italiano.”
Aggiunge: “Salvo poche eccezioni, l’obiezione di coscienza, è stata guardata con un certo sospetto, come qualche cosa di destabilizzante rispetto all’ordine costituito. La cultura dominante che vedeva nell’esercito e nel suo potenziale di guerra il baluardo più sicuro di difesa della patria, non è stato scalfito. Il metodo della difesa nonviolenta, non è mai stato preso in seria considerazione, come vera alternativa alla difesa armata.”

Don Milani

Loreto, Palermo...
A ben guardare il seguito, nel convegno ecclesiale di Loreto, nel 1985, ci fu una specie di “retromarcia” sull’obiezione di coscienza, allorquando il Papa, nel suo discorso, mise in parità il servizio militare e quello civile (un mese dopo sarà la Corte Costituzionale a sancire tale parità). Per non dire che, nel convegno ecclesiale di Palermo, nel 1995, non ci fu alcun accenno ufficiale al tema. Un passo indietro, rispetto al 1976, dunque?
“I passi indietro” secondo Pasini “nei convegni di Loreto e di Palermo, rispetto a quello di Roma del “76”, per quanto riguarda l’obiezione di coscienza al servizio militare rispondono ad una lettura oggettiva dei fatti. In realtà l’equiparazione in dignità, tra la realtà del servizio civile e quella del servizio militare, emersa nel discorso del Santo Padre a Loreto, va considerata, a mio giudizio, un elemento positivo: non v’era mai stato prima di allora un tale pronunciamento, nei discorsi ufficiali ad alto e altissimo livello. Sconcerta un po’ di più il silenzio totale sull’argomento, registrato nel convegno di Palermo.”
“Si deve però ricordare” precisa don Pasini “che le comparazioni fra i tre convegni fatte ‘a bocce ferme’ non fotografano la realtà. Il convegno del 1976 era stato celebrato in un periodo storico di grossi fermenti culturali e politici, nel quale potevano essere più facilmente tollerate e anche incoraggiate posizioni avanzate anche dentro la Chiesa. Difficilmente si può paragonare quel contesto storico con quello dell’85 e ancora meno con quello del ‘95. Forse ci si poteva attendere egualmente dalla Chiesa italiana un colpo d’ala più coraggioso e profetico, nel contrastare la logica della forza e il clima di rassegnazione dominante nei due decenni successivi. Ma anche la Chiesa ha problemi di equilibrio tra forze al proprio interno. E forse le spinte innovative non sono risultate sufficientemente convincenti negli anni ‘80 e ‘90. D’altronde non si deve dimenticare l’appannamento degli stessi obiettori di coscienza dentro la Caritas, rispetto ai fermenti iniziali. Forse bisogna concludere che eravamo entrati in un’altra stagione e che tutti, più o meno, ne erano condizionati.”
Tuttavia, bisognerà attendere il 1991 perché il documento “Educare alla legalità” della Commissione Giustizia e Pace della Cei dedichi un intero paragrafo all’obiezione di coscienza. Distinguendo, però, tra l’obiezione all’aborto (indicata come “tassativa” per un cristiano) e l’obiezione al servizio militare (resa “facoltativa”). Una distinzione che regge, a suo avviso? “Educare alla legalità” è stato un ottimo e provvidenziale documento: grazie soprattutto al prezioso apporto della componente laica operante nella Commissione ecclesiale “Giustizia e pace”. Il diverso peso dato all’obiezione di coscienza all’aborto, rispetto a quello dato all’obiezione al servizio militare è comprensibile sotto il profilo storico, nel senso che mentre la Chiesa da sempre è contro l’aborto, l’obiezione di coscienza al servizio militare è recentissima e non ancora assimilata dalla cultura cattolica. Direi anche che il diverso rilievo dato dalla Chiesa è giustificabile sotto il profilo etico se si tiene presente che il servizio militare non è di per sé un omicidio, né un atto di guerra: è al più un servizio “multiuso”, affidato alla struttura militare - cioè è fruibile per l’esercizio della guerra, come per scopi umanitari in casi di calamità - anche se conosciamo tutti il rischio e l’ambiguità dell’uso delle armi.”
L’interesse dei cattolici, o almeno di alcuni ambienti ecclesiali, al tema dell’obiezione di coscienza ha contribuito in passato a far crescere il sospetto sulla “lealtà” dei cattolici nei confronti dello Stato: basterebbe leggere alcune opinioni di esponenti politici “laici”, non ultimo Spadolini. Quanto c’è di vero in tutto ciò? Forse il “date a Cesare” e il “obbedite piuttosto a Dio” hanno colpito molto più al di fuori che all’interno della chiesa? Risponde don Pasini: “Sotto questo sospetto di “slealtà” dei cattolici nei confronti dello Stato, c’è un retaggio storico, che continua a pesare nella coscienza di tanti “laici”. Per molti decenni, successivi all’unità d’Italia, lo Stato è stato considerato dalla Chiesa italiana usurpatore e nemico e ai cattolici è stato proibito di collaborare e di entrare in politica. Il Concordato ha aggiustato i rapporti, tra la Chiesa e lo Stato, ma in molti cittadini del fronte laico il sospetto è rimasto nonostante l’apporto leale e determinante dei cattolici nella costruzione dello Stato moderno.”
Precisa don Pasini: “Pesa pure una visione riduttiva di difesa dello Stato. Lo Stato, prima che come territorio, va concepito come popolazione, come comunità di persone. Il concetto di nemico, in questa accezione, non si può restringere solo a chi tenta di violare l’integrità del ‘sacro suolo della patria’, ma va esteso anche e soprattutto a quanto insidia la vita, l’integrità, lo sviluppo delle persone, in particolare delle fasce deboli. La Corte Costituzionale ha più volte precisato che i giovani obiettori, impegnati a difendere i diritti dei poveri, dei disabili, dei malati, degli anziani ecc. e a sostenerli, con l’obiettivo di una loro integrazione sociale, rispondono pienamente al dovere costituzionale della difesa della patria. Gli obiettori lo hanno capito, ma i non addetti ai lavori forse no.”

Tra il Papa e l’Ordinariato
A questa punto, la domanda è d’obbligo: “In molti si sono chiesti in passato, come mai non ci sia mai stata un’udienza degli obiettori cattolici da parte del Santo Padre. Lei che risposta si è dato?” “Io stesso” confessa don Pasini “mi sono più volte rammaricato che non abbia avuto risposta affermativa la richiesta di un’udienza particolare riservata agli obiettori. Indubbiamente un incoraggiamento del Padre comune avrebbe costituito una spinta psicologica notevole per migliaia di giovani che hanno scelto questa strada di servizio ai fratelli, nella piena legalità e addirittura all’interno di una serie di progetti pastorali diocesani. Le ragioni della mancata udienza andrebbero richieste ad altri.” E poi incalza: “C’è per fortuna ancora tempo per realizzare nel prossimo futuro quello che non è stato concesso in passato. Il tempo disponibile però è ristretto. Nel 2006, o anche prima, gli obiettori non ci saranno più. Bisognerebbe che gli attuali responsabili della Caritas e della Chiesa italiana si attivassero. Sarebbe utile però verificare, prima di ‘muoversi’, se gli attuali obiettori di coscienza sono ancora interessati a questo evento, come lo erano i giovani che li hanno preceduti nei decenni passati.”
Si diceva, prima, dei cappellani militari. Ebbene, la presenza dell’Ordinariato militare e la sua crescente legittimazione avvenuta negli ultimi decenni in quale modo ha influenzato il giudizio della chiesa “ufficiale” sul tema dell’obiezione di coscienza e, più in generale, della pace?
Ammette don Pasini: “La risposta a questa domanda è difficile, giacché l’influsso dell’ordinariato militare sulla maturazione culturale e sugli orientamenti pastorali della Chiesa, appartiene alle “segrete cose”. Io non sono un esperto di storia militare, ma penso che dopo Costantino, la Chiesa si sia sempre preoccupata di essere presente nelle strutture militari, sia per contribuire e ad attenuare la durezza degli interventi bellici sia per sostenere i giovani militari sotto il profilo pastorale e religioso.
Le modalità di questa presenza non sono un dogma: possono cambiare. Sollecitazioni, in tal senso, sono venute da più parti dopo il Concilio. È possibile che la considerazione goduta nel governo della Chiesa dall’ordinariato militare e dai cappellani militari, abbia avuto una qualche influenza sull’accoglienza meno entusiastica riservata agli obiettori. Loro, per il momento, dispongono di buoni sacerdoti che li assistono e li formano, e questa è la cosa essenziale. È vero però che si tratta per ora di sacerdoti, “sine titulo”. Qualora gli obiettori riuscissero ad avere dei sacerdoti “togati” o addirittura un proprio “ordinario”, come i militari, anch’essi forse avrebbero la loro influenza nella vita della chiesa.” E conclude: “Per il momento è sufficiente che lavorino in pace: l’umiltà e il nascondimento non guastano mai.”

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