APRILE 2005

Bonhoeffer al tempo dei teocons

A cura di Alberto Conci

Fare memoria, a sessant’anni dalla morte, di Dietrich Bonhoeffer, quest’uomo buono che visse la propria fede fino al martirio, non significa solo scegliere di non consegnarlo al passato, celebrandolo purché non ritorni; piuttosto significa accettare di lasciarsi inquietare dalle sue parole e dalla sua vita, accogliendone una duplice eredità.
La prima sul piano teoretico: ci sono categorie della teologia di Bonhoeffer che non solo non sono tramontate, ma continuano a essere fortemente provocatorie, e per questo andrebbero recuperate e riscoperte in una situazione nella quale riaffiorano tentazioni apologetiche. I grandi temi, spesso solo abbozzati, del rapporto con il mondo divenuto adulto, della debolezza di Dio, della tensione fra ultimo e penultimo, della salvezza, della fedeltà al Vangelo, del senso e del valore delle relazioni con l’altro e con Dio, solo per dirne alcuni, potrebbero essere di nuovo fecondi in un tempo come il nostro, nel quale si cercano sicurezze all’interno di una religione aggressiva che usa la verità come un maglio.
La seconda è invece l’eredità sul piano dell’etica politica, dove le provocazioni di Bonhoeffer in ordine alla nonviolenza, alla resistenza al male, alle devastazioni provocate dalla stupidità, all’assunzione di colpa, in definitiva alla responsabilità, mantengono tutta la loro attualità di fronte al tentativo, oggi così frequente, di giustificare qualsiasi nefandezza richiamandosi a una caricatura della responsabilità politica: “Chi – scrive Bonhoeffer –, sapendo che la corresponsabilità per il corso della storia gli viene imposta da Dio, non permette che nulla di quanto accade lo privi di essa, costui saprà individuare un rapporto fruttuoso con gli eventi storici, al di là della sterile critica e del non meno sterile opportunismo”.
A quest’uomo, che pochi mesi prima di morire scrisse alla fidanzata “io credo che i cristiani che stanno con un solo piede sulla terra staranno con un solo piede anche in paradiso”, dovremmo tornare a guardare, poiché, come ebbe a dire Sperna Weiland, “egli è alle nostre spalle, ma è ancora davanti a noi”.

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