Ognuno faccia la sua parte
La preoccupazione per una nuova guerra del Golfo ha portato una delegazione di 30 persone fra parlamentari e rappresentanti di Ong in Iraq agli inizi di dicembre.
Gli obiettivi: portare solidarietà alla popolazione civile, la guerra e i suoi figli colpiscono soprattutto i civili, l'Iraq né e un evidente esempio; raccogliere informazioni indipendenti sulle possibili conseguenze umanitarie di un nuovo conflitto; sollecitare il governo irakeno al rispetto del diritto internazionale dell'uomo e dei popoli e alla collaborazione con gli ispettori dell'Onu; invitare all'avvio di un reale processo di democratizzazione del paese.
L'incontro con la realtà irakena ci ha permesso di leggere alcuni fatti, di incrociare, anche se per poco, la vita quotidiana di quel popolo, di incontrare tra gli altri le autorità locali, non il governo ma il presidente e rappresentanti del parlamento locale, di dialogare con il portavoce degli ispettori dell'Onu, con i rappresentanti dell'Unicef e del programma umanitario in Iraq, delle ONG presenti sul territorio, con il vescovo ausiliare caldeo di Baghdad Mons. Slamon Warduni
Alcune considerazioni sono emerse.
L'occidente e la democrazia, l'occidente e la liberazione dei popoli camminano veramente insieme? Ci hanno detto: Sappiamo di essere un popolo in regime dittatoriale, di essere schiavi, ma non crediamo che l'occidente sia preoccupato della nostra liberazione, ci pare sia più interessato alle nostre risorse.
L'embargo è uno strumento di politica internazionale ancora sostenibile in Iraq? Ci hanno semplicemente mostrato la devastazione procurata all'economia irakena in questi anni; i segni sono chiari e evidenti nei volti dei piccoli e dei grandi, degli uomini e delle donne. Ancora una volta i potenti si sono ben protetti da ogni rischio.
La cultura è uno strumento di pace e di costruzione del futuro? Ci hanno detto che con la guerra del golfo e con l'embargo sono state in buona parte distrutte le scuole: alla guerra e alla violenza piacciono gli ignoranti.
La guerra resta l'unica soluzione a questo "problema Iraq"? Resta forse la più sbrigativa e la più inutile delle soluzioni, anche se la più preparata e gettonata sui fronti contrapposti. L'importante è che non la si spacci come lotta al terrorismo e come liberazione di un popolo o dell'occidente dal pericolo islam.
Perché due pesi e due misure? Il problema palestinese, che mai era stato una preoccupazione particolare per Saddam, riemerge come bandiera contro l'occidente. E' chiaro che chiedere all'Iraq il disarmo quasi totale e contemporaneamente armare Israele non da credito, giustamente, alla politica americana e dell'occidente.
La delegazione è rientrata in Italia il 5 dicembre, in due, don Fabio e don Renato di Pax Christi, ci siamo fermati in Iraq ancora alcuni giorni. Il nostro obiettivo era incontrare e portare solidarietà alle comunità cristiane locali. Da loro e dalle famiglie che ci hanno ospitato abbiamo colto: la squisita ospitalità del popolo irakeno, caratteristica di cui vanno molto fieri; il desiderio le esperienze di dialogo fra cristiani e musulmani; la fierezza per la tradizione culturale e il fatto di essere comunità cristiane antichissime; la possibilità di essere dalla parte del popolo con la solidarietà concreta e l'aiuto alle famiglie, e con una cultura e spiritualità cristiana ritenuta patrimonio per l'intero paese; l'appello a tutte le chiese a non lasciarli soli in questo momento difficile.
Concludo con le parole di mons Jacques Isaac, rettore del Babel College, facoltà di teologia e filosofia in Baghdad: "Grazie della vostra visita e del vostro coraggio, lo avete fatto per mostrare il vostro amore cristiano e la vostra solidarietà. Noi cristiani esistiamo da 2000 anni e rimanere qui, fedeli a Gesù Cristo ci costa, ma lo faremo. Voi fate la vostra parte lì dove abitate".
Ognuno faccia la sua parte, in ogni luogo della terra, perché la guerra non devasti ancora una volta un popolo e l'umanità intera.