Alla guerra con armi italiane
In un momento drammatico, in cui sembra ormai imminente la guerra all'Iraq, addirittura con la possibilità di ricorrere all'arma atomica, può sembrare riduttivo e anche ridicolo tornare a parlare della proposta di modifica della legge 185/90, quella che regolamenta in Italia l'export della produzione bellica. Può sembrare. Ma invece non è così: perché c'è una stretta connessione, un legame profondo tra i diversi elementi di questa militarizzazione crescente in cui tutti siamo immersi.
Da quando abbiamo avviato le prime iniziative contro l'ipotesi della guerra all'Iraq , i risultati in termini di coinvolgimento popolare si sono visti. Basta pensare alle decine di migliaia le bandiere esposte in tutt'Italia. C'è una cultura di pace, popolare, democratica, nonviolenta, che si sta esprimendo semplicemente così, mettendo una bandiera fuori la finestra. Allo stesso modo sembrava impossibile riuscire a coinvolgere le segreterie dei partiti dell'Ulivo. E invece ci siamo incontrati e abbiamo ottenuto un impegno chiaro, che speriamo sia mantenuto con fermezza in parlamento. Stiamo chiedendo di incontrare anche la maggioranza e sembra che anche lì ci siano disponibilità nei confronti di una società civile che si oppone alla guerra contro l'Iraq. E soprattutto l'opposizione degli italiani alla guerra, che l'anno scorso in estate era al 50%, è passata all'80% e più.
Adesso sono convinto che si possa sperare anche in parlamento di mettere in minoranza il governo Berlusconi.
La stessa riflessione può valere anche rispetto a problemi apparentemente più piccoli, come il tentativo di modificare una legge.
Sulla 185/90 da mesi è in atto una straordinaria campagna popolare che sta mettendo in campo una strategia di pressione sui parlamentari. Siamo stati sconfitti alla Camera ma non abbiamo mollato. E abbiamo proseguito al Senato. E qui abbiamo visto risultati maggiori: sia nell'opposizione, che è rimasta compatta contro le modifiche alla legge, sia nella maggioranza, in particolare tra i senatori dell'UDC. Parlando con alcuni di loro, abbiamo notato come fossero colpiti da questo fatto: tanta gente che si faceva viva per dire "Ma cosa state votando?".
Questa è la forza e l'importanza di un lavoro di base, che si esprime con i fax e le email. Funziona. Funziona davvero. Il 28 gennaio, quando la legge doveva essere discussa in Senato, ci siamo presentati davanti a Palazzo Madama, abbiamo organizzato un sitin, abbiamo pregato. Personalmente ero disponibile anche a farmi arrestare: perché pensavo che era importante in quel momento fare un gesto forte di protesta.
E abbiamo parlato non soltanto con i senatori dell'opposizione ma anche con quelli della maggioranza. E penso che non sia un caso, allora, se proprio oggi, mentre scrivo (è il 4 febbraio), il senatore D'Onofrio abbia rilasciato una dichiarazione chiara: non si può discutere la proposta di modifica della legge 185/90 al Senato finché il ministro della Difesa non incontra la maggioranza per chiarire questi cambiamenti che stanno creando tante proteste.
Continuiamo, allora, il lavoro sulla 185/90, una legge che costituisce una lezione di umanità e di civiltà, la migliore in Europa in questo settore. E difendiamola dinanzi alla militarizzazione crescente, che proprio il dramma di una nuova guerra ci conferma. Dobbiamo fare di tutto perché la lobby militare in Italia venga sconfitta. È estremamente pericolosa: è la stessa lobby che a livello internazionale pretende di rilanciare l'economia mondiale in recessione attraverso enormi investimenti in armi. E in realtà punta solo ai propri interessi di morte. Ecco perché anche un impegno all'apparenza minore rivela tutta la sua importanza. Imparando a resistere nel piccolo, possiamo poi farlo meglio anche nel grande.