L’ONU DOPO L’ONU
Il 2005 si profila come l’anno della riforma dell’ONU e, più in generale, delle relazioni tra il Sud e il Nord del mondo. Nell’autunno dell’anno scorso, un gruppo di esperti di alto livello ha pubblicato uno studio approfondito sulle possibilità di rimettere l’ONU al centro di un mondo più sicuro e più responsabile. Alcuni mesi prima, il Governo inglese ha proposto un nuovo meccanismo per finanziare i bisogni più urgenti dei Paesi in Via di Sviluppo (PVS).
Inoltre, recentemente i Governi francese, spagnolo, cileno e brasiliano hanno avanzato idee sulla possibilità di istituire tasse globali per finanziare gli obiettivi di sviluppo del millennio (Millennium Development Goals, MDG). La dinamica politica, messa in moto con tali iniziative, avrà il suo apice nella prossima Assemblea Generale dell’ONU (che si terrà in settembre 2005, ndr).
Da dieci anni – a partire dalla prima edizione dell’Assemblea dell‘ONU dei Popoli (Perugia, 1995) – non assistevamo a un tale interesse politico per la riforma dell’ONU e dei rapporti istituzionali tra il Sud e il Nord del mondo. In questi dieci anni, il mondo è diventato molto più insicuro, più ingiusto… Talmente iniquo da rafforzare nella società civile un consenso sulla necessità di cambiare rotta con urgenza. Purtroppo, però, come dieci anni fa, anche questa volta gli interessi miopi delle potenze più forti restringono la portata delle riforme possibili. Abbiamo da temere che anche questa volta la volontà di riforme si esaurisca in alcuni atti cosmetici di poco valore concreto o, semplicemente, nell’aggiunta di qualche sedia al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in nome di una nuova spartizione del mondo che ben poco ha a che fare con gli interessi di tutti gli abitanti del pianeta.
Oggi, però, la società civile globale oggi trova forme di cooperazione e di capacità propositiva al punto da proporsi come soggetto politico in questo dibattito. Il processo del Forum Sociale Mondiale e dei Fori Sociali regionali è diventato il simbolo di questa capacità. E, sempre più, molteplici realtà di lotta popolare per un mondo più equo e giusto, nel Nord come nel Sud del mondo, confluiscono sulla proposta di rifondare e di riappropriarsi dell’ONU tramite una sua radicale riforma nelle sue funzioni.
La riforma dell’ONU, in quest’ottica, non si limita al quadro istituzionale (come, ad esempio, una diversa composizione del Consiglio di Sicurezza), ma riguarda prioritariamente un approccio più ampio che preveda uno sviluppo sostenibile a livello mondiale. Sviluppo da custodire tramite un’ONU rinnovata. Un forte movimento globale per un’altra ONU si realizzerà solo con proposte innovative e convincenti che confermeranno che “un altro mondo è possibile”.
È necessario definire nuove regole per le istituzioni internazionali, in un mondo scosso da un processo di globalizzazione che va a vantaggio di pochi e che mina alla base il funzionamento dello Stato nazionale. Nuove regole che disciplinino i rapporti tra i Governi e tra le varie aree regionali oggi emergenti (per il momento più economiche che politiche). Prima di affrontare questa questione, occorre porsi e rispondere a una domanda cruciale: che tipo di sovranità locale, nazionale e regionale si vuol difendere nella ridefinizione di nuove funzioni ed eventualmente istituzioni? Nelle rispettive sfere di azione, che tipo di interferenza si può e si vuole accettare nelle varie realtà locali, nazionali e regionali?
Già il movimento critico dell’attuale processo di globalizzazione ha stigmatizzato in maniera esemplare le interferenze negative nella sovranità nazionale e locale da parte delle istituzioni finanziarie internazionali (come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio). Mentre ciò avviene, non è ancora chiaro che tipo di sovranità si vuole preservare nel far fronte in maniera innovativa ai problemi che la globalizzazione pone con sempre più urgenza.
Questa la sfida principale oggi per chi, in maniera innovativa, si pone il problema di sovvertire gli assunti alla base dell’attuale iniquo processo di globalizzazione, che è causa della crisi istituzionale, politica, economica, sociale e ambientale che viviamo in varie parti del pianeta. E porsi questa sfida, affrontarla è condizione indispensabile per prefigurare uno scenario di relazioni internazionali diverse. Prima che sia troppo tardi. Prima che nuovi conflitti militari a larga scala prendano il sopravvento sulla possibilità di cambiare.
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