SETTEMBRE 2005

Primo non uccidere

A cura di Sergio Paronetto

Primo Mazzolari abita il nostro futuro. Il suo pensiero pulsa e vive. A 50 anni di distanza, incontriamo nelle sue parole l’attuale ricerca ecclesiale circa la consumazione della teologia della “guerra giusta” e il futuro magistero della Chiesa cattolica sulla nonviolenza. Sicuramente Giovanni XXIII ha letto Tu non uccidere, apparso anonimo nel 1955, per preparare la Pacem in terris del 1963. La guerra moderna come fenomeno assurdo (alienum a ratione di Papa Giovanni) è prefigurata in un’illuminazione di don Primo: “Oggi non c’è proporzione tra le rovine prodotte e il male contro cui si pretende di lottare: quelle contengono tale mole di miserie e di mali, e cioè compongono un peccato così gigantesco, da invalidare qualsiasi retta intenzione e capovolgere ogni ragione” (Tu non uccidere, a cura di Rienzo Colla, La Locusta, 1969). Chi è ansioso di affermare la “verità cattolica” sulla guerra non può limitarsi a ripetere vecchie formule, illustrare le condizioni per le quali un evento bellico possa essere considerato possibile come extrema ratio. Deve verificare se quelle condizioni oggi, a 60 anni dopo Hiroshima, esistono, se quella ratio frettolosamente o abusivamente invocata non sia già “capovolta”. Deve, cioè, ripartire da Primo Mazzolari.
Certamente il Concilio Vaticano II (1962-1965) ha trovato in lui un ispiratore. Alcuni passaggi della Gaudium et spes e molte spinte al rifiuto del sistema di guerra, a partire dalla scuola di Barbiana, hanno trovato in lui un punto di riferimento. Don Primo avverte con lungimiranza i sussulti della storia del Novecento, la “novità smisurata” in fermento. Viviamo tra un mondo che muore e un mondo impotente a nascere perché noi cristiani, osserva don Primo, non siamo “audaci”, non testimoniamo una reale novità, non siamo ancora credenti nella “pax Christi”.
Non possiamo dire come e quando, ma avverrà. Un giorno il Papa e i vescovi riuniti assieme forse in un nuovo Concilio o Sinodo, magari con esponenti di altre Chiese cristiane o di altre religioni, definiranno solennemente la guerra come “gigantesco peccato” o, utilizzando un’espressione forte di Giovanni Paolo II, come “abisso del male”, proclameranno la nonviolenza come unico vero annuncio cristiano, indicheranno in Gesù Cristo l’inventore-promotore della nonviolenza che è “via, verità e vita” per i credenti nella pace.
Primo Mazzolari muore il 12 aprile 1959 tre mesi dopo l’annuncio della convocazione del Concilio Vaticano II e due mesi dopo essere stato ricevuto da Giovanni XXIII che lo riconosce profeta della pace (“la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana”). Nel 1999, il cardinal Martini lo definirà “profeta coraggioso e obbediente, che fece del Vangelo il cuore del suo ministero. Capace di scrutare i segni dei tempi, condivise le sofferenze e le speranze della gente, amò i poveri, rispettò gli increduli, ricercò e amò i lontani, visse la tolleranza come imitazione dell’agire di Dio” (in Impegno n. 1, luglio 1999, 51-52). In molti aspetti, Mazzolari si collega a Gandhi e a Martin Luther King, a David Maria Turoldo e a don Milani, a Ernesto Balducci, a Tonino Bello, a Oscar Romero. Pensare a lui vuol dire rinnovare lo spirito del Concilio, promuovere una concreta teologia-pratica della nonviolenza, dichiarare la nostra disponibilità a camminare come popolo di Dio per convertirci tutti alla pace di Cristo “nostra pace”.

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