Una sconfitta senza attenuanti, con speranza
Il risultato del referendum non lascia dubbi. Ha vinto, e con ampio vantaggio, la cultura della paura e della ricerca individuale di soluzioni contro la violenza, con il 64% dei voti. La cultura della pace, la società e lo Stato ne escono sconfitti. Quelli che hanno appoggiato il ‘2 SÌ’ sono stati, di fatto, una minoranza, anche tra quelli che avrebbero dovuto difenderlo per tradizione o per dovere: le ONGs, i Movimenti Sociali e Popolari, le Chiese (lottano per la vita?), Sindacati e Partiti di Centro-Sinistra. Lo stesso governo poco ha fatto in favore del 2.
Per spiegare questa sconfitta non serve analizzare i grandi mezzi e ricorsi a disposizione della destra. Questa sconfitta rivela tutta la fragilità della nostra gente e della nostra organizzazione. Questa è la cruda verità. Molti sono rimasti seduti vedendo il referendum passare: da quelli che continuano a credere che le buone idee, in se stesse, sempre finiscono per vincere (santa ingenuità, ancora!), a quelli che ritengono che questo referendum non meritava investimento di tempo e energia per il fatto che c’erano punti della vita nazionale ben più importanti da essere decisi attraverso un referendum, quali la macro-economia, le politiche pubbliche, o il non pagamento del debito estero, ecc. Questa gente per l’esigenza (e la necessitá) di un buon pranzo ‘ottimo e abbondante’ ha rinunciato alla colazione.
E’ triste vedere come ci sono persone che ancora non percepiscono che più dell’80% della popolazione brasiliana è distante da qualsiasi tipo di organizzazione sociale che permetta un avanzo nella coscientizzazione, nell’organizzazione, cioè, nella possibilità di crescere come persone umane e come cittadini. Sono questi che formano la massa facile da manovrare che in qualunque momento (e in qualsiasi elezione) possono seguire la proposte più forti e convincenti, siano queste giuste o sbagliate. Molti educatori hanno dimenticato che Paulo Freire parla di processo educativo che può e deve cominciare sempre che esista l’opportunità di raggiungere più gente possibile per aiutarli a diventari cittadini con pieni diritti. La cultura della pace, (chiaro!), non si limita a un referendum, ma può fare di questo l’inizio di una inclusione. Si sono forse dimenticati questi educatori che la violenza è la maggior preoccupazione del popolo brasiliano dopo la disoccupazione?
E’ doveroso constatare come abbiamo ancora serie difficoltà per organizzarci intorno a iniziative comuni e di ambito nazionale. Questa settimana si realizza a Brasilia, l’Assemblea Popolare: ‘Mutirão’ (lavoro d’insieme) per un Nuovo Brasile. Circa 10 mila persone parteciperanno dell’evento. La speranza è che la sconfitta nel referendum e la comprensione di ciò che significa, ci aiutino a pensare in passi e iniziative concrete per azioni comuni e di peso in mobilizzazioni sociali e, allo stesso tempo, in lavori di approssimazione alle masse popolari che hanno difficoltà nell’immettersi sul cammino della partecipazione. Questo può e deve essere fatto, senza sperare che – prima – cambi la macro-economia o si sconfigga l’Impero del Nord!
E cosa fare con i nostri deboli strumenti di comunicazione, sempre a rischio di chiudere le proprie attività? Dobbiamo analizzare seriamente la mancanza di canali per comunicare, non abbiamo mezzi per mantenere un contatto con le masse, mentre ‘gli altri’ controllano il 90% dei mass-media! Il peggio é che non ci si può aspettare da questo governo, che offre milioni ai mass-media di destra (gli stessi che poi lo pugnalano alla schiena!), un sostegno alla democratizzazione dei mezzi di comunicazione: é meglio giocare alla lotteria e aspettare seduti. Per questo ADITAL, all’inizio di luglio, quando il Superiore Tribunale Elettorale fissó la data del referendum per il 23 di ottobre, ha tentato due inizitive: iniziare subito la campagna con un sitio speciale e promuovere un incontro di entitá, riviste e págine web per montare una strategia comune in favore del 2 SI. Bisognava cominciare subito! Purtroppo non ci siamo riusciti.
Nonostante tutto la sconfitta del referendum deve essere un momento per riflettere sui passi da fare. La società civile deve continuare il suo cammino: abbiamo già sofferto altre sconfitte e non ci siamo fermati per questo. La dinamica della storia deve essere più forte che le nostre amarezze. La storia non finisce qui. Si tratta di capire e di convincersi che le grandi vittorie, i grandi cambiamenti nel paese non sono forse facili e a breve termine come desidereremmo. La storia di un paese non cambia per decreto.
Ricordo la famosa frase di João Pedro Stédile, leader del Movimento dei Senza Terra: “Siamo in un tempo in cui dobbiamo piantare alberi, non insalata”. Dobbiamo saper approfittare tutti i tipi di verdura che incontriamo, sapendo però che i grandi cambiamenti della società hanno bisogno di radici più profonde e ampie. La nuova cultura di pace poteva anche contare con l’insalata del referendum, ma la pace come frutto della giustizia sociale, della distribuzione più equa del reddito, della democratizzazione dei mezzi di comunicazione, ecc., sarà un frutto di lunga gittata e esige oggi la continuità, il perfezionamento e l’aumento del lavoro sociale e politico.