Se sono solo braccia...
i buchi del mercato del lavoro e dei servizi alla persona.
Ma per gli immigrati niente diritti.
L’inadeguatezza del sistema di welfare italiano e delle politiche pubbliche di protezione sociale ha trovato, negli ultimi anni, nella stabilizzazione del fenomeno migratorio una cartina di tornasole particolarmente trasparente. Il carattere relativamente recente e policentrico dell’immigrazione in Italia, il parziale inserimento dei migranti nel tessuto industriale e la forte presenza nel settore “terziario” in senso ampio, hanno fatto emergere bisogni sociali nuovi, in alcuni casi straordinari, a cui lo Stato non ha saputo rispondere (o ha risposto solo parzialmente) anche a causa della debolezza delle politiche sociali “ordinarie”. Il tema dell’integrazione socioeconomica e culturale e della garanzia effettiva dei diritti civili, sociali ed economici dei migranti va dunque problematizzato tenendo conto che esistono tre ordini diversi di problemi.
Il primo è quello dei limiti delle politiche sociali rivolte a tutti i cittadini meno abbienti (accesso alla sanità, all’istruzione, all’alloggio, alla formazione, lotta alla disoccupazione, politiche di pari opportunità, ecc.). Il secondo è quello della necessità di prevedere, all’interno delle politiche sociali generali, forme di intervento mirate capaci di tenere conto delle specificità culturali e delle maggiori difficoltà di integrazione sociale inevitabilmente connesse all’arrivo in un Paese che non è il proprio. Il terzo è quello di creare un sistema generale di coordinamento delle politiche nazionali e locali, pur nell’individuazione di competenze specifiche ai due livelli.
La legge Turco-Napolitano 40/98 ha sicuramente compiuto un salto di qualità nel riconoscimento dei diritti civili e sociali per i migranti correggendo (ma non eliminandolo) l’approccio delle politiche migratorie, prevalso dalla metà degli anni ‘80 in poi, che aveva affrontato l’immigrazione unicamente in forma emergenziale e sul piano dell’ordine pubblico. La seconda parte della legge ha infatti introdotto il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali, che incidono in modo significativo sulla vita quotidiana dei migranti condizionando il successo o l’insuccesso del loro progetto migratorio: il diritto alla salute, a un alloggio dignitoso, alla non discriminazione, alla formazione, ai servizi di protezione sociale.
Purtroppo questa parte della legge non è stata implementata con la creazione degli strumenti da essa stessa previsti (ad esempio gli Osservatori regionali contro la discriminazione) e con l’allocazione di risorse adeguate. Inoltre, l’affidamento delle competenze in materia di accoglienza e di integrazione agli enti locali, non è stato accompagnato dai necessari strumenti di coordinamento. Ciò ha determinato, in presenza di una grande eterogeneità dei contesti locali sia dal punto di vista sociale che lavorativo, un certo “gattopardismo” degli interventi molto spesso dipendenti dalla maggiore o minore “sensibilità” della singola istituzione e dal più o meno forte attivismo delle organizzazioni di volontariato e di terzo settore che, in molti casi, hanno coperto vuoti lasciati dall’intervento pubblico.
L’adozione di politiche attive, mirate, di integrazione socioeconomica e il rafforzamento delle politiche sociali generali diventa dunque sempre più urgente, in particolare sui seguenti aspetti.
Politiche abitative. La casa rappresenta l’elemento più critico dell’integrazione dei migranti in Italia: molti si trovano in condizioni di disagio abitativo, quando non di esclusione vera e propria. Il peggioramento del mercato degli affitti che ha visto la diminuzione dell’offerta rivolta alle fasce più deboli della popolazione e lo squilibrio esistente nell’edilizia pubblica tra domanda e offerta, rende difficile anche a coloro che hanno un reddito stabile, trovare alloggi dignitosi a prezzi accessibili. D’altra parte le politiche locali hanno privilegiato gli interventi emergenziali, limitati al settore dell’accoglienza.
Le proposte di Sbilanciamoci prevedono interventi per la riduzione del 2% (come viene previsto per gli enti locali per il taglio ai trasferimenti) del bilancio generale della difesa (sistemi d’arma Efa e Unità maggiore gestione, sprechi) che comporterebbe minori spese per 400 milioni di euro.
Nello stesso tempo si propone un ridimensionamento del progetto di professionalizzazione delle Forze Armate, portando il numero di professionisti da 190.000 a 120.000 unità: ampiamente sufficienti per garantire la presenza italiana nelle missioni di pace, gli impegni nella Forza Armata europea e l’adempimento delle funzioni costituzionali di difesa del Paese.
L’intera operazione comporta un risparmio totale di 2 miliardi di euro. Nel 2003 l’impatto del risparmio sarebbe di 400 milioni di euro.
Si liberebbero in questo modo risorse per circa 800 milioni di euro. Si propone inoltre di alimentare con una parte di queste risorse un fondo per la riconversione dell’industria militare (50 milioni di euro), l’aumento del finanziamento per il servizio civile nazionale (50 milioni di euro) e il finanziamento (5 milioni di euro) di interventi formativi e sul campo per i “corpi civili di pace” nelle aree di conflitto.
Per finire occorre ridimensionare il capitolo di spesa relativo ai sistemi d’arma, tra cui l’Eurofighter e la portaerei Andrea Doria. Per questo è possibile tagliare le spese militari (anche quelle fuori dal bilancio della Difesa, quali in alcuni casi la costruzione di armi) per 1800 milioni di euro.
Estensione dell’accesso al sistema di protezione sociale. La legge ha esteso ai migranti alcuni diritti sociali, in particolare per ciò che concerne il diritto agli assegni familiari e all’assegno di maternità. La titolarità di questi diritti viene però subordinata al possesso della carta di soggiorno (documento che può essere ottenuto solo in presenza di alcuni requisiti: un determinato livello di reddito, alloggio, 5 anni di residenza regolare in Italia). In questo modo questi diritti sociali risultano tali “per censo”: rimangono esclusi proprio i soggetti più deboli e che più dovrebbero usufruirne.
Politiche attive di rafforzamento delle realtà organizzate di migranti. Lo sviluppo di associazioni e strutture organizzate di migranti è ancora molto limitato e ciò non accade solo a causa del carattere relativamente recente dell’immigrazione. Le politiche pubbliche di sostegno attivo allo sviluppo di queste realtà sono insufficienti: gran parte dei finanziamenti degli enti locali destinati allo svolgimento di attività culturali, ma anche di impegno sociale, sono destinate alle organizzazioni di italiani, compresi quelli che intervengono sull’accoglienza e l’integrazione dei migranti.
La BossiFini
Purtroppo l’entrata in vigore della legge n.189 del 30 luglio 2002 “Modifica alla normativa di immigrazione e asilo” (meglio nota come Bossi Fini) va in tutt’altra direzione, verso un’ulteriore precarizzazione della condizione dei migranti presenti nel nostro Paese (regolari e non) nel contesto di un complessivo attacco ai diritti di cittadinanza e sul lavoro che riguarda sia i cittadini italiani che quelli stranieri. governo Berlusconi ha tradotto in legge un principio che ha ispirato purtroppo sino a oggi, sia pure in forme meno rigide, la politica di immigrazione in Italia e in Europa: la subordinazione del diritto di libera circolazione delle persone alle esigenze del mercato, uno degli aspetti più nefasti della attuale fase di globalizzazione economica.
L’introduzione del cosiddetto “contratto di soggiorno” altro non è che l’estrema traduzione di questa logica. Non esiste la persona migrante, esiste il lavoratore immigrato a cui viene negata la titolarità di diritti di cittadinanza sociali e civili e il cui diritto di stare in Italia è vincolato alla durata del contratto di lavoro: l’ennesimo esempio di come flessibilità, libertà di licenziamento e contratti a termine ispirino le politiche sull’occupazione del nuovo governo.
Ma la legge BossiFini segna una cesura importante preoccupante. Essa, infatti, più che gestire il fenomeno migratorio, sembra intesa a illudere l’elettorato di centro destra e a rassicurarlo sulla possibilità di frenare l’immigrazione a colpi di legge.
Il Governo Berlusconi sostituisce alla (pessima) distinzione tra immigrati “buoni” e regolari e immigrati “cattivi” e clandestini che aveva ispirato la legge 40/98, l’idea che tutti gli immigrati sono soggetti pericolosi da cui è necessario difendersi e decide di precarizzare fortemente anche la posizione degli immigrati regolari introducendo delle norme che ostacolano la loro integrazione sociale. Come le due “sanatorie farsa” hanno dimostrato: i migranti sono “tollerati” solo nella misura in cui servono a colmare i buchi del mercato del lavoro (vedi NordEst) e quelli provocati dalle politiche di abbattimento del welfare (vedi sanatoria di colf e “badanti”).
Si spiega in questo modo perché il Governo abbia stanziato, per la gestione e la costruzione di nuovi centri di detenzione, 12,39 milioni di euro per il 2002, 24,79 milioni di euro per il 2003 e 24,79 milioni di euro per il 2004. Questi stanziamenti, sommati a quelli destinati a garantire l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione, risultano 25,91 milioni di euro per il 2002, 130.65 milioni di euro per il 2003 e 125,62 milioni di euro per il 2004 e 117.75 “a decorrere dal 2005”.
Mentre parallelamente il taglio dei finanziamenti agli enti locali previsto dalla finanziaria 2003 ricadrà sicuramente innanzitutto sulle teste degli immigrati, riducendo ulteriormente le risorse destinate alle politiche di accoglienza e di integrazione. Per rovesciare una nota frase di Max Frish, arrivano uomini e donne ma ci servono solo braccia. Di diritti neanche a parlarne.