Se i cattolici scendono in piazza
a qualcuno non piace tutto ciò.
Mai come quest’anno, anche la stampa e la tv nazionale hanno scoperto la ricchezza di iniziative messe in campo in tante città e diocesi italiane in occasione della Giornata Mondiale della Pace e delle veglie di preghiera, marce e quant’altro che hanno riempito piazze e chiese del Paese. Segno, per certi versi, che la felice intuizione lanciata da Pax Christi trentacinque anni fa della Marcia per la pace (approdata quest’anno a Cremona) continua a contaminare e a diffondersi in tante comunità di credenti.
Molti di quei “fedeli” che hanno inteso celebrare così il passaggio dal vecchio al nuovo anno, sono gli stessi che sono scesi in piazza in migliaia a Firenze, nel novembre scorso, o a Genova, nel luglio 2001, o ad Assisi, nell’ottobre di quello stesso anno e a maggio dell’anno scorso (e che saranno a Roma il prossimo 15 febbraio), ma chissà perché, solo a Natale fanno notizia. Molte di quelle manifestazioni, che hanno fatto registrare numerose prese di posizione da parte dei Vescovi locali, sono in parte una risposta all’invito di Giovanni Paolo II formulato al termine del suo messaggio per il 1° gennaio, quando ha chiesto alle comunità di organizzare adeguate celebrazioni e iniziative per fare tesoro dell’insegnamento della “Pacem in terris” e per sviluppare la consapevolezza circa l’improrogabile necessità di realizzare la pace.
Da decenni siamo avvezzi a leggere la domanda che ripetutamente i guru della cultura laica pongono ogni qualvolta ci si trova in una crisi internazionale o in un conflitto armato: dove sono i pacifisti? Accompagnata da un’altra questione che sembra andare di pari passo, la questione “cattolica”. Cioè dell’atteggiamento dei cattolici di fronte alla guerra.
Anche l’imminente guerra all’Iraq non si sottrae a questo teatrino, quasi che per alcuni sia necessario stabilire su quale fronte i cattolici (italiani) si schierano. È pur vero che questa volta lo “scontro” è molto più sfumato: sarà perché la maggioranza degli italiani (così come degli americani, dei francesi, ecc.) è contraria a una guerra contro l’Iraq. Sarà che la nuova categoria della guerra preventiva inaugurata dall’amministrazione Bush non convince nessuno, dentro e fuori le chiese.
Comunque, a capeggiare le truppe dei cattolici che si schiererebbero contro la guerra viene posto nientemeno che il Papa, “reo” di essere troppo radicale nel suo no alla guerra e che nel suo messaggio si è posto la domanda: quale tipo di ordine può sostituire l’attuale disordine internazionale? Per poi affermare che le scelte politiche non possono disgiungersi dalle scelte morali.
È più che evidente che le mobilitazioni dei cattolici, così come dei vescovi locali che in queste settimane hanno fatto eco alle parole del Papa, così come le proposte di digiuno (anche eucaristico, come proposto dai Comboniani di Bari) o di esporre la bandiera della pace al di fuori delle chiese, diano fastidio a qualcuno o quantomeno sconcertino.
Eppure, a ben guardare, quelle manifestazioni di mancanza di realismo (la tradizionale accusa lanciata ai pacifisti) sono le uniche che cercano di non rincorrere semplicemente il folle di turno che dichiara guerra a qualcun altro ma cercano faticosamente e lentamente di costruire nel quotidiano un’alternativa alla violenza armata assunta a unica forma di regolatrice dei rapporti tra i popoli e tra gli umani.
Insomma, per quei “poveri pacifisti illusi” l’opposizione alla guerra all’Iraq non è altra cosa dalle pressioni per la difesa della legge 185/90 (che riprenderanno a fine gennaio dinanzi al Senato) sul commercio delle armi e ha molto a che fare con un modello di vita e di consumi più equo ed ecologicamente sostenibile, con concrete esperienze di solidarietà con gli ultimi, con percorsi di riconciliazione e di integrazione con e tra i “diversi”. Insomma, una pace, quella invocata anche a inizio del 2003, impastata di storia e che cerca faticosamente proprio di conciliare la politica con l’etica, o meglio: il Vangelo della nonviolenza. Altro che mancanza di realismo!