MUSICA

Marley e il popolo della strada

Una missione spirituale prima ancora che artistica
nell’itinerario del grande cantante giamaicano.
Vincenzo Dell’Olio

“Io non prendo droghe, io fumo erba... Molta gente utilizza droghe per il semplice piacere dello sballo, o peggio ancora usa droghe chimiche. Questa è gente che ha smesso di lottare. Io invece non smetterò di lottare, voglio la pace, ma prima ancora voglio la giustizia. Il mio è un canto di guerra”.
È una delle più esaustive auto-presentazioni di Bob Marley, il cantante giamaicano che condusse la musica reggae e la filosofia rasta a un successo mondiale senza eguali. Nelle sue origini – nacque nel ‘45 dalla relazione tra un capitano dell’esercito inglese e una donna giamaicana – si rintracciano i connotati dello scontro ideologico presente nella sua più autentica produzione. Una decisa scelta di campo a favore del popolo afro era inscindibile dal suo credo rasta che predicava il ritorno all’Africa con la conseguente fondazione di una nazione nera e il miglioramento delle condizioni della razza di colore.
Diretta conseguenza estetica furono i suoi dreadlocks, le tipiche trecce che tanta proselity continuano a fare, la costante ripetizione dei colori della bandiera etiope (rosso, oro e verde) nei suoi vestiti e nei suoi simboli e su tutto le invocazioni all’Africa Unite e all’Exodus della sua gente.
Dopo gli inizi stentati, a causa della ghettizzazione

I versi
… tutto quel che ho mai avuto
sono canti di Redenzione…
Emancipatevi dalla schiavitù mentale
Solo noi stessi possiamo liberare
le nostre menti
Non temete l’energia atomica
da Redemption song
…Non possono comprarci né venderci
Tutti noi difendiamo ciò che è giusto
Tutti i figli di Jah devono essere uniti
La tua vita vale molto più dell’oro…
da Jammin’
… ricordo quando sedevamo
Nel cortile del ministero a Trenchtown
Osservando gli ipocriti
Mescolarsi alle brave persone
che si incontrano…
da No woman no cry

della sua musica, il successo arrivò grazie al fortunato incontro con Peter Tosh, Bunny Wailer e gli altri futuri componenti dei Wailers (coloro che si lamentano) che fin dal primo contratto con la Island Record nel ‘71 mostrarono la forza dei loro ritmi finalmente espressi con le migliori attrezzature di registrazione. Get Up Stand Up e soprattuto I Shot The Sheriff resa famosa dalla versione di Eric Clapton lanciarono il gruppo verso un successo che varcò qualche anno dopo i confini d’oltre oceano. La consacrazione a livello mondiale arrivò nel ‘75 con la pubblicazione di Live!, l’album che conteneva la versione dal vivo di No woman No cry canzone simbolo della reggae-mania esplosa in quegli anni negli States. Rastaman Vibration, Exodus, Kaya, Survival e su tutti Uprising furono gli album che posero di diritto Bob Marley fra i cosiddetti “miti” della musica.
Capolavori come War, il cui testo è tratto da un discorso dell’Imperatore d’Etiopia Haile Selassie I (Ras Tafari), Redemption song, Jammin’, One Love / People Get Ready assieme a Could you be loved, Iron, lion, zion, Buffalo Soldier e ai pezzi già citati, cantano di un mondo occidentale ormai troppo simile alla biblica Babilonia che con i suoi soprusi infligge pene dolorose ai fratelli in lotta contro la corruzione delle “teste pelate”.
Far sentire la “voce del popolo della strada” divenne per Marley una missione spirituale prima ancora che artistica, la sua poetica s’intrise di incitazioni all’unità, alla libertà, al risveglio dalla condizione di torpore del suo popolo. Dietro al finto paradiso si nascondeva un inferno pieno di lacrime e lamenti di bambini.
Gli anni a cavallo tra i ‘70 e gli ‘80 furono, per Bob, memorabili e dolorosi assieme. Nel ‘77 infatti, gli fu diagnosticato un cancro curabile con l’amputazione di un dito del piede che rifiutò coerente con la sua fede contraria a ogni cura. L’anno successivo tornò in Giamaica per suonare al One Love Peace Concert, di fronte al Primo Ministro Michael Manley e al leader dell’opposizione Edward Seaga, organizzando sul palco un significativo incontro tra due rivali. Nello stesso anno ricevette la medaglia del Terzo Mondo dalle Nazioni Unite e visitò per la prima volta l’Africa, celebrando l’indipendenza dello Zimbabwe.
L’11 maggio 1981 Marley morì a causa del cancro diffusosi ormai in tutto suo corpo. Tuttavia, i 45 minuti d’improvvisazione con cui si congedò dalla band dopo il memorabile concerto di Pittsburg nel settembre precedente, dimostrarono la grandezza e l’immortalità della sua anima.
L’anima di “the Legend”.

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