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Memoria di un obiettore

Un’intervista ad Alberto Trevisan, storico obiettore di coscienza negli anni Settanta. Vero testimone nonviolento.

Diego Cipriani

Nel libro Ho spezzato il mio fucile non ti limiti solo a riportare i fatti, ma li interpreti anche. È un’operazione successiva, oppure già quando Copertina libro vive vi quei fatti avevi raggiunto quella consapevolezza che descrivi nel libro?
Il libro, anche se scritto a distanza di molti anni dai fatti raccontati, si sviluppa servendosi di strumenti propri della condizione di restrizione in carcere, utilizzando perciò appunti su roto lini di carta passati durante i colloqui o attraverso lettere spedite al mio indirizzo da amici scarcerati sino a scrivere con il limone, un rudimentale inchiostro simpatico. Una specie di “fermo immagine”, si direbbe ora: più che fotografie, dei veri e propri fotogrammi che poi sono stati montati come nella tecnica cinematografica. Certo, al momento del “montaggio” la memoria mi ha dato un grande aiuto, ma penso che “vissuti” così forti non si dimenticano tanto facilmente. Anche la consapevolezza di quello che stavo vivendo non mi ha mai abbandonato: era in gioco la riuscita o meno di questo lungo percorso di pace.

Nel tuo libro scrivi che il movimento degli obiettori ha vinto molte sue battaglie. Il tuo è ottimismo forzato o lettura realistica dei fatti?
Sono sempre stato convinto che il movimento degli obiettori di coscienza, e in particolare il movimento nonviolento di cui faccio parte, abbiano realizzato gran parte degli obiettivi prefissati. A conferma basta analizzare l’evoluzione di altri movimenti anche importanti che nel corso degli anni non solo sono spariti dalla scena politica, ma persino hanno scelto derive pericolose. Anche il movimento dei verdi, non il partito, in Europa oggi sembra non esserci o alme no contare pochissimo. Penso che il movimento degli obiettori sia stato un movimento che non poteva porsi tempi brevi: ci sono voluti anni per sedimentare e se tanti hanno scelto l’obiezione di coscienza e il servizio civile è un fatto da sottolineare. Certo si è per sa l’idealità forte dei primi obiettori, ma personalmente ho sempre pensato necessario realizzare scelte a portata di tutti e non solo testimonianze individuali, seppur indispensabili.

Al di là delle ultimissime righe del libro, quale messaggio vorresti che un giovane lettore recepisse dalla lettura di queste pagine?
Quando ho deciso di scrivere il libro, vincendo una naturale ritrosia a raccontare i miei “vissuti”, mettendomi in gioco con i lettori, pensa vo in particolare ai giovani: pensavo fosse importante lasciare loro un segno, una testimonianza di un’esperienza personale che ha potuto concludersi, nel bene e nel male, con il contributo determinante di molti compagni di viaggio. Sono certo che i giovani abbiano bisogno di compagni di viaggio, di punti di riferimento senza dei quali non resta che la deriva dell’individualismo e non la scelta di valori condivisi come quello della libertà di coscienza e il ripudio della guerra. Desidererei che dalla lettura di questo libro i giovani capissero che non occorre essere eroi, emergenti, competitivi ma “ognuno fare qualcosa” come ci ha chiesto Aldo Capitini.

Dalla storia all’attualità. A queste domande rispondi proprio nei giorni in cui gli ultimi obiettori finiscono il servizio. Che ne dici di questa fine d’epoca?
Se noi lo vogliamo possiamo inaugurare una nuova epoca dagli scenari completamente diversi, ma non per questo meno importanti e degni di essere inventati in maniera nonviolenta. Ai giovani che hanno iniziato o inizieranno il nuovo servizio civile chiederei prima di tutto una salutare dichiarazione di obiezione di coscienza, in particolare un “no” alla guerra. L’obiezione di coscienza non è abolita ma sospesa, come la leva militare. Dobbiamo inserirci in nuovi spazi tutti da costruire, creare nuovi progetti, inserirci nel campo del la formazione, senza dimenticare la nostra storia. Dobbiamo soprattutto non dividerci al nostro interno e partecipare con determinazione dove anche istituzionalmente si parla di difesa popolare nonviolenta. Per l’Europa dobbiamo sostenere la formazione dei Corpi civili di pace e batterci perché, rinunciando a un po’ di sovranità nazionale, si costituisca una vera polizia europea a servi zio del grande progetto di un’ONU dei popoli in grado di intervenire nei molti conflitti ancora esistenti, a cominciare dai martoriati Paesi africani. Il lavoro per la pace non permette soste: noi ci dobbiamo essere.

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