Fedeli fino in fondo

Ambiguità e potere sono le grandi minacce per ogni relazione d’amore.
La parola a un teologo. Per vivere relazioni senza rattoppi.
Per ritrovare se stessi. Per riscoprire l’Amore.
don Ottorino Cacciatore

Mammona e ambiguità: un binomio che cammina lungo il corso del tempo schiavizzando l’uomo e la famiglia. Mammona e ambiguità trovano in Giuda e Pietro la loro incarnazione.

Il dio mammona
Giuda in cuor suo ha fatto già un’altra scelta fondamentale, anche se continua a “stare” con Gesù e con gli altri. Giuda è passato all’altra sponda. Si è schierato con i potenti ai quali ha rivolto la terribile domanda: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?”. Il contratto è firmato. Bisogna portarlo a compimento. Solo che, consegnando Cristo ai potenti, Giuda è stato costretto a tagliare i ponti anche con i suoi amici di sempre: “Preso il boccone, uscì. Ed era notte” (Gv 13,30). In seguito Giuda si renderà conto di aver “consegnato sangue innocente” e si pente. Un pentimento che non lo porta alla conversione, ma a fare un cammino a ritroso, restituendo il denaro nella

Ai confini tra il corporeo e l’incorporeo, amore abita la reciprocità dello sguardo, del sorriso, della voce, del gesto ,del movimento. Un sorriso che non è contrazione ma offerta, uno sguardo che apre insicuro la strada del desiderio in cui si riflette l’unicità dell’evento, una voce malcerta in cui è tutta l’immediatezza sensibile, l’incarnazione della parola, un gesto in cui la grazia che è ritmo della bellezza chiama tenerezza, mentre un movimento che accenna una timida disposizione di danza allude a un’impercettibile gioia nascosta.
Umberto Galimberti, Le cose dell’amore
illusione di cancellare quel passato che è diventato un incubo. La risposta è gelida come la morte: “Che ci riguarda? Veditela tu!”. Giuda rimane solo col suo peccato. “Si allontanò e andò a impiccarsi” (Mt 27,5). Il dio mammona è sempre inesorabilmente spietato con chi si lascia imbrigliare nelle sue grinfie. Ha portato Giuda a negare il suo rapporto d’amore con Cristo. Lo ha indotto a tagliare il rapporto di fraternità con i discepoli. Infine, lo ha spinto ad appendersi a un albero annientando la propria identità di uomo. Il dio mammona crea il vuoto intorno all’uomo con la chimera di una vita libera e spensierata. E l’uomo si ritrova senza Dio alla presenza di Dio. Senza famiglia all’interno della famiglia. Senza se stesso con se stesso.
Ma vorrei guardare soprattutto Pietro, che, con la sua ambiguità nel rapporto con Cristo, con la sua comunità e con se stesso mi sembra rispecchi bene la condizione della famiglia odierna che continua a dirsi cristiana.

Seguire Cristo da vicino
Carissimo Pietro, mi rivolgo a te, che, con la tua ambiguità su tre fronti sei tanto vicino alle nostre famiglie che, come te, vogliono seguire Cristo. Con le dovute riserve, naturalmente. Luca nei tuoi riguardi è stato troppo forte scrivendo: “E Pietro lo seguiva da lontano” (Lc 22,54). Credo che non ti sei offeso leggendo quelle parole: esse ti hanno fotografato, sia pure in maniera impietosa. In fondo il tuo entusiasmo per Cristo è grande, ma incontrollato. La tua gioia di seguire Cristo è forte, ma dentro covi la segreta speranza del potere. Proclami di essere pronto a dare la vita per il Maestro, ma la voce si spegne subito dopo di fronte all’annuncio della passione. Tutto questo ti ha giocato un brutto scherzo proprio nella casa del sommo sacerdote dove si trova Cristo e dove hai voluto essere presente per tua libera scelta. Hai deciso di seguire Cristo fino in fondo? No! Tu ancora vuoi “seguire Cristo da lontano”.
Ecco il problema. Ecco l’ambiguità! Tu fai fatica a seguire questo Gesù che, in balia del sommo sacerdote, viene accusato addirittura di bestemmia. E tu non sai deciderti. O meglio. Tu sai cosa fare. Te ne stai seduto fuori, nel cortile. Come se niente fosse. E invece no! Non si possono prendere le distanze dalla propria fede. All’improvviso, quando proprio non te l’aspettavi, una serva ti scuote dal tuo torpore: “Anche tu eri con Gesù” (Mt 26,69). Ti eri accovacciato vicino al caminetto per riscaldare, vanamente, un cuore avvolto dal freddo dell’ambiguità. E sei tirato in ballo in maniera inaspettata. Quella serva, che gioca nell’anonimato, richiama la tua identità di discepolo di Cristo. Dice la verità della tua vita. Ti ha fotografato. Gesù non ti aveva, forse, chiamato, come gli altri, a “stare con Lui e poi per mandarti”? E allora perché tremi? Perché balbetti? Perché le idee chiare della tua interlocutrice diventano ammasso nebuloso nel tuo cuore? La tua risposta dice tutto questo guazzabuglio che si agita in te e farfugli: “Non capisco che cosa tu voglia dire” (Mt 26,70). “La verità fa male” dice un proverbio antico. Ed è vero! Per te! E per la famiglia di oggi!

Relazioni senza rattoppi
Quanti coniugi, molto spesso di fronte alle chiare proposte di Cristo di amore

Se esci dal tuo Io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro di Lui.
C. Yannaras, Variazioni sul Cantico dei Cantici (1989)
gratuito, di fedeltà senza sconti, di perdono fino a 77 volte sette, danno la stessa tua risposta: “Non capisco che cosa tu, Cristo, voglia dire”. Quanti coniugi di fronte alle prime difficoltà, ai problemi da affrontare, alle inevitabili incomprensioni prendono subito le distanze dalla propria fede perché troppo esigente per il mondo d’oggi. Ed ecco che la celebrazione eucaristica domenicale, sorgente e culmine del sacramento del matrimonio, è la prima a essere messa al bando perché... perché.., perché...
Quanti perché senza alcun valore, che trasformano il “non capisco che cosa tu voglia dire” in “non capisco che cosa voglio dire”. E l’educazione dei figli? “Questi sono affari della mamma”, sentenzia il papà, con aria di autosufficienza. Lui ha ben altro da fare per il bene della... famiglia. E intanto ne mina alla base l’unità. Viene fuori la figura del marito-papà che, come te, Pietro, preferisce starsene “seduto fuori, nel cortile”. Alla larga da Cristo. I problemi, invece, vanno affrontati in casa. E la casa è il luogo del “noi”. Il “noi” celebrato in Chiesa e suggellato da Cristo che ora, a buon diritto, bussa alla porta del “noi”. E nessuno apre. O quando la porta fa trapelare un filo di luce si intravede solo il volto della donna. E lui?
Lui è appunto “seduto fuori”. Fuori da questi problemi da donnicciole. Lui afferma di seguire Cristo, ma da lontano. Da uomo verace. E, purtroppo, non finisce qui, caro S. Pietro. Non può finire qui. Infatti, poco dopo, un “altro” ti vede e ti inchioda al muro con una frase lapidaria: “Anche tu sei uno di loro” (Lc 22,58). Uno di loro? Non sia mai! La tua rabbia esplode in maniera furibonda: “No, non lo sono” (Lc 22,58).
Hai ragione, Pietro, a riconoscerlo. Quando il rapporto con Cristo diventa ambiguo, anche le relazioni con le persone più care cadono miseramente e irreparabilmente. Se nella famiglia manca l’Altro (sì, con la lettera maiuscola) l’altro (il partner) invece di essere pedana di lancio, diventa pietra d’inciampo e si rischia una caduta rovinosa che coinvolge genitori e figli. Senza l’Altro la relazione interpersonale tra coniugi si lacera e si rattoppa. Si scuce e si ricuce. Si indebolisce e si puntella.
Alla fine si è stanchi di questa tela che si sfilaccia da ogni angolo e si conclude amaramente: “Se è venuto meno l’amore a che pro stare insieme?”. E la separazione dei beni, sottoscritta il giorno del matrimonio, diventa separazione delle persone. E questo perché al posto di valori autentici abbiamo solo dei surrogati che niente hanno a che fare con la vita coniugale. Il superfluo prende il posto del necessario. Il piacere soffoca il dovere. La notte soppianta il giorno. La moda manda a spasso il buon gusto. L’ombelico è più importante del cuore. L’eccentricità la fa da padrona sulla normalità... La logica conseguenza è che le cose sfrattano le persone. E l’unità non ha più
Amore liquido
Il titolo di questa opera di Zygmunt Bauman richiama la sensazione dell’acqua che, tra le dita, scivola via lasciando un senso di vuoto, di inafferrabilità, proprio come i rapporti umani nella società globalizzata. Bauman parla di amore ma include nella parola ogni relazione interpersonale e ne fa un’analisi lucida e impietosa, senza indugiare in nostalgie o sentimentalismi inutili.
Il risultato è un ritratto fedele dell’uomo di questo inizio secolo che, avvolto in una fitta cappa di solitudine, cerca nei rapporti umani una risposta al suo bisogno più profondo di compagnia ma non è più in grado di mettersi in gioco e pensare a una stabilità, al “per sempre” che ha invece caratterizzato l’esistenza di molte generazioni.
Siamo nell’epoca della relazione “tascabile” “dolce e di breve durata … Possiamo presumere che sia dolce perché di breve durata, e che la sua dolcezza risieda precisamente nella piacevole consapevolezza del fatto che non occorre farsi in quattro per prolungarne la dolcezza… La relazione tascabile è l’incarnazione della istantaneità e della smaltibilità”.
Siamo una società xenofoba in cui il successo di una campagna elettorale si gioca sulle promesse di fermare l’immigrazione e la criminalità senza chiedersi il perché del dilagare di tali fenomeni.
Bauman mette il lettore di fronte a se stesso e lo costringe con ironia garbata a pensare e a farsi una domanda sul senso del proprio vivere sociale.
Chiara Cassanelli
voce in capitolo perché imperano le opinioni assolutizzate. E l’altro è un semplice strumento nelle mani dell’egocentrismo. E la casa è un coacervo di monolocali perché ognuno vive la “sua” vita che langue nell’isolamento.
E accanto al moltiplicarsi degli squilli dei telefonini trionfa, imperturbata, l’incomunicabilità più arida. E i vari televisori dislocati in punti strategici riempiono la casa di programmi rendendo latitanti le persone.

Ascoltare, dialogare, incontrare
Non basta rimpiangere un passato quando si era più uniti sotto il caminetto, come si dice. Non basta. E non serve. Bisogna guardare avanti. Bisogna prendere in mano il presente con tutto il suo deficite trovare o ritrovare la strada della Gratuità e della Fraternità. Bisogna rimettere la persona al primo posto e riconoscere alle cose il valore di mezzo. Bisogna ridare all’altro il primato perché l’io si realizzi in pienezza. Bisogna partire dal “tu” per arrivare a un “io” che sia pienamente se stesso. È l’ascolto che dà la possibilità di dare risposte, di parlare, di dialogare, di incontrare l’altro. È il dialogo che annulla i mille soliloqui, che infestano la vita delle famiglie svuotandole di ogni contenuto.
La famiglia di oggi ha bisogno di un pizzico di speranza, di fiducia, di amore vero che il Vangelo, e solo il Vangelo, può dare in sovrabbondanza. Solo il Vangelo, infatti, afferma in modo originale il primato della persona. E non c’è due senza tre, carissimo Pietro. C’è una logica stringente a cui non si può sfuggire. Prima si nega il rapporto con Cristo. Poi, inesorabilmente, si prendono le distanze dai membri della famiglia. Alla fine si rinnega la propria identità. E tu, Pietro, sei arrivato a misconoscere te stesso. Dopo un’ora, infatti, arriva il terzo incomodo.
Avvolto nel suo anonimato piazza la ciliegina sulla torta: “In verità anche questo era con lui; è anche lui Galileo” (Lc 22,59). L’imbarazzo raggiunge il colmo e riesci a dire con una forza che ha tutto il sapore della debolezza estrema: “O uomo, non so quello che dici” (Lc 22,59). E così, Pietro, completi l’opera. Hai cercato di seguire Gesù. Da lontano, naturalmente. Ti sei isolato dalla tua comunità, i discepoli. Sconsideratamente. Ora arrivi a negare le tue stesse origini geografiche e familiari. È il colmo. Rinneghi te stesso. Stai mandando in aria la tua famiglia, gli affetti più cari, la tua professione.
Non ti riconosci più. È il frutto dell’ambiguità che invade tutti i campi della vita relazionale. Tu non avevi mai pensato di passare dalla parte dei potenti, come Giuda. Eri semplice e sincero pur nella tua fragilità. Ma non hai avuto il coraggio di schierarti “con” Gesù in maniera radicale. È vero che non hai alzato il calcagno contro Gesù, come ha fatto Giuda, ma non hai neppure sollevato il piede, nel Cenacolo, per fare un passo verso Cristo che voleva accarezzare e lavare le tue estremità. La ragione della tua ambiguità risale alla lavanda dei piedi, ma affonda le sue radici ancora più a monte.
Tu sognavi un Cristo “trasfigurato”. Con le mani colme di potere. Con un futuro trionfalistico in cui anche tu dovevi essere coinvolto. Cristo ha mandato in frantumi ogni illusione quando “cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno” (Mt 16,21). La tua reazione non è meno chiara e forte: “Questo non ti accadrà mai” (Mt 16,22).

Dal Tabor al Calvario
Di fronte al Cristo “trasfigurato” sul Tabor, rispondente ai tuoi desideri, hai fatto esplodere il tuo entusiasmo incontrollato: “Signore, è bello per noi restare qui” (Mt 17,4). Il Tabor è il vertice dei tuoi sogni. Il Calvario è il vertice dei sogni di Gesù. La differenza è tutta qui. E non è roba da poco. E devo dire che anche tanti genitori, oggi, sposano questa tremenda ambiguità.
Sognano il Tabor. Non vogliono seguire Cristo sul Calvario.
Confondono il piacere passeggero con la gioia duratura. E poi affermano di essere cristiani. Si sono sposati in chiesa. Tanti fiori, tanta musica, tanti canti da rasentare il cattivo gusto. La data è stata stabilita dal ristorante. Fotografi a non finire per immortalare l’attimo fuggente. E poi la “comunione” sotto le due Specie. E l’abbraccio del celebrante al momento dello scambio della pace. E l’applauso finale. Meglio di così?! Più di questo!? Sarebbe bello restare su questo Tabor.
Ma bisogna fare i conti con Cristo che ancora una volta dice la parola vera. Invita a scendere dal Tabor e a salire sul Calvario, il luogo della vera e definitiva trasfigurazione. Relativizza l’album- ricordo (con i suoi diversi milioni di costo) per aprire orizzonti veri alla storia della famiglia.
E allora, tutto nero, carissimo Pietro? Ci troviamo di fronte all’ineluttabile? No! Per niente. Sei proprio tu, Pietro, che ci indichi la strada da percorrere. Lo ha scritto Luca: “Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: ‘Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte’. E uscito, pianse amaramente” (Lc 22,61-62). Grazie, Pietro, per queste lacrime. Lo Sguardo di Gesù e la sua Parola: ecco il segreto della vita personale e familiare.
Lasciarsi guardare! Lasciarsi parlare! Lo Sguardo cambia il cuore! La Parola cambia la vita! Lo Sguardo ci fa vedere con chiarezza il futuro! La Parola ci fa leggere in profondità il presente! Lo Sguardo rivela la misericordia! La Parola diventa “memoriale”! Grazie per questo cammino di conversione che la famiglia, come la Chiesa, deve compiere. Ritrovare Cristo nella fede. Ritrovare la famiglia nell’unità. Ritrovare se stessi nell’amore. Recuperare l’Amore perché la famiglia, come la Chiesa, torni a essere “l’agenzia periferica della Trinità” (don Tonino).

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