DIRITTI NEGATI

Restrizione a oltranza

Luoghi di detenzione. Spazi della scomparsa. Aree in cui il diritto è negato.
La libertà limitata pur senza aver commesso alcun reato penale.
La triste storia dei Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza.
Nicoletta Dentico

Rinchiusi in una definizione che balza agli occhi per i suoi elementi di contraddizione, i Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza (CPTA) sono stati introdotti nell’ordinamento italiano nel 1998, con la legge Turco-Napolitano, fra mille polemiche, diffuse inquietudini politiche e insanabili querelle di carattere giuridico e costituzionale. Identificano i luoghi nei quali sono reclusi i cittadini clandestini e irregolari, che attendono di essere identificati per poi essere espulsi dal nostro Paese.

Luoghi blindati
La loro creazione, non solo in Italia, ha segnato una tappa decisiva nella progressiva definizione di una politica di chiusura delle frontiere della “fortezza Europa”, nei confronti dei flussi migratori. L’Italia, del resto, è stato uno degli ultimi Paesi a introdurli nel proprio ordinamento; il cancello dell’Europa governato dal centro-sinistra si è adeguato, sotto la forte

La protesta di Bari
Nel 2004 il Governo ha realizzato a Bari la struttura del Centro di Permanenza Temporanea “per immigrati irregolari”, situato alla periferia del quartiere San Paolo a immediato ridosso della “cittadella della Guardia di Finanza” e a poche centinaia di metri dalla roulottopoli di Palese, utilizzata come centro di identificazione. Il nuovo Centro dovrebbe contenere duecento posti; dall’esterno appare soltanto un lungo muro alto circa otto metri. Immediatamente ha avuto inizio la protesta di associazioni, sindacati e movimenti politici (uniti nella Rete No-CPT) nonché di consiglieri comunali dell’allora opposizione. Uno dei primi atti politici della nuova amministrazione comunale di centrosinistra, guidata da Michele Emiliano, è stata la delibera di Consiglio Comunale (novembre 2004) che esprime contrarietà alla istituzione del CPT. È seguita un’analoga presa di posizione della Provincia di Bari (Presidente Vincenzo Divella). Nel luglio 2005 il nuovo Presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, ha convocato a Bari il Forum “Mare Aperto”, al quale hanno partecipato presidenti e rappresentanti di tutte le Regioni guidate dal centrosinistra, per esprimere il netto dissenso nei confronti della legge Bossi-Fini e della istituzione dei CPT.
La continua opera di sensibilizzazione della Rete No-CPT è stata accompagnata da successive prese di posizione del Comune (fra le quali una lettera del Sindaco al Ministro Pisanu, rimasta senza risposta). A fine novembre del 2005 la Prefettura di Bari ha comunicato al Comune che l’apertura del CPT era imminente, a far data dal 1° dicembre. Di fatto, la struttura non è ancora aperta. Una difficoltà di non poco conto è stata creata dalla Croce Rossa, i cui responsabili provinciali hanno rifiutato di sottoscrivere il contratto di gestione del CPT nonostante la stessa Croce Rossa avesse vinto la gara d’appalto. Il Sindaco ha fatto appello alle società di erogazione dei servizi (acqua, elettricità, gas) affinché non attivino le utenze, per gli stessi motivi etici per i quali è stato chiesto alle Misericordie (ente che dovrebbe subentrare alla Croce Rossa nella gestione del centro) di rinunciare. Nel frattempo, davanti al CPT si svolge un presidio permanente della Rete No-CPT, che ha ospitato diverse iniziative. Alcuni partiti e sindacati hanno tenuto proprie riunioni nel presidio, e lì sono stati convocati i consigli di due Circoscrizioni della città di Bari (San Paolo e Madonnella). Deputati e consiglieri regionali hanno dato la loro adesione e presenza. L’auspicio e l’augurio è che il Centro di detenzione amministrativa non venga mai aperto, e che una nuova stagione politica possa abrogare la Bossi-Fini e dare all’Italia finalmente una legge civile sull’immigrazione e una organica legge sul diritto d’asilo.
Pasquale Martino - Assessore alla Pace del Comune di Bari
pressione degli altri Stati membri. Sono nati così questi centri, sparsi oggi a macchia di leopardo sul territorio italiano. La politica del governo Berlusconi ha poi fatto il resto. A sei anni dalla loro istituzione senza una accurata elaborazione di modello, restano ancora troppo numerosi i difensori di questi luoghi blindati da sbarre e cinti da mura, oscurati alle opinioni pubbliche – tanto che bisogna fingersi uomo in mare ed essere pescato sotto falsa identità curda, come ha fatto il giornalista dell’Espresso Fabrizio Gatti, per vedere che cosa vi succede dentro. Intanto affiorano le brucianti contraddizioni di questi luoghi d’eccezione, terreni di una strategia politica di restrizione a oltranza, anche attraverso lo strumento della detenzione.
I CPTA inaugurano, infatti, un precedente inquietante: la possibilità di limitare la libertà dell’individuo anche nel caso in cui non sussistano reati penali commessi. In pratica, si è venuto a creare un diritto separato per i cittadini extra-comunitari, in base al quale un cittadino immigrato può essere soggetto a custodia e privazione della libertà personale anche nel caso – puramente amministrativo – di non possedere un permesso di soggiorno.
Sono luoghi controversi sotto il profilo costituzionale e giurisdizionale, contestati a più riprese dalle organizzazioni che si occupano di diritti umani e da numerosi giuristi di tutta Europa perché sanzionano il paradosso giuridico della limitazione della libertà in forme di detenzione come conseguenza di un provvedimento amministrativo. Luoghi difficili anche sotto il profilo umanitario, come ha dimostrato il puntuale rapporto di Medici Senza Frontiere sui CPTA in Italia lanciato nel gennaio 2004: la prima fotografia dall’interno di questa realtà, un’indagine a tutto campo che – pur con tutti i limiti oggettivi – rileva in buona sostanza il fallimento dell’istituto sia rispetto agli obiettivi che esso doveva perseguire, sia sotto il profilo delle diffuse e talvolta sistematiche violazioni dei diritti umani.

Chiusura totale
Le difficoltà legate alla presenza dei CPTA si sono decisamente esasperate man mano che la gestione di questi Centri veniva orientata con la legge Bossi-Fini a un incomprensibile inasprimento delle regole – a partire dalla raddoppiamento del periodo di permanenza fino a 60 giorni. Nel contempo la creazione di nuovi Centri veniva prevista un po’ ovunque in Italia, talvolta con esasperante ambiguità giuridica, per cui sono irrigimentati dalle stesse regole di sorveglianza e umanitarismo autoritario CPTA e Centri di accoglienza (recentemente ridefiniti Centri di Identificazione), in barba alle norme di legge.
E mentre sulla gestione economica dei CPTA aveva a pronunciarsi la Corte dei Conti con una serie di importanti rilevazioni all’amministrazione dello Stato, dimostrando come l’illuminazione di questa realtà ne manifesti immediatamente debolezze e fragilità appariscenti anche sotto il profilo dell’analisi costi/benefici, la mobilitazione delle forze della società civile è andata crescendo a seguito delle modifiche normative introdotte dalla legge 189/02 anche in materia di diritto di asilo, e di relativo accesso alla procedura. La mancanza di norme minime di tutela e la carenza di servizi specifici alle frontiere (in termini di personale esperto e indipendente, di interpreti, di strutture logistiche) fanno ragionevolmente presumere che la violazione del principio di non refoulement (non respingimento) previsto dalla Convenzione sui Rifugiati di Ginevra continuerà a essere prassi frequente ed estesa sulle nostre coste, ancorché scarsamente visibile. Nel contempo, un’inspiegabile riservatezza avvolge i CPTA e le loro dinamiche interne, lasciate perlopiù alle discrezionalità degli enti gestori, delle prefetture e delle questure sul territorio.
Luoghi della scomparsa, come qualcuno li ha definiti, i CPTA sono stati gradualmente resi impermeabili, di fatto chiusi a ogni contatto con la società esterna. Essi restano infatti accessibili solo ai membri del Parlamento e ai rappresentanti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), i quali hanno accettato – nonostante il mandato dell’ACNUR – il progressivo restringimento del loro accesso decretato dal Ministro dell’Interno Pisanu dopo le tragiche espulsioni collettive di Lampedusa del settembre 2004 e del marzo 2005. Le maglie dell’accesso ai CPTA si sono progressivamente ristrette e oggi gli enti gestori, ormai definitivamente cooptati alla logica detentivo-punitiva nella gestione dei cittadini immigrati irregolari, fanno entrare militari e forze di polizia, contravvenendo alla legge, ma non permettono l’accesso a giornalisti e operatori della stampa. Da qualche tempo,

Dal racconto dell’avvocato Alessandra Ballerini
Quando sono entrata con Darwin nella stanza del giudice come prima cosa ho verificato il giorno e l’ora di trasmissione del fax e dentro di me ho subito esultato: il fax era stato inviato alle 10 del sabato precedente e quindi erano decorse più di quarantotto ore. Ho subito verbalizzato questa mia fortunata scoperta. Con grande stupore generale (mio, del mio collega e dell’interprete presente) il giudice di pace, facendo un calcolo tutto suo, sosteneva che essendo lui entrato al CPT Corelli per svolgere le altre udienze precedenti alla mia già alle nove del mattino ed in quell’ora non essendo ancora decorse le quarantotto ore, il trattenimento era perfettamente efficace. È stato totalmente inutile spiegare (prima a toni bassi poi infuriandomi davanti alla sua ottusità) che il legislatore non ha posto particolare attenzione agli orari di spostamento dei giudici, ma come è ovvio, solo al momento di verifica del singolo procedimento. E ciò in base al suddetto principio costituzionale per cui se si viene privati della libertà personale in forza di un atto amministrativo, questo atto deve essere valutato dal giudice entro 48 ore, poco importando a che ora il giudice medesimo si sia alzato dal letto e a che ora si è recato a fare udienza. Il giudice non ha sentito ragioni e ha iniziato a rinfacciare che lui si era svegliato presto e che non era colpa sua se c’erano tante udienze da fare e che quindi, con logica ferrea, convalidava il trattenimento. Siamo usciti dall’aula rabbiosi e avviliti. Solo Darwin è riuscito ancora a mantenere intatto il suo dignitoso autocontrollo, si è avvicinato al giudice, gli ha stretto la mano e guardandolo negli occhi gli ha augurato una buona giornata, “perché, sa, Dio c’è e vede tutto”.
l’entrata per le visite ai trattenuti è negata anche ai consiglieri regionali e ai funzionari degli enti locali che ospitano questi luoghi. Alle associazioni di volontariato viene rilasciato il permesso solo in situazioni del tutto eccezionali, e comunque con sempre maggiori difficoltà anche nelle circostanze di emergenza (vedi il caso di Medici Senza Frontiere).

Libro Bianco
Recinti di appiglio giuridico incerto, i CPTA restano quindi nel cono d’ombra dello sguardo e della consapevolezza, della nostra società. L’opinione pubblica italiana non è del resto l’unica vittima del rischioso deficit di democrazia che affligge in larga misura tutti i cittadini europei su un tema scottante come quello dell’immigrazione, esponendoli strumentalmente alle semplificazioni e alle ideologie che distorcono la reale percezione del fenomeno migratorio e sono di concreto ostacolo alla elaborazione di politiche equilibrate nei confronti delle migrazioni internazionali, e della ragionevole gestione di tutte le sue complesse implicazioni.
A fronte di questa situazione, e al vulnus nel tessuto politico, culturale ed etico che essa comporta, si è costituito due anni fa un Gruppo di Lavoro sui CPTA, composto da parlamentari e addetti ai lavori nel compi dell’immigrazione (organizzazioni umanitarie e dei diritti umani, esperti legali ecc.) per avviare una ricerca su questo istituto combinando mandato ispettivo e competenze specifiche, dotandosi di una modalità di osservazione non approssimativa, fondata innanzitutto sui fatti e un’analisi scrupolosa della situazione all’interno di questi centri. Frutto di questo lavoro non facile, che si è protratto ben oltre i tempi inizialmente previsti, è il Libro Bianco che proprio a gennaio 2006 sarà presentato alla stampa e al mondo parlamentare, perché la questione diventi una delle priorità delle agende politiche in vista dell’appuntamento elettorale.
Il Libro Bianco sui CPTA tocca coscientemente solo un aspetto dell’immigrazione. Ma si tratta per molti versi della punta dell’iceberg, la cuspide di una risposta chiaramente unilaterale e di breve respiro, inadeguata alla necessità geopolitica del movimento delle persone: una tendenza strutturale del mondo contemporaneo cui non possiamo sottrarci. Il suo intento è quello di andare ben oltre la semplicistica definizione che spesso viene data a questi luoghi, quella di moderni lager. Perché la loro eccezionalità li colloca fuori dal diritto, e da ogni controllo giurisdizionale. Ma la loro eccezionalità e il sistematico oscuramento di questi centri, spinge verso una generale accettazione della loro esistenza da parte dell’opinione pubblica, senza comprendere il prezzo di questa rassegnazione alla propaganda di chi li considera necessari. Poi c’è il contesto giuridico italiano, e le lacune che tutto permettono: l’Italia non ha ancora una legge sul diritto d’asilo, non ha una normativa articolata contro la tortura, non ha ratificato (è in buona compagnia di tutti i membri della UE che invece vogliono i centri di detenzione) la Convenzione internazionale sui diritti dei migranti. Non esistono ricette facili a portata di mano per un tema complesso come quello dell’immigrazione. La pretesa di chi ha concepito questo lavoro è anche quella di creare un processo che permetta un’azione politica più consapevole e avvertita da parte dei parlamentari per tenere una luce accesa su questi luoghi extra-territoriali e attivare un dialogo serrato, adulto e civile con l’amministrazione dello Stato su questa materia, ispirato ai criteri della trasparenza, della certezza del diritto, che è la sola sicurezza, del controllo.
Lo scrutinio dell’edificio CPTA, volto all’identificazione di soluzioni che rispondano a criteri di comprensione degli scenari globali e non già a un’ottica di consenso politico interno, è quindi esercizio del tutto necessario. Occorre fare di questo percorso un’occasione di studio politico, di costruzione di alleanze nel mondo parlamentare, e di ricerca del sostegno dell’opinione pubblica. Solo se le opinioni pubbliche opportunamente informate si convinceranno, a partire dai segmenti più sensibili e avanzati, che la regolamentazione intelligente e aperta dei flussi migratori corrisponde all’interesse pubblico generale di un mondo globalizzato, è insomma un’opportunità e non una minaccia, le politiche ufficiali seguiranno. Il primo passo in questa direzione deve essere la chiusura dei centri di permanenza temporanea, chiede il Libro Bianco, lanciando la scommessa di una politica coraggiosa, seria e realistica nei confronti dei flussi migratori, non solo in Italia, ma nel contesto europeo.
“Il modo in cui affronteremo la questione delle politiche migratorie e dell’asilo avrà un profondo impatto sui rapporti tra i popoli del mondo sviluppato e di quello in via di sviluppo. Rivelerà molto anche della nostra moralità e della sincerità del nostro impegno a favore della dignità umana e dell’uguaglianza tra le persone”: con queste parole il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ben sottolineava nel novembre 2002 fino a che punto la gestione delle migrazioni internazionali sia il decisivo banco di prova per l’umanità attuale e futura, ovvero il filo di lana su cui si muove la colossale ipocrisia sui diritti umani tanto sbandierati come patrimonio valoriale del mondo occidentale.

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