Restrizione a oltranza
La libertà limitata pur senza aver commesso alcun reato penale.
La triste storia dei Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza.
Rinchiusi in una definizione che balza agli occhi per i suoi elementi di contraddizione, i Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza (CPTA) sono stati introdotti nell’ordinamento italiano nel 1998, con la legge Turco-Napolitano, fra mille polemiche, diffuse inquietudini politiche e insanabili querelle di carattere giuridico e costituzionale. Identificano i luoghi nei quali sono reclusi i cittadini clandestini e irregolari, che attendono di essere identificati per poi essere espulsi dal nostro Paese.
Luoghi blindati
La loro creazione, non solo in Italia, ha segnato una tappa decisiva nella progressiva definizione di una politica di chiusura delle frontiere della “fortezza Europa”, nei confronti dei flussi migratori. L’Italia, del resto, è stato uno degli ultimi Paesi a introdurli nel proprio ordinamento; il cancello dell’Europa governato dal centro-sinistra si è adeguato, sotto la forte
La continua opera di sensibilizzazione della Rete No-CPT è stata accompagnata da successive prese di posizione del Comune (fra le quali una lettera del Sindaco al Ministro Pisanu, rimasta senza risposta). A fine novembre del 2005 la Prefettura di Bari ha comunicato al Comune che l’apertura del CPT era imminente, a far data dal 1° dicembre. Di fatto, la struttura non è ancora aperta. Una difficoltà di non poco conto è stata creata dalla Croce Rossa, i cui responsabili provinciali hanno rifiutato di sottoscrivere il contratto di gestione del CPT nonostante la stessa Croce Rossa avesse vinto la gara d’appalto. Il Sindaco ha fatto appello alle società di erogazione dei servizi (acqua, elettricità, gas) affinché non attivino le utenze, per gli stessi motivi etici per i quali è stato chiesto alle Misericordie (ente che dovrebbe subentrare alla Croce Rossa nella gestione del centro) di rinunciare. Nel frattempo, davanti al CPT si svolge un presidio permanente della Rete No-CPT, che ha ospitato diverse iniziative. Alcuni partiti e sindacati hanno tenuto proprie riunioni nel presidio, e lì sono stati convocati i consigli di due Circoscrizioni della città di Bari (San Paolo e Madonnella). Deputati e consiglieri regionali hanno dato la loro adesione e presenza. L’auspicio e l’augurio è che il Centro di detenzione amministrativa non venga mai aperto, e che una nuova stagione politica possa abrogare la Bossi-Fini e dare all’Italia finalmente una legge civile sull’immigrazione e una organica legge sul diritto d’asilo.
Pasquale Martino - Assessore alla Pace del Comune di Bari
I CPTA inaugurano, infatti, un precedente inquietante: la possibilità di limitare la libertà dell’individuo anche nel caso in cui non sussistano reati penali commessi. In pratica, si è venuto a creare un diritto separato per i cittadini extra-comunitari, in base al quale un cittadino immigrato può essere soggetto a custodia e privazione della libertà personale anche nel caso – puramente amministrativo – di non possedere un permesso di soggiorno.
Sono luoghi controversi sotto il profilo costituzionale e giurisdizionale, contestati a più riprese dalle organizzazioni che si occupano di diritti umani e da numerosi giuristi di tutta Europa perché sanzionano il paradosso giuridico della limitazione della libertà in forme di detenzione come conseguenza di un provvedimento amministrativo. Luoghi difficili anche sotto il profilo umanitario, come ha dimostrato il puntuale rapporto di Medici Senza Frontiere sui CPTA in Italia lanciato nel gennaio 2004: la prima fotografia dall’interno di questa realtà, un’indagine a tutto campo che – pur con tutti i limiti oggettivi – rileva in buona sostanza il fallimento dell’istituto sia rispetto agli obiettivi che esso doveva perseguire, sia sotto il profilo delle diffuse e talvolta sistematiche violazioni dei diritti umani.
Chiusura totale
Le difficoltà legate alla presenza dei CPTA si sono decisamente esasperate man mano che la gestione di questi Centri veniva orientata con la legge Bossi-Fini a un incomprensibile inasprimento delle regole – a partire dalla raddoppiamento del periodo di permanenza fino a 60 giorni. Nel contempo la creazione di nuovi Centri veniva prevista un po’ ovunque in Italia, talvolta con esasperante ambiguità giuridica, per cui sono irrigimentati dalle stesse regole di sorveglianza e umanitarismo autoritario CPTA e Centri di accoglienza (recentemente ridefiniti Centri di Identificazione), in barba alle norme di legge.
E mentre sulla gestione economica dei CPTA aveva a pronunciarsi la Corte dei Conti con una serie di importanti rilevazioni all’amministrazione dello Stato, dimostrando come l’illuminazione di questa realtà ne manifesti immediatamente debolezze e fragilità appariscenti anche sotto il profilo dell’analisi costi/benefici, la mobilitazione delle forze della società civile è andata crescendo a seguito delle modifiche normative introdotte dalla legge 189/02 anche in materia di diritto di asilo, e di relativo accesso alla procedura. La mancanza di norme minime di tutela e la carenza di servizi specifici alle frontiere (in termini di personale esperto e indipendente, di interpreti, di strutture logistiche) fanno ragionevolmente presumere che la violazione del principio di non refoulement (non respingimento) previsto dalla Convenzione sui Rifugiati di Ginevra continuerà a essere prassi frequente ed estesa sulle nostre coste, ancorché scarsamente visibile. Nel contempo, un’inspiegabile riservatezza avvolge i CPTA e le loro dinamiche interne, lasciate perlopiù alle discrezionalità degli enti gestori, delle prefetture e delle questure sul territorio.
Luoghi della scomparsa, come qualcuno li ha definiti, i CPTA sono stati gradualmente resi impermeabili, di fatto chiusi a ogni contatto con la società esterna. Essi restano infatti accessibili solo ai membri del Parlamento e ai rappresentanti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), i quali hanno accettato – nonostante il mandato dell’ACNUR – il progressivo restringimento del loro accesso decretato dal Ministro dell’Interno Pisanu dopo le tragiche espulsioni collettive di Lampedusa del settembre 2004 e del marzo 2005. Le maglie dell’accesso ai CPTA si sono progressivamente ristrette e oggi gli enti gestori, ormai definitivamente cooptati alla logica detentivo-punitiva nella gestione dei cittadini immigrati irregolari, fanno entrare militari e forze di polizia, contravvenendo alla legge, ma non permettono l’accesso a giornalisti e operatori della stampa. Da qualche tempo,
Libro Bianco
Recinti di appiglio giuridico incerto, i CPTA restano quindi nel cono d’ombra dello sguardo e della consapevolezza, della nostra società. L’opinione pubblica italiana non è del resto l’unica vittima del rischioso deficit di democrazia che affligge in larga misura tutti i cittadini europei su un tema scottante come quello dell’immigrazione, esponendoli strumentalmente alle semplificazioni e alle ideologie che distorcono la reale percezione del fenomeno migratorio e sono di concreto ostacolo alla elaborazione di politiche equilibrate nei confronti delle migrazioni internazionali, e della ragionevole gestione di tutte le sue complesse implicazioni.
A fronte di questa situazione, e al vulnus nel tessuto politico, culturale ed etico che essa comporta, si è costituito due anni fa un Gruppo di Lavoro sui CPTA, composto da parlamentari e addetti ai lavori nel compi dell’immigrazione (organizzazioni umanitarie e dei diritti umani, esperti legali ecc.) per avviare una ricerca su questo istituto combinando mandato ispettivo e competenze specifiche, dotandosi di una modalità di osservazione non approssimativa, fondata innanzitutto sui fatti e un’analisi scrupolosa della situazione all’interno di questi centri. Frutto di questo lavoro non facile, che si è protratto ben oltre i tempi inizialmente previsti, è il Libro Bianco che proprio a gennaio 2006 sarà presentato alla stampa e al mondo parlamentare, perché la questione diventi una delle priorità delle agende politiche in vista dell’appuntamento elettorale.
Il Libro Bianco sui CPTA tocca coscientemente solo un aspetto dell’immigrazione. Ma si tratta per molti versi della punta dell’iceberg, la cuspide di una risposta chiaramente unilaterale e di breve respiro, inadeguata alla necessità geopolitica del movimento delle persone: una tendenza strutturale del mondo contemporaneo cui non possiamo sottrarci. Il suo intento è quello di andare ben oltre la semplicistica definizione che spesso viene data a questi luoghi, quella di moderni lager. Perché la loro eccezionalità li colloca fuori dal diritto, e da ogni controllo giurisdizionale. Ma la loro eccezionalità e il sistematico oscuramento di questi centri, spinge verso una generale accettazione della loro esistenza da parte dell’opinione pubblica, senza comprendere il prezzo di questa rassegnazione alla propaganda di chi li considera necessari. Poi c’è il contesto giuridico italiano, e le lacune che tutto permettono: l’Italia non ha ancora una legge sul diritto d’asilo, non ha una normativa articolata contro la tortura, non ha ratificato (è in buona compagnia di tutti i membri della UE che invece vogliono i centri di detenzione) la Convenzione internazionale sui diritti dei migranti. Non esistono ricette facili a portata di mano per un tema complesso come quello dell’immigrazione. La pretesa di chi ha concepito questo lavoro è anche quella di creare un processo che permetta un’azione politica più consapevole e avvertita da parte dei parlamentari per tenere una luce accesa su questi luoghi extra-territoriali e attivare un dialogo serrato, adulto e civile con l’amministrazione dello Stato su questa materia, ispirato ai criteri della trasparenza, della certezza del diritto, che è la sola sicurezza, del controllo.
Lo scrutinio dell’edificio CPTA, volto all’identificazione di soluzioni che rispondano a criteri di comprensione degli scenari globali e non già a un’ottica di consenso politico interno, è quindi esercizio del tutto necessario. Occorre fare di questo percorso un’occasione di studio politico, di costruzione di alleanze nel mondo parlamentare, e di ricerca del sostegno dell’opinione pubblica. Solo se le opinioni pubbliche opportunamente informate si convinceranno, a partire dai segmenti più sensibili e avanzati, che la regolamentazione intelligente e aperta dei flussi migratori corrisponde all’interesse pubblico generale di un mondo globalizzato, è insomma un’opportunità e non una minaccia, le politiche ufficiali seguiranno. Il primo passo in questa direzione deve essere la chiusura dei centri di permanenza temporanea, chiede il Libro Bianco, lanciando la scommessa di una politica coraggiosa, seria e realistica nei confronti dei flussi migratori, non solo in Italia, ma nel contesto europeo.
“Il modo in cui affronteremo la questione delle politiche migratorie e dell’asilo avrà un profondo impatto sui rapporti tra i popoli del mondo sviluppato e di quello in via di sviluppo. Rivelerà molto anche della nostra moralità e della sincerità del nostro impegno a favore della dignità umana e dell’uguaglianza tra le persone”: con queste parole il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ben sottolineava nel novembre 2002 fino a che punto la gestione delle migrazioni internazionali sia il decisivo banco di prova per l’umanità attuale e futura, ovvero il filo di lana su cui si muove la colossale ipocrisia sui diritti umani tanto sbandierati come patrimonio valoriale del mondo occidentale.