Quattro pilastri
Ero stato nominato vescovo ausiliare. E il Concilio era nel suo pieno sviluppo. Vi sono entrato nell’ottobre 1963 quando i vescovi, dopo ampia riflessione, decisero di raccogliere tutti gli argomenti frammentati in quella che diventò poi la Gaudium et spes. Il titolo esprimeva con chiarezza – secondo don Tonino Bello – che finalmente la gioia e la speranza degli uomini, delle mamme, dei papà, dei lavoratori diventavano la gioia e la speranza della Chiesa.
Ciò che mi colpì durante i lavori conciliari era la condanna della guerra chiesta da due cardinali, Feltin di Parigi e Alfrink di Utrecht, che avrei scoperto successivamente essere stati il presidente di Pax Christi e il suo successore. Nel contempo, in netta contrapposizione a tale richiesta, il vescovo di New York, ordinario militare in America, dopo aver trascorso il Natale in Vietnam, ebbe a dire “Non pugnalate alle spalle i nostri giovani che stanno difendendo in Estremo Oriente la civiltà cristiana”.
La Gaudium et spes ebbe un cammino faticoso, ma permise una grossa apertura sui temi della pace. Certo, la posizione della Pacem in terris è più netta laddove afferma che “è contro la ragione credere che con la guerra si possa giungere alla pace…”. Si cominciava allora a parlare di obiezione di coscienza, tema approfondito da Paolo VI nella Populorum progressio, in cui si afferma che l’obiezione di coscienza è in linea con il Vangelo e successivamente dal Sinodo dei vescovi del 1971, che la dichiarerà più evangelica del servizio militare.
Il Concilio Vaticano II non era un Concilio dogmatico ma pastorale. Voleva ribadire alla gente di quel tempo, e di oggi, le cose di sempre. Pur essendo la sua natura pastorale ha avuto importanti ricadute teologiche: basti pensare alle quattro Costituzioni che ne sono i documenti fondamentali. Fu in questo Concilio, ad esempio, che si dichiarò che la fede non è tanto conoscere la verità ma credere che Dio mi sta parlando attraverso il canale della Parola rivolta alla comunità. E qui si stabilì il principio secondo cui alla Messa non si assiste ma si partecipa con Cristo, ci si unisce a Lui.
Dal Concilio, proprio nella Gaudium et Spes, escono le uniche due condanne: contro la corsa al riarmo (La corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità) e contro la guerra (ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città è delitto contro Dio e contro l’umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato).
Lo sviluppo dei popoli
La guerra e la pace sono temi centrali, dunque, del Concilio. E sono temi indissolubilmente legati allo sviluppo dei popoli e alle possibilità concesse dal nostro modo di vivere e di pensare l’economia.
Paolo VI nella Populorum progressio, preparata con l’apporto fondamentale del cardinale Lercaro, afferma che il nuovo nome della pace è lo sviluppo dei popoli. Il mondo è fatto però in modo che qualche popolo si sviluppi a spese di altri a cui non è concessa alcuna alternativa.
Come è noto, quattro sono i pilastri che la Pacem in terris pone come fondamenta per la costruzione di un modello di pace e di sviluppo nuovo: la Verità – la verità dell’essere umano, di ogni essere umano, a prescindere dalla cultura, dalla razza, dalla religione; la Giustizia – che impedisce la costruzione di un mondo a propria misura e l’incremento di un divario tra popoli e culture; la Solidarietà, cioè l’amore – lo stesso Giovanni Paolo II, dopo venti anni, nell’enciclica Sollecitudo rei socialis afferma che il nuovo nome della pace è la solidarietà. Questo valore diviene il segno distintivo di ogni cristiano, ne parla Gesù nel Vangelo a proposito del samaritano che si fa prossimo.
Anche nel momento del giudizio finale il criterio di valutazione sarà “quello che avete o non avete fatto al più piccolo dei miei fratelli”. Solidarietà quindi non significa fare l’elemosina, ma riconoscere il diritto che gli altri hanno in quanto esseri umani.
Il quarto pilastro è la Libertà; spesso chi è più forte tende a imporsi agli altri con la violenza, ma essa provoca altra violenza. È la nonviolenza attiva la sola risposta possibile, insita e iscritta nelle radici stesse della Chiesa. Chiesa che, forse per influenze diverse, ha dimenticato o non ci ha pensato abbastanza.
È Gesù che ci chiede di offrire l’altra guancia. Nel momento in cui egli è percosso, durante la passione, chiede al suo aguzzino il perché di tale gesto: offrire l’altra guancia vuol dire rispondere alla violenza in modo che anche l’altro possa interrompere la propria violenza.