Ladri d’acqua
Riccardo Petrella è presidente dell’acquedotto regionale pugliese e consigliere della Commissione Europea a Bruxelles, professore di mondializzazione presso l’Università Cattolica di Lovanio (Belgio). Da poco più di un mese è stato anche nominato nel gruppo di lavoro per la redazione del rapporto annuale sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite del 2006, unico membro italiano dell’Advisory Panel.
Pensavamo che le “guerre dell’acqua e per l’acqua” fossero roba da Terzo Mondo. In Italia esiste una sorta di “guerra dell’acqua”? Chi sono i “ladri d’acqua”?
Esistono conflitti tra usi alternativi dell’acqua all’interno di una stessa regione. Da noi non si è arrivati a forme di guerra come in Palestina, oppure in Bolivia, in India, in Pakistan. Quando invece insorgono emergenze idriche (e ce ne sono sempre di più) arrivano i conflitti: tra i consorzi agricoli, tra le popolazioni urbane ecc.. È chiaro che, in caso di siccità, bisogna scegliere a cosa dare la priorità: agli usi agricoli, agli usi domestici, agli usi per elettricità ecc…
Questi conflitti si stanno moltiplicando dappertutto anche perché il nostro territorio è caratterizzato da un dissesto idrogeologico strutturale forte. Anche in Italia queste situazioni aumentano. Noi come acquedotto pugliese, assieme ad altri colleghi dell’acquedotto lucano (e non solo), stiamo tentando di prevenire un’eventuale evoluzione negativa di conflitto tra regioni. Il rischio è che le regioni sviluppino una concezione di una politica dell’acqua di tipo nazionalista, portando beneficio economico alle proprie casse dalla vendita dell’acqua.
Con il presidente dell’acquedotto lucano, stiamo tentando di proporre alle altre regioni meridionali un tavolo di colloquio, di dibattito e di analisi anche sulla base di intese già costruite: esiste un tavolo di coordinamento interregionale sul piano della politica delle risorse idriche. Contiamo, nei prossimi mesi e anni, di darci l’opportunità di concepire una politica cooperativa tipica del meridione d’Italia. Il tutto per sviluppare una politica idrica che produca benefici non solo in termini di creazione di sinergie, di competenze e di scambi, ma che favorisca anche una nuova politica dell’organizzazione del vivere insieme. Ritengo che questa sia una pista importante da seguire per evitare le guerre dell’acqua anche tra le regioni d’Italia”.
L’Italia è il primo Paese al mondo che consuma acqua minerale in bottiglia. Paradossalmente gli stessi imprenditori dell’acqua minerale pagano anche l’acqua del rubinetto proveniente dall’acquedotto. Che ne pensa?
Ormai la gente ha capito che le acque minerali costituiscono uno scandalo inaccettabile. Sia le acque di falda come le acque minerali delle sorgenti sono di proprietà pubblica. Però dal 1927, con una apposita legge, sono state date in concessione ai privati, i quali ne hanno fatto una specie di industria. Nessuna acqua italiana (gruppo San Pellegrino, Ferrarelle ecc..) ha un capitale maggioritario di proprietà italiana: il gruppo San Pellegrino è controllato dalla Nestlè, il gruppo Ferrarelle dalla Danone. Lo scandalo è che un’acqua di proprietà pubblica viene data a privati che, da un punto di vista di interesse di capitale privato, ne abusano e i detentori di capitale americani e giapponesi della Nestlè ne traggono i benefici: l’acqua San Pellegrino è la più venduta negli Stati Uniti. Un ulteriore motivo di scandalo è che il prezzo dell’acqua minerale è spaventosamente elevato!
Qui in Puglia, ad esempio, facciamo pagare l’acqua 1,27 euro al metro cubo (compreso di depurazione, di distribuzione e del costo fognatura) . Se si va a comprare una bottiglia di San Pellegrino o di Evian lo si paga tra 90 centesimi a 1,6 euro la bottiglia. L’acqua minerale in bottiglia è più cara dell’acqua del rubinetto.
È uno scandalo che il pubblico consenta di mantenere questa specie di mercato “cocalizzato” dell’acqua solo perché ha il 28% dell’Iva. Più si vendono acque minerali più gli introiti per lo Stato sono alti. La propaganda mercantile delle compagnie private ha studiato una campagna intelligente che ha talmente inciso sulle scelte delle persone che i cittadini d’Europa, e soprattutto d’Italia, per bere e per dissetarsi usano l’acqua in bottiglia in sostituzione di quella potabile del rubinetto, considerata non buona. Mentre
La Coca Cola ha acquistato la società rionerese di acque minerali Traficante. Il colosso industriale ha versato circa 35 milioni di euro. Nell'acquisizione, avvenuta tramite della società greca Coca-Cola Hellenic Bottling, sono inclusi due stabilimenti di produzione nel Sud d'Italia nonché i marchi “Lilia” (acqua minerale naturale) e “Lilia Kiss” (acqua minerale gassata) noti a livello nazionale. Si prevede che l'operazione verrà perfezionata entro giugno 2006, tenendo conto dell'eventuale necessità di ottenere l'approvazione delle autorità competente.
Fonte: http://www.greenplanet.net
la gazzetta del mezzogiorno, 16 febbraio 2006
Arriviamo poi al paradosso per cui l’amministrazione pubblica tenta di spendere molto per fare pubblicità sull’acqua del rubinetto per contrastare l’uso dell’acqua in bottiglia di cui è anche proprietaria. Ci rendiamo conto della contraddizione? L’amministrazione pubblica è proprietaria sia dell’acqua del rubinetto che dell’acqua minerale. Fa pubblicità per contrastare l’uso dell’acqua in bottiglia e nello stesso tempo facilita l’uso regolare e permanente dell’acqua minerale, che non dovrebbe essere invece consentito.
Si spendono un sacco di soldi per la potabilizzazione dell’acqua degli acquedotti delle case e la gente ne fa uso per la toilette o per le lavatrici che non hanno bisogno di avere l’acqua potabile.
È possibile privatizzare un bene primario come l’acqua senza che il cittadino lo sappia?
No! La cultura dominante degli ultimi vent’anni di cui dicevo prima è sbagliata: ci sono dei beni come l’acqua, e dei servizi come quelli idrici di distribuzione, depurazione, trattamento che, in quanto essenziali e insostituibili alla vita sia individuale che collettiva, non possono essere oggetto di logiche di scambio o economico-finanziarie ispirate dal principio dell’utilità individuale e della sua massimizzazione, cioè il profitto. La cultura anche dei gruppi di sinistra in Italia ha fatto opera di mistificazione distinguendo il bene dal servizio.
Si dice, cioè, che l’acqua come bene naturale (i fiumi, i laghi, le falde) è sempre di proprietà pubblica, invece i servizi (distribuzione, depurazione…) sono concessi a privati in quanto più efficienti. Specie in Italia – e questo ci caratterizza da altri Paesi – in cui il pubblico negli ultimi 50 anni si è dimostrato particolarmente inefficace, inefficiente e corrotto. Contrariamente alle promesse ventilate in favore della privatizzazione delle acque pubbliche,e si è assistito dopo l’introduzione della gestione privata, a un aumento dei prezzi e delle tariffe.
L’opinione pubblica, dunque, comincia a rendersi conto che la privatizzazione degli acquedotti non è stata buona, non c’è stata trasparenza e nella gestione del servizio idrico è stata introdotta sempre più una logica finanziaria di competizione. Si vende il servizio idrico come un servizio territoriale, competitivo. Loro metterebbero insieme la gestione dell’acquedotto con quella dei rifiuti e dell’energia poi verrebbero nuovamente scorporate in funzione di una logica finanziaria.
La gente si è resa conto delle mistificazioni della privatizzazione. Ecco perché negli ultimi tempi, in Italia ci sono sempre più Comuni che non vogliono più entrare in questa logica. Vorrei anche ricordare che negli ultimi anni, a partire dal 2002-2003, con leggi finanziarie introdotte dal governo Berlusconi, anche un’ impresa di un servizio idrico di una Regione o di una Provincia (si dice degli ATO) che è capitale pubblico, deve giuridicamente essere considerata una Società per Azioni.
Esistono in Italia i “ladri d’acqua”?
Ma certo che esistono i ladri d’acqua! Sono coloro che permettono al privato di entrare nella gestione totale dell’acqua. Ripeto che non si può guadagnare sull’acqua perché è un bene pubblico. Occorre pagare quanto è necessario per l’erogazione del servizio a tutti. Ma i costi devono essere abbattuti al minimo. Essendo l’acqua come l’aria un bene primario, fondamentale, prezioso per l’uomo, la parola privatizzazione non si può neanche menzionare!
Profitto a ogni costo: un domani privatizzeremo anche l’aria che respiriamo?
Certo! Abbiamo già incominciato a farlo in tante maniere. So che gli Stati Uniti hanno comperato, per esempio, chilometri quadrati di aria, di ossigeno. Ho idea che anche l’aria diventerà merce. Come stiamo mercificando tutto! E questo non possiamo accettarlo!