Quali novità?
Coscienza critica di fronte allo Stato.
Per una Chiesa sempre più a somiglianza di Dio.
La prima enciclica di papa Benedetto XVI ha spiazzato un po’ tutti, ma specialmente gli operatori dei media, compresi i cosiddetti “vaticanisti”, proprio in ragione del tema affrontato. Il “Deus Caritas Est” – a parte la lingua latina – pur essendo infatti un argomento pienamente organico con la dottrina e la vita della Chiesa, non è immediatamente collegabile con i grandi temi che agitano la società moderna: la guerra e la pace, la bioetica, il sottosviluppo, la giustizia, la democrazia... papa Ratzinger non si è evidentemente molto preoccupato di colpire la fantasia e la curiosità dei lettori, quanto piuttosto di dare un messaggio che rispondesse ai bisogni profondi anzitutto della Chiesa e dei cristiani e indirettamente
anche dell’intera umanità.
Il contesto storico-culturale in cui viviamo è caratterizzato da alcuni fenomeni che egli, prima da cardinale e poi anche nei primi mesi di pontificato, ha più volte denunciato come sintomi di pericolosa confusione:
– Il relativismo religioso, cioè la convinzione che una religione vale l’altra;
– Il relativismo etico che porta a considerare il bene e il male realtà mutevoli,
legate alla cultura e alla volontà degli uomini;
– Il fondamentalismo, che fa della propria appartenenza religiosa un assoluto
e tende a imporla anche alla vita civile;
– La strumentalizzazione della religione in funzione di particolari opzioni politiche.
In questo contesto il Santo Padre ha ritenuto prioritario ritornare alle radici della fede cristiana per capire chi è Dio, chi è l’uomo, chi è la Chiesa e quale è il suo rapporto con la società umana. In sintesi il papa appare preoccupato di recuperare l’identità cristiana, non con l’intento di isolarla e di custodirla come in uno scrigno, quanto piuttosto per sospingerla a sprigionare tutte le sue potenzialità a vantaggio dell’umanità.
È difficile parlare di “novità” dell’enciclica, giacché il tema della carità è un contenuto ricorrente dell’insegnamento ecclesiale. Fa novità, però, il fatto che un papa abbia voluto affrontare questo tema in modo organico nella sua prima enciclica, quasi a mettere un fondamento all’intero pontificato.
Gli elementi dell’enciclica degni di particolare attenzione, anche se non indici di novità, sono:
– Il legame tra l’identità di Dio-Agape e l’identità dell’uomo;
– Il ruolo pastorale della Chiesa nella testimonianza;
– Il rapporto tra carità e giustizia e il conseguente contributo che la carità cristiana può offrire alla realizzazione della giustizia.
Identità a confronto
La prima idea espressa da Benedetto XVI è il collegamento tra l’identità di Dio e l’identità dell’uomo. La Genesi riporta un’affermazione precisa: “Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” (Gen 1,26). E ancora: “Dio creò l’uomo a sua somiglianza; a somiglianza di Dio lo creò; maschio e femmina lo creò” (Gen 1,27). Cosa significa che la creatura umana è immagine e somiglianza di Dio? A fermarci al testo della Genesi si poteva pensare che la somiglianza riguardava il dominio sulle creature, partecipato da Dio all’uomo. Infatti nello stesso versetto 1,26 Dio stabilisce che l’uomo “presieda ai pesci del mare, ai volatili del cielo e alle bestie e a tutta la terra”.
Ma alla conclusione della rivelazione viene esplicitata l’identità precisa di Dio: “Dio è amore”. Di conseguenza chi vive nell’amore rimane in Dio, cioè solo chi vive nell’amore esprime la propria identità di immagine e somiglianza di Dio. L’evangelista Giovanni ne deduce che l’uomo sviluppa pienamente la sua personalità solo se vive nell’amore, se si apre agli altri: “Chi non ama, è nella morte” (I. Gv. 3,14). La rivelazione definitiva chiarisce inoltre che Dio non è un solitario, ma è una comunità di persone. Pertanto Egli diventa riferimento di identità per l’uomo non solo come individuo, ma anche considerato nella sua “socialità”.
Don Tonino Bello sviluppa nei suoi scritti tutta una serie di considerazioni sull’affermazione del Concilio Vaticano II, che presenta la Trinità di Dio come causa esemplare della Chiesa e della comunità umana. Nella Trinità, egli afferma, ogni persona è se stessa, uguale o distinta dalle altre due. Nessuna delle tre oscura od opprime le altre. Inoltre ognuna delle Tre Persone è così aperta alle altre, in relazione così stretta con loro, da essere un Dio solo. La Chiesa – come pure la comunità umana – per muoversi a “immagine e somiglianza di Dio”, dovrebbe per un verso rispettare la dignità di ogni persona, dal feto, al malato, all’anziano totalmente dipendente, allo straniero...
Per altro verso deve preoccuparsi di educare ogni suo membro ad aprirsi agli altri nella solidarietà e nel servizio. In sintesi la vera comunità umana deve realizzare “l’unità nel pluralismo”. Ogni oppressione, ogni emarginazione, ogni tentativo di esclusione di qualsiasi persona, come ad esempio il lasciare morire milioni di bambini di fame e per malattia – conclude Don Tonino Bello – prima che una violazione del codice civile o penale, costituisce un peccato contro la Trinità.
La carità di Cristo
Chiesa e carità è il secondo tema affrontato in termini nuovi dall’enciclica. Due sono, su questo problema, gli elementi innovativi. Anzitutto la collocazione della testimonianza di carità all’interno della missione evangelizzatrice della Chiesa. L’esercizio della carità è una strada di evangelizzazione, accanto all’annuncio verbale del Vangelo e alla celebrazione dei misteri. I termini usati dal Santo Padre sono molto chiari: “L’esercizio della carità è uno degli ambiti essenziali della vita della Chiesa, insieme con l’amministrazione dei Sacramenti e l’annuncio della Parola... La Chiesa non può trascurare il servizio della carità, così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola” (D.C.E. 22).
Sempre su questo aspetto l’enciclica sottolinea che la testimonianza di carità investe la Chiesa in quanto tale e quindi è sotto la responsabilità primaria del Vescovo. Ci possono essere molte associazioni cattoliche che si occupano di carità, ma “il vero soggetto... del servizio di carità è la Chiesa stessa e ciò a tutti i livelli, iniziando dalle parrocchie, attraverso le Chiese particolari, fino alla Chiesa universale” (D.C.E. 3/B). “La carità non è per la Chiesa una specie di attività che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza” (D.C.E. 25).
Naturalmente, non ogni atto di solidarietà opera automaticamente evangelizzazione, ma solo la carità che è autenticamente cristiana, che presenta cioè le caratteristiche della carità di Cristo e quindi rimanda a Lui come fonte.
Tra queste caratteristiche il Santo Padre evidenzia la gratuità, che esclude secondi fini, e perfino l’intenzione di convertire il povero alla fede: “La carità non dev’essere mezzo in funzione del... proselitismo... Chi esercita la carità in nome della chiesa, non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa... Egli sa che l’amore, nella sua pienezza e gratuità, è la migliore testimonianza di Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare (D.C.E. 31/B).
Queste affermazioni non sono in realtà nuove: la Caritas le va proponendo fin dalla sua nascita. Nuova è l’autorevolezza di chi le riprende e il dovere conseguente di tutti nella Chiesa di tenerne conto.
Carità e giustizia
L’ultimo elemento di novità dell’enciclica riguarda il rapporto carità-giustizia.
L’enciclica evidenzia due particolari:
1. Anzitutto precisa che la competenza e il dovere di attuare la giustizia è dello Stato e appartiene all’identità della politica. Anche la Chiesa è evidentemente interessata alla realizzazione di un ordinamento secondo giustizia, ma essa “non può e non intende prendere nelle sue mani la battaglia politica e mettersi al posto dello Stato. E tuttavia non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia” (D.C.E. N. 28). Il papa sottolinea però che la giustizia è necessaria ma insufficiente. Si rende perciò indispensabile l’apporto della carità offerto dalla Chiesa.
2. Il contributo della Chiesa, portatrice della carità cristiana, alla giustizia consiste:
– nell’essere coscienza critica di fronte allo Stato, cioè nell’essere stimolo alla giustizia, affinché i responsabili politici non siano inquinati dalla ricerca del potere e del proprio interesse;
– nel contribuire alla realizzazione del bene comune con i propri servizi di carità. Tali servizi devono caratterizzarsi per la prontezza nel rispondere ai bisogni nuovi, per la competenza professionale, per il senso di umanità
– il papa lo chiama “l’attenzione del cuore” e per la disponibilità di quanti operano nella carità a coordinarsi, evitando così il rischio di creare dei doppioni nei servizi e di lasciare dei vuoti nella risposta ai bisogni;
– infine l’apporto della Chiesa si concentra nella presenza dei fedeli laici, impegnati sotto la propria responsabilità a costruire una società animata dai valori dell’uguaglianza, della solidarietà, della pace.
Il papa conclude il suo messaggio richiamando i fedeli laici a vivere la carità come profezia. “Spetta loro nell’agire politico, di aprire nuove strade alla politica. A me sta particolarmente a cuore però sottolineare che la giustizia non può mai rendere superfluo l’amore. Solo l’amore dà un’anima alla giustizia”.