Tracce di Pasqua
Tracce di resurrezione. Varchi di speranza. Che si intravedono all’orizzonte e che consentono ai primi bagliori dell’alba di rischiarare le nostre oscurità. Tracce di speranza e di liberazione, soprattutto nei luoghi e sui temi in cui è il buio ad avere la meglio: è l’augurio più profondo e la preghiera più sentita che questa redazione consegna quest’anno per la Pasqua. Anche dopo Pasqua! Perché in troppi angoli del pianeta-mondo e del pianeta-uomo c’è un asfittico odore di morte. E il grido dell’Alleluia si spegne in gola se pensiamo a quelle situazioni!
In Iraq la Pasqua stenta ad arrivare. La nostra voce, pur flebile, si è unita nei mesi e negli anni scorsi a quella di persone, di movimenti, di Chiese e di organizzazioni per chiedere il ritiro immediato delle nostre truppe dalla terra irachena, troppo martoriata da una guerra illegittima e inutile. “Resta il compito più gravoso che è quello di liberare l’Iraq – ci ricordava Giuliana Sgrena dal palco del 18 marzo – e questo richiede un impegno sempre più urgente e forte.
La situazione dell’Iraq sotto occupazione continua a degenerare: non solo il Paese non è mai stato ricostruito, cosa che avrebbe almeno migliorato le condizioni di vita della popolazione, ma la sua distruzione continua. Dopo aver raso al suolo gran parte di Fallujia con l’uso di armi vietate come il fosforo bianco ora le truppe di occupazione insieme a quelle irachene stanno attaccando pesantemente Samarra. Una nuova punizione collettiva dopo aver permesso lo scempio della distruzione della cupola d’oro”.
La guerra in Iraq è il conflitto in cui si colgono in modo più evidente le contraddizioni, le menzogne, gli appetiti, il delirio di impero...
Ma sappiamo bene che questa ideologia di morte contagia e distrugge in tante parti del mondo. Per questo: “Dobbiamo contrastare la cultura della morte rompendo la spirale della violenza – prosegue Giuliana – per affermare la cultura e la pratica della pace.
In Iraq come altrove. Cominciando da qui, da noi, da adesso. [...] Bisogna ridare la sovranità agli iracheni e risarcirli dei danni provocati dalla guerra e dall’occupazione con aiuti alla ricostruzione che non servano però solo a far fare profitti alle imprese occidentali. Abbiamo bisogno di una politica estera che tenga in considerazione gli interessi dei popoli e non dei regimi”.
Tracce di Pasqua. Abbiamo bisogno di una politica nuova, che ponga decisamente al centro le fasce più deboli della popolazione italiana e che consideri come una sua assoluta priorità la promozione dei diritti umani per tutti i popoli.
Ci auguriamo di poter gettare i semi di questa speranza nei solchi tracciati dall’esito delle elezioni politiche italiane. Un parlamento e un governo che sappiano individuare e perseguire nuove forme di partecipazione per la costruzione della polis, che riescano a rilanciare in alto la politica e possano restituirle lo spessore etico che dà la misura di una civiltà realmente (sostanzialmente) democratica. Insomma una stagione nuova.
Tracce di Pasqua. Ce le chiedono le 563 vittime di mafia i cui nomi sono stati scanditi lo scorso 21 marzo sotto una pioggia battente lungo le strade di Torino. Quella pioggia ha solo posticipato di poco l’arrivo della Primavera.
La speranza nuova non può che porre radici salde nel sangue versato da chi ha creduto fino alla fine in un mondo nuovo. Nel prossimo autunno “gli stati generali dell’antimafia” (magistrati, giornalisti, chiese, forze dell’ordine, società civile, politici, scuole...) saranno convocati a Roma per la prima volta a definire percorsi nuovi per rilanciare l’impegno della cittadinanza riscattata da ogni forma di schiavitù. È una luce che ci piace “accendere e porre sul lucerniere” perché rischiari il cammino delle istituzioni e della gente di questo Paese... In ogni caso la “Giornata della memoria e dell’impegno” proposta da Libera a Torino, ha indicato concrete tracce di Pasqua.
Tracce di Pasqua. Tracce che si pongono sulle orme di don Tonino Bello che in questo mese di Aprile ricordiamo con particolare affetto. Tracce che Pax Christi va perseguendo attraverso mille proposte. “Ponti e non muri” diventa molto più che un semplice slogan. È un modello culturale, uno stile di vita, un metodo, un obiettivo che parte dalla Cisgiordania e raggiunge le nostre microrelazioni in un viaggio di andata e ritorno in cui il movimento cattolico internazionale per la pace si propone come agenzia consapevole e solerte.
Sono solo tracce. Ma se non ci fossero nemmeno sapremmo in che direzione camminare.