Vicini ma invisibili
Ufficio Campagne e Ricerca della Sezione Italiana di Amnesty International. Il perimetro d’ombra che circonda i centri di detenzione per migranti è stato segnato e difeso, in questi anni, dalle azioni delle autorità che, ignorando le regole delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa, hanno chiuso questi luoghi al monitoraggio degli enti indipendenti come Amnesty International. La natura detentiva di queste strutture e la reale situazione delle persone che si trovano al loro interno sono state celate da fossati invalicabili in entrambi i sensi: se nei centri gli avvocati, le ONG e i giornalisti non hanno il permesso di entrare, al loro interno i richiedenti asilo e i migranti detenuti sono privati del contatto con il mondo esterno.
Storie vere
Dietro questa cortina di inaccessibilità si consumano storie, attese, procedure burocratiche, decisioni inappellabili e abusi che non fanno distinzione di nazionalità, di genere o d’età, e che hanno coinvolto in questi anni anche coloro la cui vulnerabilità appare più evidente: i minori di 18 anni. Questo è quanto documenta il rapporto “Invisibili: minori migranti detenuti all’arrivo in Italia”, pubblicato da Amnesty International dopo una lunga e attenta raccolta di denunce, testimonianze e informazioni. Il rapporto denuncia che nei molti centri di detenzione costruiti vicino alla frontiera marittima italiana sono stati detenuti, in questi anni, centinaia di minori di 18 anni, secondo una procedura di limitazione della libertà che, da lungo tempo, scatta automaticamente per tutti coloro che raggiungono l’Italia via mare, siano essi richiedenti asilo o migranti irregolari, donne incinte o anziani, vittime di tortura o di sfruttamento. Dietro le grate metalliche dei campi di Bari Palese e di Foggia Borgo Mezzanone, al di là del filo spinato del centro S. Anna a Crotone, oltre i muri altissimi delle strutture detentive
John ricorda così le sue prime ore in Italia: “Appena siamo arrivati al centro ci hanno fatto denudare e hanno controllato se avevamo qualcosa addosso. Poi ci hanno dato vestiti puliti, ci hanno chiesto i nomi e l’età in inglese, gridando, e poi ci hanno dato da mangiare”. Anche dopo aver dichiarato la sua età John è rimasto nel centro di Lampedusa assieme agli adulti, per due giorni. “Dormivo in una stanza con sei uomini”, ha dichiarato ad AI. È stato poi condotto in un altro centro di detenzione dell’Italia meridionale. Anche qui, come a Lampedusa, nulla nei suoi ricordi suggerisce che la sua minore età abbia orientato le procedure applicate. “Nel nuovo centro dormivo in una camera di 12 letti; erano tutti adulti, tra cui tre donne. Dopo molti giorni mi hanno dato un foglio dove scrivere la richiesta di asilo, poi mi hanno preso le impronte digitali e la polizia mi ha intervistato. Mi hanno detto che, essendo minore, sarei stato trasferito da un’altra parte”, invece è stato tenuto lì ancora per diversi giorni. “Per loro sarebbe stato più facile portarmi subito in un posto per ragazzini come me, ma non lo hanno fatto”, racconta, sottolineando di aver trascorso complessivamente un mese nel secondo centro di detenzione, prima di essere condotto in una casa di accoglienza per minori, dove è rimasto qualche tempo. John si è poi trasferito in un’altra città italiana e ha trovato accoglienza in un secondo centro per minori: qui gli assistenti sociali si sono resi conto che, pur essendo in Italia ormai da cinque mesi, era privo di un tutore legale che lo rappresentasse e non aveva una chiara idea dell’iter e dei possibili esiti della sua richiesta di asilo.
John ha ottenuto protezione in Italia. Adesso ha una stanza tutta sua e trascorre il tempo libero con i suoi coetanei.
Ma quanti sono i minori coinvolti? Quali le violazioni più ricorrenti?
Amnesty International ha raccolto 890 denunce riguardanti minori richiedenti asilo e migranti detenuti nei centri tra il 2002 e il 2005: questo numero rispecchia le sole informazioni documentate o confermate da più fonti, secondo le rigorose regole di ricerca dell’organizzazione, ma la stessa Amnesty International teme, alla luce del quadro complessivo, che si tratti soltanto della punta dell’iceberg. Peraltro molteplici rapporti di ricerca – come quelli prodotti da Medici Senza Frontiere (MSF), dal Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS), dalla Federazione Internazionale dei diritti dell’uomo (FIDH) e, riguardo ai centri di Crotone e di Lecce, dall’Università della Calabria – confermano l’ingente presenza di minori nei centri.
Chi sono?
La maggior parte degli 890 minori segnalati ad Amnesty International erano bambini molto piccoli, non di rado neonati, giunti con le proprie famiglie in fuga dalle persecuzioni e dai conflitti tuttora in atto, nel silenzio delle cronache, nell’Africa subsahariana: bambini eritrei, somali, etiopi, spesso nati durante il tragitto di fuga (in Sudan, in Libia) e detenuti con le famiglie, dopo l’arrivo in Italia, per una media di venti giorni, senza alcuna separazione dai detenuti adulti estranei al nucleo familiare. Tra essi vi erano anche neonati venuti al mondo dopo l’arrivo e ricondotti nei centri assieme alle madri all’uscita dall’ospedale.
I genitori di questi bambini hanno narrato ad Amnesty International dell’angoscia provata nel subire trasferimenti da un centro all’altro senza essere informati sulla destinazione finale né essere adeguatamente riforniti di acqua e cibo per i piccoli, del caldo torrido affrontato alla debolissima ombra tracciata in terra dai container in cui assieme ai loro figli erano costretti ad abitare, dell’assoluta mancanza di documenti istituzionali che chiarissero loro i motivi e i tempi della detenzione. Analogo trattamento risulta essere stato applicato agli adolescenti che arrivano in Italia dopo aver preso il mare da soli, disposti o costretti a crescere e a lavorare lontani da casa: una percentuale inferiore degli 890 casi, ma pur sempre centinaia di individui.
Sono ragazzi originari dei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, come Egitto, Tunisia, Marocco e Iraq, o in fuga dall’Africa subsahariana, talvolta per evitare un futuro di bambini soldato. Anch’essi sono stati detenuti, in questi anni, per una durata media di 20 giorni, senza essere separati dagli adulti e, in alcuni casi, rischiando anche un’espulsione perché considerati maggiorenni sulla base di un poco attento o scorretto giudizio sulla loro età.
Queste prassi, che i minori scontano perché incappati, loro malgrado, nelle politiche “difensive” che da anni contraddistinguono l’approccio dell’Italia alle migrazioni via mare, impallidiscono se confrontate agli standard dei diritti umani e, in particolare, alle norme della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, firmata dall’Italia e da quasi tutti i paesi del mondo. Quest’ultima vieta infatti la detenzione sistematica dei minori e richiede il rispetto di regole attente per evitare gli abusi, tra cui la rigorosa separazione dagli adulti e il divieto di detenzione illegittima e arbitraria.
Con la Campagna “Invisibili”, Amnesty International vuole rompere il velo di silenzio e di oscurità che impedisce all’opinione pubblica di vedere questi bambini e ragazzi e, a questi ultimi, di ricevere la speciale protezione alla quale ogni minore, ovunque si trovi, ha diritto.