IL CASO

Credere per provare

Ilaria Alpi. Il caso è chiuso. Una vacanza finita male. Semplicemente. E invece l’ombra dei traffici di rifiuti e di armi copre ancora la verità.
Barbara Carazzolo, Luciano Scalettari (giornalisti)

Uccisi “per caso”, al rientro da una “vacanza” a Bosaso, vittime di un tentativo di sequestro finito male. Un duplice omicidio che non ha mandanti, né italiani né stranieri e che non nasconde misteri perché non c’erano misteri da scoprire. E se a distanza di dodici anni dall’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ancora si continua a parlare del caso è solo perché un gruppo di “depistatori”, giornalisti, poliziotti e magistrati, hanno continuato a soffiare sul fuoco e perché Giorgio e Luciana Alpi hanno voluto fare della loro figlia “un’icona” della sinistra.
Questa è la verità consegnata al Paese e al Parlamento da Carlo Taormina, presidente della Commissione parlamentare che ha indagato sull’omicidio dei due giornalisti italiani in Somalia, nella relazione approvata dalla maggioranza. Questa, invece, è tutt’altro che la verità, secondo ben due relazioni di minoranza, una del centrosinistra e una dei Verdi, che criticano aspramente le conclusioni di Taormina giudicate prive di riscontri e costruite su testimonianze sospette e su elementi non provati.
Questa è tutt’altro che la verità anche secondo la famiglia Alpi e il suo legale, Domenico d’Amati, che ha presentato una lunga memoria alla Procura di Roma per evidenziare le gravi lacune e alcune delle piste non approfondite dalla Commissione. E questa è tutt’altro che la verità anche per la Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti presieduta dall’on. Paolo

Premio ILARIA ALPI
È il giornalista Ryszard Kapuscinski a ricevere il Premio Speciale Ilaria Alpi alla Carriera 2006. Dopo Enzo Biagi, che ha avuto il riconoscimento lo scorso anno, un altro grande nome del giornalismo internazionale viene così insignito dal Premio Giornalistico Televisivo Ilaria Alpi giunto alla sua XII edizione. Il Premio Ilaria Alpi nasce con l’intento di valorizzare l’inchiesta televisiva e le produzioni indipendenti e con lo scopo di promuovere un giornalismo fatto con coraggio, scrupolo investigativo, onestà intellettuale e dignità.

Info: http://www.ilariaalpi.it
info@ilariaalpi.it
Russo, che ha indagato sulla possibile connessione tra l’omicidio e il traffico di rifiuti tossici in Somalia, e che, in una relazione votata all’unanimità, auspica ulteriori approfondimenti.

Le conclusioni della maggioranza
In sintesi, le conclusioni della maggioranza guidata da Taormina sono le seguenti: i due giornalisti non sono stati uccisi a causa del loro lavoro d’indagine; non risulta che avessero scoperto nulla di particolare su traffici illeciti di rifiuti e armi, né riguardo a episodi di mala-cooperazione fra Italia e Somalia; Ilaria e Miran, nella loro ultima trasferta a Bosaso, non avevano fatto proprio niente di rilevante, anzi avevano passato una sorta di breve “vacanza”; i due giornalisti sono morti per un tentativo di sequestro finito male. Quindi, caso chiuso.
Semmai, dice l’on. Taormina, s’indaghi su questa centrale mass-mediatica (composta da Famiglia Cristiana, dal Tg3, dall’Espresso, dall’Unità e dal giornalista Luigi Grimaldi) affiancata da un certo numero di Procure e di investigatori, che ha depistato per dodici anni rispetto a questa semplice, semplicissima verità. Un’ossessione questa, per il presidente Taormina, come scrivono anche i deputati del centrosinistra nella loro relazione: “L’obiettivo di colpire questo centro è diventato ossessivo e in una certa fase perfino dominante”.
Ma c’è un problema, anzi parecchi. Come confermano le centinaia di pagine delle relazioni di minoranza e della memoria d’Amati, la semplice, semplicissima verità dell’on. Taormina è infondata. Si basa, principalmente, su alcuni poverissimi elementi: la teoria della “vacanza” a Bosaso nasce da un lancio Ansa secondo il quale, nella sua ultima telefonata alla madre, Ilaria le avrebbe detto: “Questa volta è stata quasi una vacanza”. Parole che Luciana Alpi smentisce decisamente di aver mai detto e che non risultano in nessuna delle numerose dichiarazioni rese, da lei e dal marito Giorgio, in tutte le sedi.

I testimoni
Quanto al sequestro finito male, tutto si basa sul fatto che l’uomo di scorta avrebbe sparato per primo e che alcuni testimoni sostengono che si volevano rapire i due giornalisti. Quali testimoni? Giancarlo Marocchino, l’italiano più volte coinvolto in inchieste giudiziarie su traffici di armi e rifiuti e sottrazione di documenti d’interesse dello Stato (indagini tutte concluse,

Ho trascorso in Africa diversi anni. Vi andai la prima volta nel 1957 e per i successivi quarant’anni approfittai di ogni occasione per tornarvi. Viaggiavo continuamente. Evitavo i percorsi ufficiali, i palazzi, i personaggi importanti e la grande politica. Preferivo chiedere occasionali passaggi, sui camion percorrere il deserto con i nomadi, farmi ospitare dai contadini della savana tropicale. La vita di questa gente è una fatica continua, una tribolazione sopportata con incredibile serenità e resistenza (R. Kapuscinski, Ebano, Feltrinelli, Milano 2000) .

Kapuscinski, nato a Pinsk (Polonia orientale) nel 1932, è fra i più noti e importanti reporter contemporanei. La sua lunga attività inizia in India, Pakistan, Afganistan, per poi proseguire in Sudamerica, Africa e Asia. Le sue testimonianze di 47 anni di viaggi in oltre 100 paesi del mondo, sono raccolte in numerosi libri, alcuni dei quali tradotti anche in Italia.
peraltro, con archiviazioni e non luogo a procedere) è giunto per primo sul luogo dell’omicidio.
Gli altri testimoni sono sei persone, strettissimi collaboratori di Marocchino, da lui stesso individuati (insieme al suo onnipresente legale, avvocato Stefano Menicacci) e da lui portati in Italia. Riscontri esterni? Nessuno, come ammette la stessa relazione finale proposta dall’on. Taormina.
Quanto alle altre piste, il presidente della Commissione ne ha inseguite diverse, nel corso dei due anni di lavori. Per averne conferma, basta seguire le sue numerose dichiarazioni alla stampa: prima la matrice del fondamentalismo islamico (fin da giugno 2004, a soli cinque mesi dall’avvio dei lavori della Commissione); poi il gesto anti-italiano; poi la criminalità comune (scopo: una rapina); infine, come rielaborazione dell’ultima teoria, il sequestro finito tragicamente. Tante piste inseguite nel tempo. Tranne una.
Quella che indica nel lavoro d’inchiesta di Ilaria Alpi il movente del duplice omicidio. Su questa, dice la relazione dell’on. Verde Mauro Bulgarelli, c’è il deserto investigativo. Su questa, dice l’avvocato d’Amati, ci sono molte, troppe indagini non fatte ed elementi nemmeno presi in considerazione. Su questa, dice la relazione di minoranza del centrosinistra, si è indagato troppo poco, con una determinazione ben diversa da quella impiegata per altri filoni d’indagine; e comunque non vi sono elementi individuati dalla Commissione che provino né che smentiscano il collegamento diretto fra le presunte scoperte dei giornalisti e la loro uccisione. Caso tutt’altro che chiuso, quindi.
Le conclusioni dell’on. Taormina aprono semmai nuovi interrogativi sulle ragioni che hanno spinto il presidente della Commissione a “santificare”, come ha detto l’on. Rosy Bindi, la discussa figura di Giancarlo Marocchino, ad avvalorare le tesi del suo avvocato Stefano Menicacci, a ignorare indizi ed elementi di grandissimo interesse.
La lista sarebbe lunga. Basti un esempio. Quasi a tempo scaduto, l’8 e 9 febbraio 2006, a soli due giorni dalla fine dei lavori della Commissione, è stato sentito il cosiddetto Sultano di Bosaso, Abdullahi Mussa Bogor, una delle ultime persone intervistate da Ilaria e Miran proprio nei giorni di Bosaso. Il Bogor, a quanto risulta dai documenti della Commissione, è stato cercato solo a partire dalla fine di ottobre del 2005, ossia quando mancavano quattro mesi al termine dei lavori dell’organo parlamentare.
In quei due giorni di audizione, però, egli ha riferito alcune cose di grande interesse: primo, la giornalista ha posto insistenti domande sul traffico di armi e su quello di rifiuti; secondo, Ilaria sembrava possedere conoscenze piuttosto approfondite su questi argomenti; terzo, l’inviata della Rai aveva insistito con domande sulla nave della flotta di pescherecci Shifco che si trovava in quel momento sequestrata nelle acque di Bosaso, e aveva posto quesiti anche sul suo carico; quarto, e più rilevante elemento, il Bogor ha riferito che l’intervista con i giornalisti italiani era durata almeno due ore e mezzo e la telecamera non era mai stata spenta se non per cambiare le cassette. Il che confermerebbe il sospetto, sempre aleggiato in questi dodici anni, che oltre ad alcuni taccuini di Ilaria siano sparite anche alcune cassette girate da Miran Hrovatin.

Il caso è chiuso
Risultato? Per il presidente Taormina e la maggioranza di centro-destra il caso Alpi-Hrovatin è chiuso. Talmente chiuso che, ancora una volta in opposizione alle richieste della minoranza, molti atti importanti sono stati secretati e lo resteranno, come recita il verbale conclusivo dei lavori della Commissione, per i prossimi venti anni. Il segreto avvolge, soprattutto, le testimonianze e gli atti d’indagine che sono a fondamento della relazione della maggioranza, quindi – denunciano le relazioni di minoranza – fanno delle conclusioni del presidente Taormina, una sorta di postulato, al quale i cittadini italiani devono – diciamo così – credere sulla parola.
Per tutti gli altri, invece, il caso è ancora aperto e spetterà al nuovo Parlamento e alla Magistratura proseguire l’accertamento della verità.

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