Il costo dello sconto
Il regolamento sulle “sponsorizzazioni etiche” approvato più di un anno fa dal Consiglio Comunale di Roma rappresenta una grande vittoria per la società civile impegnata da anni sui temi del consumo critico e dell’economia solidale. Con questo regolamento il Comune di Roma si impegna a scegliere gli sponsor non solo in base alla convenienza economica dell’offerta, ma anche tenendo conto del rispetto, da parte dell’impresa sponsor, dei diritti umani, dei lavoratori e dell’ambiente.
Grazie a un’azione di pressione costruita da più di cento organizzazioni riunite sotto il cartello “Campagna Sponsor Etici per Roma” si è riusciti a far approvare all’interno del regolamento una serie di criteri etici per la selezione delle imprese che vorranno sponsorizzare eventi culturali, sociali, ricreativi, sportivi e altro promossi dall’Amministrazione Capitolina. La Campagna ha richiesto e ottenuto che nel regolamento fossero inseriti alcune indicazioni chiave come:
• Una definizione di “impresa” sponsor che comprende l’intera filiera produttiva.
• L’obbligo per l’impresa sponsor di autocertificare il possesso dei necessari requisiti etici.
• Il parere obbligatorio della Commissione di vigilanza etica.
• L’esclusione automatica della sponsorizzazione volta a promuovere prodotti la cui pubblicità è vietata in tutto o in parte.
• L’esclusione previo parere del Comitato Etico della sponsorizzazione da parte delle imprese che violano i principi sanciti dalla Risoluzione 2003/16 della Sottocommissione ONU sulla promozione e protezione dei diritti umani.
• L’esclusione delle imprese coinvolte nel commercio di armi, nonché delle banche che finanziano il commercio di armi, prevedendo tuttavia per queste ultime una deroga di due anni, per consentire al settore di adeguarsi e di non troncare di netto il flusso di finanziamenti dalle Banche tesoriere (BNL, Banca di Roma, Monte dei Paschi) al Comune di Roma.
• L’esclusione delle aziende che riducano il personale in modo illegittimo.
• La possibilità del Comitato Etico di avvalersi della collaborazione della società civile, organizzata in ONG e associazioni.
• La possibilità di un “parere successivo” da parte della Commissione, in caso di elementi sopravvenuti che comprovino la falsità dell’autocertificazione resa dallo sponsor, prevedendo in tal caso la risoluzione di diritto del contratto di sponsorizzazione.
• L’obbligo per l’Osservatorio di dare pubblicità alla Relazione analitica annuale, corredata anche dai pareri della Commissione.
La verifica del rispetto di tali principi è stata affidata a una Commissione di vigilanza etica formata da cinque persone che “si sono distinte nel campo della responsabilità sociale e ambientale e dello studio e della promozione dell’etica d’impresa”.
Per seguire tutto questo processo la Campagna Sponsor Etici, all’interno del Tavolo dell’Altreconomia di Roma, ha deciso di promuovere un Osservatorio permanente sul comportamento delle imprese che si occuperà più in generale della promozione del “consumo critico” attraverso l’informazione, la formazione e l’ impegno diretto dei cittadini.
I familiari delle 64 vittime del crollo della SpectrumShariyar, maglificio per l’esportazione costruito abusivamente a pochi chilometri da Dhaka, la capitale del Bangladesh, non hanno ancora finito di piangere i loro cari, morti nell’aprile dell’anno scorso, che altre tre sciagure si sono abbattute sulle lavoratrici (oltre il 90 per cento della manodopera) e sui lavoratori dell’abbigliamento di questo martoriato Paese.
Numeri
La sequenza tragica comincia il 23 febbraio, quando le fiamme causate probabilmente da un corto circuito distruggono la KTS Textile Industries, nella città portuale di Cittagong, facendo 54 morti e 60 feriti, secondo le prime stime.
Ma il bilancio potrebbe essere destinato a salire poiché più di mille persone erano al lavoro, alle 7 di sera, quando si è sviluppato l’incendio, in quella che le organizzazioni locali, impegnate nella difesa dei diritti dei lavoratori, definiscono la più grave tragedia dell’industria tessile del Bangladesh.
Dalle testimonianze raccolte risulta che le uscite erano chiuse a chiave e molti hanno cercato scampo buttandosi dalle finestre dei piani più alti.
L’azienda produceva per imprese statunitensi come Uni Hosiery, Mermaid International, ATT Enterprise, VIDA Enterprise Corp.
Pochi giorni dopo, 19 persone sono morte e 50 sono rimaste ferite nel crollo di un edificio di cinque piani a Dhaka. Il Phoenix Building, nella zona industriale di Tejgaon, è crollato in seguito alla ristrutturazione abusiva dei piani superiori, che ospitavano uffici e varie imprese, fra cui la Phoenix Garments, che esporta abbigliamento principalmente in Europa, per farne un ospedale privato con 500 posti letto.
Il proprietario della KTS Textile Industries e quello della Phoenix Group, quest’ultimo è anche presidente della City Bank of Bangladesh, si sono resi irreperibili. Lo stesso giorno, di nuovo a Chittagong, 57 lavoratori dell’Imam Group of Industries, che raggruppa cinque aziende dell’abbigliamento, sono rimasti feri ti a causa dell’esplosione di un trasformatore; quattro di loro sono in condizioni critiche.
Stime
Si calcola che solo a causa del fuoco, per negligenza, uscite di sicurezza sbarrate, comportamenti criminali dei titolari delle fabbriche, siano morte fra il 2000 e il 2005 oltre cento persone nell’industria dell’abbigliamento in conto terzi del Bangladesh, a cui vanno aggiunte le centinaia di feriti, molti rimasti invalidi, e ancora oggi in attesa di giustizia.
Con la fine dell’“Accordo multifibre”, scaduto lo scorso anno, Paesi molto poveri come il Bangladesh non hanno più diritto a quote minime di esportazione di prodotti tessili e potranno restare a galla solo tagliando ancora di più sui costi del lavoro e della sicurezza.
Clean Clothes Campaign
In seguito al crollo della Spectrum-Shariyar, nell’aprile 2005, la rete europea della Clean Clothes Campaign, a cui la Campagna Abiti Puliti italiana aderisce, si è mossa di concerto con le ONG locali e con le organizzazioni sindacali europee e bengalesi, per ottenere dal governo e dalle associazioni imprenditoriali del Bangladesh l’attuazione di un programma di prevenzione finalizzato alla revisione strutturale degli stabilimenti, specie quelli a più piani, e il riesame dei relativi meccanismi ispettivi; la creazione di un comitato internazionale indipendente di vigilanza con il compito di esaminare le norme di salute e sicurezza sul lavoro e accertarne l’effettiva applicazione, e attraverso il quale sia possibile ai lavoratori far pervenire segnalazioni e richieste; e per finire la creazione di un fondo di garanzia,
In Italia la campagna è promossa da: Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Coordinamento Lombardo Nord/Sud del mondo, FAIR, Mani Tese, Associazione Roba dell’Altro Mondo.
Ma il cammino da compiere è ancora molto lungo, tanto che nelle scorse settimane la campagna ha organizzato la visita di alcuni lavoratori sopravvissuti al crollo della Spectrum in quattro paesi europei, dove hanno potuto incontrare anche i rappresentanti di alcune imprese committenti per ribadire il diritto a un giusto indennizzo e al rispetto delle norme del lavoro. È stato un inizio d’anno infausto anche in Bulgaria, dove a gennaio sono morte due sorelle, operaie presso il calzaturificio italiano Euroshoes di Dupnitza, stroncate sul luogo di lavoro a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, una da un ictus e l’altra da un infarto.
Le testimonianze delle colleghe che hanno accettato di parlare con la stampa raccontano di condizioni di lavoro insopportabili, con carichi di lavoro eccessivi, impianti di aspirazione non funzionanti, nessun diritto sindacale. Su questo caso la campagna italiana ha avviato un lavoro di indagine.