Monsignori al telefono
All’interno del vasto mondo delle realtà di base, da tempo è stato avviato un dibattito e un confronto serrato sul tema del rapporto tra società civile e politica, tra associazionismo e istituzioni, tra comunità e rappresentanze politiche. Anche Pax Christi e la Tavola della pace hanno avviato riflessioni, incontri, tavole rotonde con la presenza di esponenti dell’associazionismo e delle istituzioni. Inutile dire che il nodo non è sciolto e che forse non troverà mai una formula definitiva come una prescrizione medica o una ricetta di cucina. Un dibattito su questi temi è destinato a crescere e ad avanzare anche nella consapevolezza del repentino mutare degli scenari. Sarebbe interessante che anche la comunità cristiana avviasse una riflessione serena e profonda, articolata e ampia (nel senso del coinvolgimento di tutte le espressioni ecclesiali) su un tema così cruciale per la vita civile e sociale. A tutto questo ho pensato leggendo attentamente le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche intercorse tra Mons. Cosmo Francesco Ruppi, arcivescovo di Lecce e presidente della Conferenza Episcopale Pugliese e l’ex presidente della Regione Puglia Raffaele Fitto.
Non mi interessa affatto entrare nelle questioni processuali che vedono il vescovo indiziato di reato di corruzione. Mi riguarda invece comprendere quale atteggiamento di Chiesa emerge da quelle conversazioni. Consapevole che Mons. Ruppi non rappresenta né la Chiesa, né tutti i pastori, mi preme piuttosto capire quanto sia diffuso e presente un atteggiamento simile nella comunità cristiana e soprattutto da dove trae origine e da quali elementi sarebbe favorito. L’ultimo intervento del magistero in ordine di tempo (24 novembre 2002) sulla politica è la “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” della Congregazione per la Dottrina della Fede dell’allora Card. Ratzinger. “La Nota - si legge nella presentazione - è indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica e, in special modo, ai politici cattolici e a tutti i fedeli laici chiamati alla partecipazione della vita pubblica e politica nelle società democratiche”. Ebbene quel documento non contiene alcuna indicazione che giustifichi l’attuale posizione della CEI di una neutrale equidistanza della comunità credente dalle forze politiche. D’altra parte è difficile ammettere che essa possa essere rispettata dal momento che - pastori o no - alle urne ci andiamo tutti ed esprimiamo la nostra preferenza per questo o quel candidato, per questa o quella coalizione.
E ancora, mi chiedo se non sia proprio questo indirizzo a costringere un pastore come Ruppi ad agire nascostamente fino a schierarsi per un candidato al punto da contribuire attivamente alla sua campagna elettorale. Non spetta a me giudicare se l’impegno così attivo del vescovo fosse dettato dal semplice scambio di favori (i finanziamenti promessi a favore degli oratori) o per una pretesa coerenza del candidato con alcuni valori cristiani. So per certo che, in nome dell’equidistanza e della neutralità alcuni sacerdoti hanno subito forti richiami dai rispettivi vescovi quando si sono schierati apertamente e lealmente dalla parte di candidati che indicavano nei programmi scelte a favore dei più poveri, per la solidarietà e la pace, per il contrasto alle mafie e per politiche di reale sostegno alle famiglie. Le stesse intercettazioni rendono pubblica la pressione esercitata da Mons. Ruppi affinché il cardinale di Torino richiamasse all’ordine don Ciotti reo di aver sostenuto apertamente la candidatura di Nichi Vendola. I vescovi dovrebbero averlo capito da tempo che gli italiani sono cresciuti nella conoscenza e nella coscienza della politica e che non basta la scelta di un prete o di un vescovo a persuadere un popolo a votare a destra o a sinistra. Abbandonare una certa ipocrisia dell’equidistanza silenziosa potrebbe cominciare a mettere a nudo gli indirizzi della comunità cristiana sui temi dell’accoglienza dei migranti e della cooperazione internazionale, dell’esclusione dei clan politicoaffaristici dalla politica e di una politica estera che abbia come fulcro l’articolo 11 della Costituzione. Continuare a barattare il silenzio su questi temi con qualche concessione su scuola cattolica, bioetica e difesa ideale della famiglia nella sua forma classica... rischia di diventare complice connivenza su ben altri misfatti, omissioni, inadempienze e colpe ancor più gravi.
Ma resta una domanda inquietante: il caso del vescovo di Lecce è davvero isolato?