Seduzione bellica?
Per superare la logica della forza bellica come “igiene del mondo”.
Perché,
nonostante le maledizioni di cui si trova traccia in tutte le civiltà, le
guerre sono proseguite senza sosta nella storia e anche nel XXI secolo, dopo due
guerre mondiali, l’olocausto e i milioni di morti del XX, si persevera con le
aggressioni violente e il “gioco” di armi sempre più micidiali? La risposta
è amara, ma vera: perché la guerra piace. Piace così tanto che i maschi
vengano educati con i giocattoli e le playstation violente, fino al punto di non
sapere più che uccidere significa morire non virtualmente. Piace così tanto
che dalle fionde e le selci dell’età della pietra l’umanità è arrivata a
costruire strumenti di morte sofisticatissimi e incontrollabili. Da Caino e
Abele si perpetua la logica amico/ nemico e il “realismo”
dell’“inevitabilità” della guerra. Di “onore delle armi” si dubita
solo a partire da pochi decenni, da quando la “mondialità” delle stragi ha
disonorato le guerre. Tuttavia, nonostante le esecrazioni di Freud e di
Einstein, le guerre, anche se non più “gloriose”, continuano nella
democrazia, così come continuano le giustificazioni degli scontri, perfino
“di civiltà”. Naturalmente solo dopo che i conflitti sono esplosi e la
guerra è un dato di realtà, mai quando c’è tempo per azioni di prevenzione.
Gli
intellettuali, pur essendo maetres à penser, restano intrigati nei
rapporti di forza, da bravi segretari dell’opinione dominante che elencano
ragioni pro Israele o pro Palestina mentre israeliani e palestinesi sono ai
ferri corti e le iniziative di mediazione sono in ritardo da quasi
sessant’anni. Quelli che Julien Benda chiamava “sacerdoti di verità”
vengono ammirati come moralisti, allo stesso modo dei sacerdoti delle Chiese,
ossequiati e poco seguiti. D’altra parte un certo cattolicesimo mantiene i
cappellani militari stipendiati e graduati nell’esercito e un ordinario che è
generale. È interessante leggere, nel libro di Angelo D’Orsi, storico
dell’università di Torino, tutte le guerre dei chierici dell’ultimo secolo,
la festa bellica tra nazionalismo e fascismo, il supermercato della storia, con
tutta l’attrezzatura ipocrita degli interventismi democratici, delle guerre
giuste, di quelle a obiettivo variabile, delle catastrofi prossime e venture.
Gli intellettuali che inneggiarono alla guerra “igiene del mondo”, che
predicarono le guerre coloniali come conquista di civiltà (e fu il mite Pascoli
a dire “la grande Proletaria si è mossa” quando l’Italia si armò contro
la Libia), che non capirono (non capiscono) che le esigenze identitarie,
nazionalistiche, irredentistiche, imperialiste, terroristiche continuano – in
contesti mutati – a seminare pregiudizi e violenza.
È
bene saperlo e imparare ad argomentare. È la lezione che D’Orsi impartisce
partendo da una posizione intermedia tra il realismo di Bobbio e il profetismo
di Capitini. Verrebbe voglia di aggiungere un capitolo di speranza sulla cultura
espressa dal femminismo, che ignora il “piacere” della guerra. Ma vengono in
mente le soldate di Abu Graib, anche se non sono intellettuali; e, purtroppo,
Oriana Fallaci, che invece lo è.