La riscossa di Kenya e Brasile
Maqbula
ha sette anni, e da oltre un mese si porta dentro il parassita della
leishmaniosi che le divora le viscere. Se ne sta immobile sul letto mentre la
madre, Amina, racconta le peripezie del ricovero fin qui, alla clinica Kassab,
con Maqbula senza forze e altri due dei suoi cinque figli, troppo piccoli per
rimanere senza madre. Ora stanno tutti intorno al letto della sorella, ci
dovranno rimanere un bel po’ visto, che la terapia è lunga e casa loro troppo
lontana per prevedere sporadici ritorni. Ma sono fortunati. Maqbula è arrivata
nel reparto giusto in tempo, ce la farà contro una malattia che ne falcidia in
massa di bambini in questa regione del Sudan, lo stato di Gedaref, ormai
endemica. Il parassita colpisce in prevalenza la popolazione povera e
malnutrita, ma si accanisce sui bambini con particolare virulenza. Alla clinica
di Kassab – un vecchio presidio sanitario di MSF divenuto oggi uno dei centri
di eccellenza nella ricerca clinica di nuove terapie contro la leishmaniosi –
i bambini riempiono il reparto.
La
sanità pubblica
La
sorte di Maqbula, e di milioni di pazienti semplicemente ignorati dalla logica
di profitto che avvolge senza ritegno il modo in cui viene condotta la ricerca
scientifica, è uno dei temi altrettanto roventi alla recente assemblea mondiale
dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), svolta lo scorso mese di
maggio a Ginevra. Sono due controverse iniziative su proprietà intellettuale e
salute pubblica, e su alcune proposte alternative all’attuale sistema
brevettuale per produrre innovazione, a tenere banco. Un recente e contestato
rapporto della Commissione dell’OMS su “proprietà intellettuale,
innovazione e salute pubblica” ha diagnosticato le scabrose inefficienze
dell’attuale regime dell’innovazione scientifica, imperniato com’è su
incentivi di natura puramente commerciale. In particolare, l’accordo sulla
proprietà intellettuale (Trips) non ha prodotto alcun beneficio per i pazienti
nei Paesi in via di sviluppo. Il regime di prezzi imposto dal monopolio dei
Trips rappresenta un ostacolo strutturale all’accesso ai farmaci per malattie
globali, mentre la globalizzazione dei brevetti come strumento necessario per
pagare il costo della ricerca medica sta riducendo pericolosamente il futuro
approvvigionamento di farmaci generici. Che senso ha l’innovazione, se le
persone che ne hanno bisogno non possono avvalersene? E che senso ha questa
ricerca, quando l’obesità e l’impotenza prevalgono come priorità mediche
sulla ricerca contro l’aids, la tubercolosi e la malaria, che ogni anno
seminano milioni di vittime? Chi definisce i bisogni reali della gente? Come
porre rimedio alla patologia strutturale di un sistema che scontenta
progressivamente anche i pazienti dei paesi ricchi, costretti a pagare prezzi
sempre più esorbitanti per farmaci sempre meno innovativi sotto il profilo
terapeutico?
Kenya
e Brasile
Sono
queste domande che sottendono alla risoluzione presentata all’OMS da Kenya e
Brasile per “Un quadro globale sulla ricerca essenziale in materia di
salute”. La risoluzione, “un vero atto di coraggio “ secondo le parole del
delegato italiano Francesco Cicogna, chiede la costituzione di un gruppo di
lavoro degli Stati membri dell’OMS per la definizione di politiche innovative
e più efficienti in grado di rispondere ai bisogni di un’agenda medica
globale che fa acqua da molte parti. Solo poche settimane fa, il prestigioso
Lancet pubblicava una ricerca secondo cui dei 1556 nuovi farmaci approvati tra
il 1975 e il 2004, solo 21 (l’1,3%) sono destinati alle malattie tropicali e
alla tubercolosi, che gravano sullo stato della salute del mondo con il 12% dei
pazienti. Viceversa, secondo la Food and Drugs Administration (FDA), delle 1284
approvazioni per nuovi farmaci dal 1990 al 2004, solo 289 (il 22,5%) riguardano
medicinali con qualche significativo avanzamento terapeutico rispetto a quanto
già disponibile sul mercato, e solo 183 nuove entità molecolari. Uno
squilibrio fatale, da non subire fatalisticamente, secondo Kenya e Brasile. Così
i due Paesi si sono battuti con determinazione e lucidità negoziale per
spingere i governi dell’OMS ad accettare la proposta, e a svegliarsi dal
patologico stato di letargia grazie al quale, negli ultimi decenni, hanno
demandato agli interessi delle multinazionali la definizione delle priorità
della ricerca medica, e le condizioni della gestione della salute. La
risoluzione, che è soprendentemente passata anche se con qualche inevitabile
modifica al ribasso, invoca un nuovo meccanismo multilaterale coerente con il
diritto alla salute, e sostenibile finanziariamente, che preveda la ricerca come
bene pubblico globale. In buona sostanza, intende riprendere la battaglia degli
anni Settanta a favore dei farmaci essenziali, ed estendere questo concetto alle
scelte che la comunità scientifica dovrà operare nel futuro, a fronte delle
sfide sanitarie imposte dalla globalizzazione (una per tutti, la febbre
aviaria). Si tratta di un primo passo, l’avvio di un processo che dovrà
snodarsi nel futuro, e farsi strada tra ostilità difficili a morire, e molto
potenti. Ma con la risoluzione di Kenya e Brasile è passato il concetto che
un’altra scienza è possibile: l’OMS ha un’occasione straordinaria per
tornare a far valere il proprio mandato sulla salute, da troppo tempo dirottato
su organismi come la Banca Mondiale o l’Organizzazione Mondiale del Commercio.