Ricominciare dai beni
La
confisca dei beni costituisce uno degli strumenti più importanti per una seria
lotta alle mafie. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato prefetto a
Palermo con poteri straordinari dall’allora ministro dell’Interno Virginio
Rognoni, subito dopo la morte di Pio La Torre, sindacalista e dirigente del
partito comunista in Sicilia (ucciso dalla mafia il 30 aprile 1982 perché nel
disegno di legge che aveva presentato si riconosceva la mafia come associazione
criminale e si introducevano i provvedimenti di sequestro e di confisca dei
beni), nella sua ultima intervista dell’agosto di quello stesso anno, a
Giorgio Bocca di “la Repubblica”, pochi giorni prima di essere ucciso (il 3
settembre 1982 insieme con la moglie Emanuela Setti Carraro e con l’autista
che li seguiva) già poneva le premesse di quella che sarebbe dovuta essere la
lotta contro la mafia nel nostro Paese. Una lotta alle mafie che deve andare a
colpire i loro interessi economici e le ricchezze che hanno accumulato con i
loro traffici illegali. Carlo Alberto Dalla Chiesa, nell’intervista, diceva
che “il disegno di legge Pio La Torre è la presa d’atto della realtà della
mafia. La mafia non è soltanto una questione criminale fine a se stessa, ma
anche economico-sociale, e lo si vede nel riciclaggio”.
L’antimafia
dei diritti
Con
queste parole, nel 1982 il generale Dalla Chiesa è stato fra i primi
rappresentanti delle istituzioni a porre attenzione in maniera specifica sulla
dimensione economica e finanziaria delle organizzazioni criminali. Ma a un certo
punto è andato oltre e ha detto “ho capito però una cosa semplice, ma forse
decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi, caramente
pagati dai cittadini, non sono altro che i loro elementari diritti.
Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi
dipendenti i nostri alleati”. Questa è una chiave di lettura molto
importante, perché il generale Dalla Chiesa non solo non si ferma a una lettura
del fenomeno mafioso in termini puramente criminali, dicendo che il terreno
fondamentale per combattere proprio il potere mafioso è aggredire le loro
ricchezze.Ma ha un’intuizione importantissima: parla di mafia, di criminalità
organizzata come uno strumento per assicurare e garantire in modo diverso i
diritti dei cittadini, primo fra tutto il diritto al lavoro. Noi viviamo ancora
oggi in molti territori del nostro Paese una situazione che permette alle
organizzazioni mafiose di garantire un posto di lavoro ai nostri giovani, così
a Napoli, come in Puglia, in Sicilia, Calabria.
Con
questo suo appello, il generale Dalla Chiesa anticipa quella che possiamo
definire “l’antimafia dei diritti”, delle opportunità e del lavoro vero,
diverso da quello offerto dalle mafie e caratterizzato da ricatto, violenza,
sopraffazione e spesso morte. L’antimafia dei diritti è stata quella su cui
si è basata l’attività dell’associazione Libera, che nasce nel periodo
successivo alle stragi di Capaci e di via d’Amelio e di quelle del 1993 che
hanno colpito Firenze, Roma e Milano. Un’antimafia sociale e dei diritti
(attraverso vari percorsi di formazione, educativi, di promozione sociale) che
si affianca a quella delle manette, della repressione, assicurata con notevoli
sforzi e scarsità di mezzi dalla magistratura e dalle forze dell’ordine. La
lotta alla mafia deve essere soprattutto caratterizzata da politiche di
promozione sociale, promozione di occupazione, di lavoro. Ma lo sappiamo tutti
che ancora oggi in Italia non è così.Tutte le politiche di inclusione sociale,
le politiche di promozione sociale, di educazione alla legalità, di percorsi
lavorativi utilizzando anche i beni confiscati, lo diremo più avanti, si
inquadrano in tutto questo.
Oltre
il riscatto
Questa
premessa per descrivere il contesto in cui si inquadra la legge n. 109 del 1996
sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie che è nata dalla spinta delle
associazioni della società civile e da una campagna di raccolta di un milione
di firme nel nostro Paese. La legge ha permesso di creare in molti territori e
non solo nel sud d’Italia le condizioni per un lavoro vero per giovani che su
questa opportunità hanno investito e trovato una occasione di riscatto sociale
dal 1982 (entrata in vigore della legge Rognoni La Torre) al 2005 Tot.
6556, di cui 2962 destinati, 300 per i quali la procedura di destinazione è
stata sospesa, 74 non accatastati e 3220 ancora da destinare. I 2962 beni immobili destinati sono così suddivisi
per regione: Calabria 617 Campania 544 Puglia 172 Sicilia 1081 Abruzzo 11 Basilicata 8 Emilia Romagna 27 Lazio 109 Liguria 1 Lombardia 109 Piemonte 40 Sardegna 60 Toscana 12 Trentino Alto Adige 14 Veneto 57 2962 Dei 2962 beni destinati 1157 sono appartamenti e ville, 232
garage e box, 268 fabbricati, 273 locali, 928 terreni, 56 strutture commerciali,
48 altri tipi di immobili. Dei
2962 beni destinati 381 sono diventati sedi di associazioni, 197 per indigenti e
senza tetto, 194 per uffici comunali, 183 centri per famiglie, 137 centri per
minori, 200 alloggi di servizio per
forze dell’ordine, 194 sedi
polizia, carabinieri, guardia di finanza, 86 centri per tossicodipendenti, 101
strutture sociosanitarie…. Fonte: Direzione generale dell’Agenzia del Demanio –
Relazione sullo stato della gestione dei beni confiscati alla criminalità
organizzata del 27 settembre 2005 e presentata alla Commissione parlamentare
antimafia.
TOTALE
Libera
Terra
Il
27 maggio 2006 è nata “Cooperare con Libera Terra”, un’Agenzia nazionale
di promozione cooperativa e della legalità, costituita da 37 realtà del mondo
della cooperazione, del biologico e dell’agricoltura di qualità. Scopo
dell’Agenzia è quello di fornire servizi finalizzati alla nascita, allo
sviluppo e all’integrazione di iniziative imprenditoriali di norma in forma di
società cooperativa, costituite per gestire beni e patrimoni aziendali
confiscati alla criminalità organizzata. L’attività associativa è rivolta
anche alle altre forme di impresa cooperativa, sempre in agricoltura, che
comunque perseguano scopi di liberazione ed emancipazione dell’individuo da
ogni forma di dipendenza attraverso il lavoro associato. Tante sono ancora le
difficoltà e l’impegno deve essere quello di creare le condizioni affinché
si considerino i beni confiscati come una risorsa per lo sviluppo ordinario
economico e sociale del territorio. Pertanto risulta importante far passare
soprattutto il valore simbolico di queste azioni: alcuni sociologi hanno colto
in pieno il significato di questa legge sostenendo che “l’uso sociale dei
beni confiscati ha consentito di scardinare nel nostro Paese quel consenso
sociale che le mafie hanno sul territorio” e fatto non solo di collusioni a
livello politico, economico e finanziario, ma anche di indifferenza,
rassegnazione e omertà. La prossima sfida di Libera è operare affinché anche
i beni dei corrotti siano destinati per finalità sociali e perché l’Unione
europea introduca il mutuo riconoscimento dei provvedimenti di confisca dei beni
alla criminalità organizzata internazionale e di estendere i principi della
legge n. 109/96 anche agli altri Paesi europei.