MAFIE

Ricominciare dai beni

Beni sottratti alla collettività dalle mafie. Poi riconquistati grazie all’azione positiva dello Stato. Strategie, azioni, prospettive della lotta alla criminalità organizzata.
Davide Pati (Libera - associazioni, nomi e numeri contro le mafie)
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La confisca dei beni costituisce uno degli strumenti più importanti per una seria lotta alle mafie. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato prefetto a Palermo con poteri straordinari dall’allora ministro dell’Interno Virginio Rognoni, subito dopo la morte di Pio La Torre, sindacalista e dirigente del partito comunista in Sicilia (ucciso dalla mafia il 30 aprile 1982 perché nel disegno di legge che aveva presentato si riconosceva la mafia come associazione criminale e si introducevano i provvedimenti di sequestro e di confisca dei beni), nella sua ultima intervista dell’agosto di quello stesso anno, a Giorgio Bocca di “la Repubblica”, pochi giorni prima di essere ucciso (il 3 settembre 1982 insieme con la moglie Emanuela Setti Carraro e con l’autista che li seguiva) già poneva le premesse di quella che sarebbe dovuta essere la lotta contro la mafia nel nostro Paese. Una lotta alle mafie che deve andare a colpire i loro interessi economici e le ricchezze che hanno accumulato con i loro traffici illegali. Carlo Alberto Dalla Chiesa, nell’intervista, diceva che “il disegno di legge Pio La Torre è la presa d’atto della realtà della mafia. La mafia non è soltanto una questione criminale fine a se stessa, ma anche economico-sociale, e lo si vede nel riciclaggio”.

L’antimafia dei diritti

Con queste parole, nel 1982 il generale Dalla Chiesa è stato fra i primi rappresentanti delle istituzioni a porre attenzione in maniera specifica sulla dimensione economica e finanziaria delle organizzazioni criminali. Ma a un certo punto è andato oltre e ha detto “ho capito però una cosa semplice, ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi, caramente pagati dai cittadini, non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”. Questa è una chiave di lettura molto importante, perché il generale Dalla Chiesa non solo non si ferma a una lettura del fenomeno mafioso in termini puramente criminali, dicendo che il terreno fondamentale per combattere proprio il potere mafioso è aggredire le loro ricchezze.Ma ha un’intuizione importantissima: parla di mafia, di criminalità organizzata come uno strumento per assicurare e garantire in modo diverso i diritti dei cittadini, primo fra tutto il diritto al lavoro. Noi viviamo ancora oggi in molti territori del nostro Paese una situazione che permette alle organizzazioni mafiose di garantire un posto di lavoro ai nostri giovani, così a Napoli, come in Puglia, in Sicilia, Calabria.

Con questo suo appello, il generale Dalla Chiesa anticipa quella che possiamo definire “l’antimafia dei diritti”, delle opportunità e del lavoro vero, diverso da quello offerto dalle mafie e caratterizzato da ricatto, violenza, sopraffazione e spesso morte. L’antimafia dei diritti è stata quella su cui si è basata l’attività dell’associazione Libera, che nasce nel periodo successivo alle stragi di Capaci e di via d’Amelio e di quelle del 1993 che hanno colpito Firenze, Roma e Milano. Un’antimafia sociale e dei diritti (attraverso vari percorsi di formazione, educativi, di promozione sociale) che si affianca a quella delle manette, della repressione, assicurata con notevoli sforzi e scarsità di mezzi dalla magistratura e dalle forze dell’ordine. La lotta alla mafia deve essere soprattutto caratterizzata da politiche di promozione sociale, promozione di occupazione, di lavoro. Ma lo sappiamo tutti che ancora oggi in Italia non è così.Tutte le politiche di inclusione sociale, le politiche di promozione sociale, di educazione alla legalità, di percorsi lavorativi utilizzando anche i beni confiscati, lo diremo più avanti, si inquadrano in tutto questo.

Oltre il riscatto

Questa premessa per descrivere il contesto in cui si inquadra la legge n. 109 del 1996 sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie che è nata dalla spinta delle associazioni della società civile e da una campagna di raccolta di un milione di firme nel nostro Paese. La legge ha permesso di creare in molti territori e non solo nel sud d’Italia le condizioni per un lavoro vero per giovani che su questa opportunità hanno investito e trovato una occasione di riscatto sociale

Beni immobili confiscati
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dal 1982 (entrata in vigore della legge Rognoni La Torre) al 2005

Tot. 6556, di cui 2962 destinati, 300 per i quali la procedura di destinazione è stata sospesa, 74 non accatastati e 3220 ancora da destinare.

I 2962 beni immobili destinati sono così suddivisi per regione:

 

Calabria

617

Campania

544

Puglia

172

Sicilia

1081

Abruzzo

11

Basilicata

8

Emilia Romagna

27

Lazio

109

Liguria

1

Lombardia

109

Piemonte

40

Sardegna

60

Toscana

12

Trentino Alto Adige

14

Veneto

57

TOTALE

2962

 

Dei 2962 beni destinati 1157 sono appartamenti e ville, 232 garage e box, 268 fabbricati, 273 locali, 928 terreni, 56 strutture commerciali, 48 altri tipi di immobili.

Dei 2962 beni destinati 381 sono diventati sedi di associazioni, 197 per indigenti e senza tetto, 194 per uffici comunali, 183 centri per famiglie, 137 centri per minori,  200 alloggi di servizio per forze dell’ordine,  194 sedi polizia, carabinieri, guardia di finanza, 86 centri per tossicodipendenti, 101 strutture sociosanitarie….

 

Fonte: Direzione generale dell’Agenzia del Demanio – Relazione sullo stato della gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata del 27 settembre 2005 e presentata alla Commissione parlamentare antimafia.

e economico. Penso appunto a quei giovani che hanno costituito le cooperative sui terreni confiscati a Cosa nostra in Sicilia, alla ‘Ndrangheta in Calabria, alla Camorra a Napoli, alla Sacra Corona Unita a Brindisi. Ma c’è ancora molto da fare perché le esperienze positive avviate mettano radici e, soprattutto, si moltiplichino. Attualmente in commercio esistono la pasta, la farina, l’olio, il vino, le marmellate, i legumi, la passata di pomodoro e altro, che vengono prodotti coltivando le terre confiscate alle mafie, rivenduti con il marchio di qualità nella legalità “Libera Terra”. Da citare per il loro forte impegno sul territorio e sul difficile fronte del disagio sono la coop Placido Rizzotto, la coop Lavoro e Non Solo, la coop NoE, l’associazione Casa dei Giovani e la coop Valle del Marro e in futuro le altre esperienze che stanno nascendo a Trapani, Alcamo, Marsala, Bagheria, Paceco, Canicattì, Agrigento, Lentini. Altre se ne aggiungeranno in altre parti d’Italia, a Mesagne e Torchiarolo in provincia di Brindisi. Riteniamo che questa sia una delle strade più giuste per ricavare un reddito pulito, onesto, da quei beni sottratti alla collettività dalle mafie e riconquistati grazie all’azione positiva dello Stato. Non è, insomma, un’utopia, ma è frutto di lavoro, dignità e giustizia.

Libera Terra

Il 27 maggio 2006 è nata “Cooperare con Libera Terra”, un’Agenzia nazionale di promozione cooperativa e della legalità, costituita da 37 realtà del mondo della cooperazione, del biologico e dell’agricoltura di qualità. Scopo dell’Agenzia è quello di fornire servizi finalizzati alla nascita, allo sviluppo e all’integrazione di iniziative imprenditoriali di norma in forma di società cooperativa, costituite per gestire beni e patrimoni aziendali confiscati alla criminalità organizzata. L’attività associativa è rivolta anche alle altre forme di impresa cooperativa, sempre in agricoltura, che comunque perseguano scopi di liberazione ed emancipazione dell’individuo da ogni forma di dipendenza attraverso il lavoro associato. Tante sono ancora le difficoltà e l’impegno deve essere quello di creare le condizioni affinché si considerino i beni confiscati come una risorsa per lo sviluppo ordinario economico e sociale del territorio. Pertanto risulta importante far passare soprattutto il valore simbolico di queste azioni: alcuni sociologi hanno colto in pieno il significato di questa legge sostenendo che “l’uso sociale dei beni confiscati ha consentito di scardinare nel nostro Paese quel consenso sociale che le mafie hanno sul territorio” e fatto non solo di collusioni a livello politico, economico e finanziario, ma anche di indifferenza, rassegnazione e omertà. La prossima sfida di Libera è operare affinché anche i beni dei corrotti siano destinati per finalità sociali e perché l’Unione europea introduca il mutuo riconoscimento dei provvedimenti di confisca dei beni alla criminalità organizzata internazionale e di estendere i principi della legge n. 109/96 anche agli altri Paesi europei.

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