Fedeli inquieti e indomabili
Ogni
domenica mattina nelle sue omelie per e con la comunità della Badia Fiesolana
padre Ernesto Balducci richiamava spesso la speranza messianica all’interno
della storia. Andare a rileggere quelle omelie vale davvero la pena. Balducci
legava la “speranza messianica” alla resurrezione, il cui compimento è
sempre da ricercare e da attendere ancora. Per il prete scolopio la speranza è
fondata sulla promessa fatta da Dio e anticipata in germe dalla resurrezione di
Gesù, ma va cercata già ora nella storia, pur se il compimento è nel futuro.
Si tratta di cercare e attendere la speranza qui e ora. Per questo, dice
Balducci, siamo tutti chiamati responsabilmente ad anticipare il compimento
della promessa fatta da Dio, a forzarlo, qui e ora in virtù di una lotta
amorosa per la pace e la giustizia. Una lotta fatta di tenacia e, insieme, di
tenerezza.
La
profezia messianica
Perché
la speranza è insieme compito e attesa? Perché la logica della resurrezione è
trasformante e non si separa dalla logica della croce, cioè dalla complessità
della storia. La risurrezione, infatti, non è da sperimentare come qualcosa di
trionfalistico. Essa non è nemmeno un “miracolo sbalorditivo”, né un mito.
E non è tanto una dottrina, smentita peraltro spesso dalla vita dei cristiani.
La resurrezione non è qualcosa che si dimostra, altrimenti la si cosifica. E
allora? Parlando della resurrezione “possiamo solo affidarci – diceva
È
qui, su questo limitare fra il passato e il futuro, che mi è possibile, senza
niente rinnegare di ciò che sono, intuire una mia nuova identità di credente.
L’uomo planetario è l’uomo postcrstiano, nel senso che non si adattano a
lui determinazioni che lo separino dalla comune degli uomini. Liberata dalle sue
obiettivazioni ontologiche e restituita alla sua dinamica esistenziale, che cosa
è l’Incarnazione se non un’immersione di Dio nell’umano in virtù
dell’amore che di Dio è la stessa essenza? [...]
È vicino il giorno in cui si comprenderà che Gesù di Nazareth non intese
aggiungere una nuova religione a quelle esistenti ma, al contrario, volle
abbattere tutte le barriere che impediscono all’uomo di essere fratello
dell’uomo e specialmente all’uomo più diverso, più disprezzato. Egli
disse: quando sarò sollevato da terra, attirerò tutti a me. Non prima, dunque,
ma proprio nel momento in cui, sollevato sulla croce, egli entrò
nell’angoscia ed emise il suo spirito, spogliato di tutte le determinazioni.
Non era più, allora, né di razza semitica, né ebreo, né figlio di David. Era
universale, com’è universale la qualità che in quell’annullarsi divampò:
l’amore per gli altri fino all’annientamento di sé. [...] Ernesto
Balducci, L’uomo planetario, Giunti, Firenze 2005.
Oltre
i recinti
Ma
occorre fare attenzione.Avere maturato “uno sguardo messianico” non deve
significare lasciarsi rinchiudere in recinti religiosi, di separazioni o
discriminanti. Perché è nel praticare la giustizia, a qualunque popolo si
appartenga, che si è all’interno del disegno di Dio. È lì che si sta
“dentro la corrente calda del processo messianico a cui è affidato il futuro
del mondo”. Su questo punto Balducci ci apriva gli occhi in un’altra omelia
per la domenica del Battesimo del Signore dell’anno A (Gli ultimi tempi,
cit.). In quell’occasione Balducci tornava a parlare del battesimo non come
rito sacro, ma come l’investitura “di una responsabilità aperta al futuro
che è la responsabilità messianica”, un’investitura che assumono,
indipendentemente dal battesimo, tutti coloro che “obbediscono alla voce della
giustizia, hanno l’amore per la pace, si impegnano a liberare gli oppressi”.
Per spiegarsi meglio Balducci proponeva una lettura particolare del simbolo
dell’acqua e dello Spirito. L’acqua battesimale simboleggia le religioni, i
riti, i recenti certi, le leggi “tutto ciò che non è intrinsecamente male
anzi è bene, ma è senza Spirito” perché “non ha le attese dell’uomo,
non ha le misure della speranza umana e, corrispettivamente, dell’attesa di
Dio”. E lo Spirito? “Lo Spirito è la creazione continua [...] e senza lo
Spirito anche Cristo è un uomo del passato chiuso nel suo scrigno”. Questo
insegnava Balducci con quella sua voce calda e forte non “per obbedire al
bisogno di denigrare il gruppo di appartenenza”, quanto per “rendere onore
all’umanità in cui abita lo Spirito”, all’uomo quando riesce a esprimere
una parola che gli viene dal profondo, “da quella regione che noi abbiamo
coperto con un selciato e di cultura raccattata e che invece è l’humus
vegetativo della nostra umanità” e che si esprime “nella pace e nella
liberazione”. Nella misura in cui ci si impegna per la liberazione nelle
tribolazioni anche strutturali del mondo, ecco che si vive “il compito di una
umanità che ritrova il senso di sé e, diciamo, dello Spirito Santo” e ci si
ritrova a sperimentare, un “momento messianico che ci unisce tutti”. In
questo contesto l’essere “eletti di Dio”, più che un essere messi in
alto, è collocarsi “nella prospettiva messianica”. È un sentirsi immersi,
anzi, “in basso, ai livelli di una responsabilità dove giungono le grida e i
sospiri e le speranze da ogni parte del mondo”.
Lo
Spirito del Nuovo
Questa
lettura della Parola era proposta da Balducci già nelle omelie degli anni
Settanta, (cfr.Il mandorlo e il fuoco, Borla Editore, Roma 1981). In una
domenica del tempo ordinario (anno C) padre Balducci commentando il Vangelo dove
si parla di vino nuovo in otri nuovi (Mc 2,18-22), diceva che “siamo in un
tempo in cui le nostre comunità scontano un passato in cui la fedeltà che le
legittimava non era la fedeltà dello Spirito, ma quella della lettera. E la
fedeltà alla lettera uccide” perché è lo Spirito che vivifica. In
quell’omelia egli chiedeva all’assemblea della Badia Fiesolana: ma cosa è
lo Spirito? E rispondeva: “Lo Spirito di Dio è la potenza con cui Dio adempie
la sua promessa [...]. Il luogo in cui lo Spirito santo traspare sulla crosta
della realtà storica, è il luogo in cui, appunto, il passato muore cedendo lo
spazio al nuovo in cui le speranze finalmente trovino corpo”. Ecco che allora
“la vera manifestazione dello Spirito di Dio è la Speranza (nel testo scritto
è con la maiuscola) che prende corpo, diventa reale, segno visibile”. Ogni
qualvolta gli uomini “sperimentano la liberazione a cui il genere umano –
nel suo insieme – aspira”, allora, spiegava Balducci, lì si può
“riconoscere il momento dell’azione dello Spirito”, un’esperienza di
pienezza, un’esperienza degli “ultimi tempi”. Tutto ciò non è qualcosa
di narcisistico per i cristiani e per le Chiese, non è qualcosa di chiuso,
perché l’annuncio cristiano ha come criterio di lettura “la speranza che
ogni uomo porta in sé”. Nella misura in cui “le comunità cristiane
impegnate a vivere la promessa di Dio: la liberazione, la fraternità, l’amore
della giustizia, la premura per gli oppressi, queste comunità saranno la
Lettera di Dio nel mondo”. Non una lettera per dire agli altri “diventate
come noi”, ma una lettera portatrice di speranza e di liberazione per tutti
gli uomini. A ben vedere, rileggere le omelie di Ernesto Balducci può aiutare
ancora oggi le comunità ecclesiali italiane a vivere nel proprio tempo e nel
proprio spazio con sapienza e grazia.