ARMI

Guerra alla guerra

Guerre stellari in Iraq. La nuova inchiesta di Rainews24.
Per un giornalismo che stia sempre dalla parte degli ultimi.
Fausto Pellegrini (giornalista Rainews24)
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Majid Al Ghezali è primo violinista dell’orchestra di Baghdad. Ha assistito ai duri combattimenti per la conquista dell’aeroporto della capitale irachena da parte dell’esercito Usa. E racconta di aver visto i corpi delle vittime della battaglia straziati, mutilati, rimpiccioliti e di aver sentito parlare dell’utilizzo di armi al laser. Saad al Falluji è il primario del General Hospital di Hilla. Anche lui parla di un episodio riguardante le orribili mutilazioni dei passeggeri di un autobus colpito a un posto di blocco americano da un’arma misteriosa e silenziosa. E si stupisce di non aver riscontrato sui morti e feriti la presenza dei proiettili. Parte da queste testimonianze l’inchiesta di Rainews 24 sulle “Guerre stellari in Iraq”, nella quale Sigfrido Ranucci e Maurizio Torrealta analizzano l’attuale impiego di una nuova tipologia di armamenti, destinata a segnare il passaggio epocale dalle armi “cinetiche” a quelle a energia.

Il raggio del dolore

Nell’inchiesta si descrive, anche, un’arma considerata “non letale”: il raggio del dolore. Le caratteristiche di questo strumento, che utilizza un raggio invisibile e provoca un intensissimo dolore ma non la morte, suscitano la preoccupazione delle organizzazioni che agiscono in difesa dei diritti umani che vedono, in questa nuova arma, il rischio di uno strumento di tortura graduale e legalizzata. Un allarme motivato anche dal fatto che gli studi degli effetti di queste armi sull’organismo umano sono ancora coperti da segreto militare. Ancora una volta la guerra viene mostrata per spiegarne la barbarie. Ancora una volta Rainews24 sceglie di stare dalla parte delle vittime, degli effetti collaterali, che difficilmente trovano spazio nell’informazione, perché anche

Che fine farà Rainews24?
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Appello al Consiglio di Amministrazione della RAI

Si prepara un cambio alla direzione di Rainews24. Roberto Morrione, che ha guidato il canale fin dall’avvio delle trasmissioni il 26 aprile 1999, va in pensione ai primi di giugno. Chi prenderà il suo posto? Durante questi sette anni di vita, Rainews24 si è fortemente caratterizzata per l’attenzione centrata sull’informazione internazionale, con una forte capacità di affrontare anche le situazioni più dimenticate dalla quasi totalità dei media italiani. Rainews24 [...] ha contribuito a far luce sulle tante mafie che attraversano i nostri territori. Gli spazi fissi dedicati all’Africa e in generale al Sud del mondo, la capacità di dare voce alla pace, alla cooperazione internazionale, ai temi sociali, all’immigrazione, al lavoro, all’ambiente, alla cultura, riconoscendo dignità alle diverse componenti della società civile come alle tante anime della marginalità, sono elementi unici nel panorama informativo italiano, e in particolare della Rai. Chiediamo, quindi, che questo straordinario patrimonio non sia disperso. Chiediamo che la scelta del successore di Roberto Morrione risponda alla garanzia di continuità con questa linea, individuando un professionista di grande spessore e con una solida conoscenza del panorama mondiale, selezionato non sulla base delle appartenenze politiche, ma esclusivamente sulla base delle capacità professionali e della preparazione e sensibilità a quella che fino a ora è stata la “missione editoriale” di Rainews24.

Roma, 25 maggio 2006

 

Primi firmatari dell’Appello: Tavola della pace, Coordinamento nazionale Enti locali per la pace, Acli, Arci, ActionAid, Agesci, Cnca, Capodarco, Legambiente, Libera, Mosaico di pace, Missione Oggi, Terres des Hommes, la Campagna del Millennio delle Nazioni Unite.

la morte conosce la serie A e la serie B. E loro, per chi tiene questa macabra contabilità, sono solo un fastidioso accidente. Non credo al giornalista notaio, equidistante. Al giornalista che si limita a dare la parola alle parti in causa col manuale Cencelli.Tempi uguali (nella migliore delle ipotesi) per situazioni diverse. “Non mi interessa sapere chi è Dio, mi interessa sapere da che parte sta”. Così diceva don Tonino Bello, un maestro di vita, mai abbastanza rimpianto in questi tempi idioti e muscolari (anzi idioti perché muscolari). Da che parte stare. Questo è il punto. Credo che il giornalismo o sta dalla parte degli ultimi, degli effetti collaterali che soccombono nella guerra come nell’economia, o non è. O decide di dare voce a chi non ce l’ha, smascherando la falsa ipocrisia della “gente” che, ridotta a macchietta, fa avanspettacolo a costo zero da ogni tv del regno, oppure è inutile, dannoso, pericoloso.

Raccontare la guerra

Se la nostra Costituzione affida alla Repubblica il compito di rimuovere le cause di disuguaglianza, trattando in modo diverso situazioni obiettivamente diverse, la stampa (l’informazione tutta) non può che farsi strumento di queste parole di civiltà. In pace come in guerra, in patria come all’estero. Questo significa un punto di vista preciso. Quello che ti obbliga a raccontare la guerra dalla parte di chi è attaccato e non da quella di chi attacca. Di chi, mero effetto collaterale, non ha voce ed è preso in mezzo tra quelli che, scriveva il grande poeta romano Trilussa “sa(nno) bene che la guerra / è un gran giro de quatrini, / e prepara le risorse / pe’ li ladri de le borse”.Tutte persone che, prosegue Trilussa, nella sua Ninna nanna della guerra, “senza l’ombra de un rimorso /ce faranno un bel discorso / sulla pace e sul lavoro / pe’ quer popolo cojone / risparmiato dar cannone”. Raccontare la guerra e mostrare i suoi effetti devastanti, dunque. Anche a costo di rovinare il pranzo o la cena di chi ancora pensa di stare a guardare un film, pieno di effetti speciali, di chi pensa che si muore (e si commuove per questo) solo nella / per la civile Europa. Chi pensa che le altre morti non esistano, non contino. Ma fare questo non è scontato.È un altro il modello di giornalismo imperante. È il giornalismo culturalmente ancor prima che fisicamente embedded. Quello che sta, sempre, dalla parte del più forte.

Giornalisti e soldati

Tanto è vero che, senza alcun commento di dissenso, su giornali come “la Repubblica” che si autoproclamano democratici e progressisti, si possono trovare, senza alcuna presa di distanza, perle come questo commento di Robert D. Kaplan “autorevole” (sic!) giornalista americano, che testualmente dice: “È giusto portare alle vittime ogni forma di aiuto umanitario, ma questo non significa che, nel contesto di un conflitto abbiano anche in ogni caso diritto al sostegno politico derivante da una copertura favorevole da parte dei media... Il culto delle vittime è un altro retaggio degli anni Sessanta, e del periodo immediatamente successivo. Durante la seconda guerra mondiale i soldati e i giornalisti americani stavano dalla stessa parte... Ad essere cambiati da allora non sono i soldati, ma i giornalisti...” (Mass media senza corpo, da “la Repubblica” del 17.6.06) È interessante notare quanto il punto di vista sia importante. In entrambi gli esempi di giornalismo proposti, si parte dal presupposto che la guerra possa (anzi debba) essere raccontata e mostrata. Ma il fine che viene perseguito attraverso questo identico mezzo espressivo non potrebbe essere più diverso, in un caso o nell’altro. Nel caso dell’inchiesta sulle guerre stellari, Rainews24 mostra la guerra con gli occhi di chi ha subito il bombardamento, ha visto “da sotto” le bombe che stavano per colpire il loro obiettivo. Un racconto dalla parte della vittima, appunto, di chi, pur innocente, sa che potrebbe essere colpito in ogni momento da quel terribile proiettile che solo noi, evoluti occidentali, abbiamo il coraggio di definire con un ossimoro quasi più raccapricciante dell’ordigno stesso, “bomba intelligente”.

Nel caso proposto da Kaplan, a essere mostrati devono essere i successi delle truppe, le carezze ai sopravvissuti, la distribuzione di cibo da parte di chi ha fatto in modo che quelle persone avessero bisogno di cibo. Gli aiuti umanitari nei confronti delle vittime sono doverosi, dice Kaplan. Ma, pare di capire, sono doverosi solo per far vedere che gli invasori sono buoni e sono capaci di prendersi cura di quelli che non hanno ammazzato. Non è la stessa cosa guardare un bombardamento dall’aereo che sgancia i missili o dalla casa dove quei missili andranno a cadere. Battersi per un giornalismo che stia dalla parte delle vittime non è facile ma è necessario. E lo si può fare solo se, oltre a raccontare la guerra in un certo modo, si racconta ogni giorno il mondo in un certo modo: senza rendere orfane le notizie, andando al di là delle veline istituzionali, stando fuori dai palazzi del potere e accanto alle persone.

Falchi e colombe

Fare inchieste è fondamentale, ma non basta.Perché anche l’inchiesta più interessante e dirompente ha bisogno di essere inserita in un contesto informativo (chiamiamolo palinsesto) coerente. C’è bisogno insomma di un giornalista (e di un giornalismo) che, per dirla con Noam Chomsky, sia in grado di sovvertire il pensiero pensabile. Di uscire fuori dalla cornice data e immodificabile entro cui maggioranze e opposizioni si tengono insieme a doppia mandata. Restare all’interno della cornice del pensiero pensabile, significa fare in modo che la minaccia all’ordine sia sradicata alla fonte, creando una cornice che delimiti un pensiero accettabile, racchiuso entro i princìpi della religione di Stato. Tali principi non devono necessariamente essere affermati, anzi sarebbe meglio darli per scontati, come implicita cornice del pensiero pensabile. I critici rafforzano questo sistema accettando senza discussione tali dottrine e limitando le proprie critiche alle questioni tattiche che sorgono al loro interno. Se i critici vogliono ottenere il rispetto ed essere ammessi al dibattito, devono accettare, senza fare domande, la dottrina fondamentale secondo cui lo Stato è di per sé buono e guidato dalle più nobili intenzioni, cerca solo di difendersi e non si presenta come soggetto attivo nelle questioni mondiali, ma semplicemente reagisce di fronte a crimini altrui, talvolta incautamente a causa della propria ingenuità, della complessità della storia o dell’incapacità di comprendere la malvagità dei nostri nemici. Più la disputa tra “falchi” e “colombe” si inasprisce, più si rinsaldano le dottrine della religione di Stato, ed è proprio a causa del loro notevole contributo al controllo del pensiero che i critici sono tollerati, anzi onorati, perché si attengono alle regole. È contro tutto questo che bisogna agire. Raccontando gli eventi più scomodi, quelli più difficili da narrare. In questo senso c’è bisogno di un giornalismo sovversivo, che esca dal canone e si ponga non come altro potere ma come potere altro.

Un’informazione possibile

È quello che ha provato a fare fino a oggi Rainews24. Cosa che ha potuto fare grazie a una precisa linea editoriale che credeva in questo modo di fare informazione. Che credeva nelle inchieste, ma anche nel racconto quotidiano fatto dalla parte degli ultimi. La linea editoriale di Roberto Morrione, direttore e anima del protagonismo del canale su questi temi. Non è un caso che, durante sette anni di vita del canale, Rainews24 si sia fortemente caratterizzata per l’attenzione centrata sull’informazione internazionale, con una forte capacità di affrontare anche le situazioni più dimenticate dalla quasi totalità dei media italiani. Rainews24 è il canale che ha alzato il velo sull’uso del fosforo bianco nei bombardamenti su Falluja, è il canale che ha denunciato le conseguenze dell’uso di armi all’uranio impoverito su persone e ambiente. È il canale che, da solo in tutta la Rai, ha avuto il coraggio di dedicare dirette tv a eventi come la grande manifestazione contro la guerra in Iraq del 15 febbraio 2003 e la Marcia per la pace Perugia-Assisi dell’ottobre seguente, come anche le edizioni precedenti. È il canale che ha partecipato alla realizzazione dell’Onu dei popoli e che ha dato voce e visibilità alla Campagna per la realizzazione degli Obiettivi del millennio. Che ha, in diretta, svelato l’ipocrisia del buon gendarme durante il G8 di Genova. Che ha contribuito a far luce sulle tante mafie che attraversano i nostri territori. Che dà quotidianamente voce alla pace, alla cooperazione internazionale, ai temi sociali, alla lotta alla povertà, all’immigrazione, al lavoro, all’ambiente, alla cultura, riconoscendo dignità alle diverse componenti della società civile come alle tante anime della marginalità: elementi unici nel panorama informativo italiano. È necessario ripartire da qui insomma. Difendendo e rilanciando in tutti i modi quella linea. Soprattutto oggi che quel direttore, pensionato, non c’è più. Una difesa contro ogni tentativo di stravolgimento interno ed esterno. Una difesa difficile e non scontata. Ma necessaria. Senza se e senza ma.

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