PAROLA A RISCHIO

Dov'è la parresia?

Sintonizzare il sogno evangelico con la storia. Ecco cosa serve.In politica come in chiesa. E la scommessa dipende da noi.
Antonietta Potente

Ritorno in Europa, precisamente in Italia, e respiro gli echi degli ultimi avvenimenti politici. Un gioco sottile di ombre e di luci. Ancora una volta un Paese salvato da una strana tradizione democratica. Ma certamente questa democrazia ha colori molto pallidi, deboli; i suoi movimenti e i suoi gesti sono confusi. Non sappiamo se ciò che la rende indecisa è il suo essere troppo attaccata a un passato, a una “tradizione”, a ideologie e modelli già prestabiliti, togliendole tutta la voglia di ripensarsi e di riprovare, in altro modo, cercando nuovi protagonisti. Forse qualcuno, profondamente deluso, pensa a questa tradizione democratica come al “meno peggio” o come al “male minore”. Forse qualcuno la segue, ma con un lamento nel cuore che noi potremmo identificare con il lamento degli esiliati biblici: “Non abbiamo più principi, né profeti, né capi; né olocausti, né sacrifici, né offerte, né incenso, né un luogo dove poterti offrire le primizie e ricevere la tua misericordia” (Dn 3,38). Una certa delusione: nostalgia di ispirazioni, di profeti, di spazi. Altri, invece, lanciano anatemi e risvegliano vecchi fantasmi, perché tutti si spaventino, senza rendersi conto che questi fantasmi non esistono più da tempo, e che, più che fantasmi, si tratta delle loro stesse ombre.

Cammini alternativi

I cittadini comuni continuano a essere spettatori annoiati, anche perché devono vedere sempre le stesse facce, oltre che ascoltare gli stessi toni di voce, le stesse parole e le stesse idee. Nasce allora una domanda: è ancora possibile cambiare? O forse abbiamo diviso per sempre la vita quotidiana da quella istituzionale, la fede dal sogno, l’arte politica dalla creatività poetica di donne e uomini liberi? Tutto si muove in uno strano equilibrio e questo sembra bastarci; anche se a volte malediciamo l’individualismo postmoderno, in realtà appena possiamo ci rifugiamo in questo spazio privato che ci garantisce una certa sopravvivenza. Anche la fede cerca i suoi spazi privati per non essere disturbata, o per lasciare tutto in mano ai suoi rappresentanti gerarchicamente più autorevoli e garanti della proprietà privata e dei suoi illimitati diritti. La parola a rischio ancora una volta soggiace, o forse grida nelle piazze e agli angoli delle strade, arrangiandosi come può. A questo punto ci facciamo un’altra domanda: è inevitabile, per donne e uomini credenti, pensare il mondo dividendolo in due: buoni e cattivi? Non esisteranno cammini alternativi senza portarci a scappare dal mondo?

Alla ricerca di un mondo adulto

Mi ritornano in mente le parole di Dietrich Bonhoeffer: “La comunità la formano i figli della terra che non la isolano, che non hanno progetti speciali per migliorare il mondo, che non sono nemmeno migliori del mondo, ma che perseverano nel centro, nella profondità, nella monotonia e nella prostrazione del mondo”. Forse Bonhoeffer, quando scrive questi pensieri, pensa a quel mondo che lui stesso chiamava e riconosceva come adulto, mentre noi in questo momento, per differenti motivi, sentiamo che coloro che ufficialmente pensano la storia politica, sociale ed economica, non rispecchiano questa maturità. Lo stesso potremmo dire degli atteggiamenti della comunità credente che rivelano il vuoto e l’assenza di un sogno, mentre lasciano che la fede appaia come un miraggio o semplicemente un “rifugio”. Il modello biblico, molto eloquente, di un popolo in costante ricerca di liberazione, sembra essere rimasto paralizzato, aspettando altri tempi, oltre ad aspettare profeti e messia che lo rendano attuale. La ricerca di una città dove abitare – come canta il Salmo 107 – si è svuotata di tutto il suo contenuto più storico. Il nomadismo postmoderno, anche se molto eloquente, non riesce a risvegliarci.

Così il Salmo 107 risuona – nella maggioranza delle nostre assemblee religiose – come il sogno dicotomico che esalta la città divina, della teologia agostiniana e pensa alla “città terrena” come un inevitabile luogo di rifugiati, che hanno solo il diritto a essere assistiti, perché anche qui, come nelle loro terre, continuano a essere poveri e stranieri, mentre i cittadini ufficiali e “nativi” delle città terrene, si possono permettere di discutere ancora gli stessi temi di prima, per riequilibrare la loro precaria abbondanza economica e fare, ancora una volta, della politica un solo gioco di forza e il centro del mercato. Così che, per i credenti, ancora una volta, la separazione tra le due realtà: quella terrena e quella celeste, storia e meta-storia, sembra riconfermarsi e mantenersi immobile. Ormai siamo già abituati: i processi storico-politici quasi sempre si realizzano ai margini dell’anelito della fede e del sogno. In nome di ideologie sconfitte, o di modelli politici decaduti che identifichiamo ancora con la caduta di un muro... la fede non sembra sintonizzare molto con i sogni umani che si creano più o meno coscientemente, lungo il cammino della gente. In alcuni casi, quando le Chiese si sentono toccate o coinvolte più da vicino, la fede riappare ma semplicemente come criterio di giudizio etico, o come semplice rivendicazione di ambigui privilegi, come se solo la religione fosse l’unico spazio con il diritto e il desiderio di custodire la vita nei suoi più segreti movimenti e aneliti. Mentre l’ambito socio-politico continua a essere oggetto di sospetto, la sua vulnerabilità e i suoi limiti non attraggono i nostri sguardi e nemmeno i nostri sogni; con esso già non siamo più esigenti. Ancora una volta lo spazio e la vita si rompe tra pubblico e privato, e noi lasciamo che la fede giochi silenziosamente nelle sfere più private.

Accompagnare il sogno

Nella

A come Audacia
Nuova pagina 1

Poi c’è la A di “Audacia”, che non significa spericolatezza, temerarietà, ma parresia, cioè libertà, franchezza di parola, capacità propositiva di dire le cose, proprio nel nome del Vangelo. Non significa ovattare il Vangelo, metterlo nel “cellophane”, edulcorarlo, annacquarlo al punto tale che non dice più nulla di nuovo. [...]

C’è un’espressione molto bella negli atti degli Apostoli, là dove si dice così: “Pietro andò, si alzò in piedi, insieme con gli undici e parlò ad alta voce”. Questa è la parresia: alzarsi in piedi, avere il coraggio di parlare, insieme con gli altri, non come battitori liberi, non come frombolieri d’assalto che vanno avanti, ognuno per conto proprio. Il coraggio consiste soprattutto nel coinvolgere gli altri a parlare, come gruppo, come associazione, come Chiesa, come diocesi, come parrocchia.

Don Tonino Bello

nostra camminata storica ci accompagnano alcune inquietudini; che lo vogliamo o no, l’eloquenza dei contesti sociali cambia. Certamente abbiamo avuto momenti storici che ci sembravano molto più significativi e illuminanti, nei quali soggetti sociali irrompevano non solo con le loro richieste sociopolitiche e culturali, ma anche con le loro creative proposte. Non ci basterebbe il tempo né lo scritto per poter narrare i germogli sociopolitici, culturali e anche religiosi di questi ultimi 50 anni, anche perché evocarli semplicemente, potrebbe significare, ancora una volta, risvegliare la malinconia e la lamentazione di qualcuno. Partendo da una prospettiva di fede ci domandiamo come è possibile far sì che gli aneliti umani ispirino i sogni evangelici, provocandoli e accompagnandoli? Ma anche: come riscoprire il sogno evangelico sintonico con quello umano? Se partiamo dall’esperienza notiamo invece che la familiarità della fede con i processi storici è molto poca. Fare memoria del sogno evangelico come un sogno sociopolitico, per molti, forse, può sembrare a-storico e fuori dal contesto attuale, oltre ad avere un sapore romantico e idealista, cioè qualcosa di molto diverso e lontano dalla nostra politica postmoderna. Infatti i grandi movimenti sociali e politici degli anni delle utopie sembrano essersi ammutoliti in mezzo al vertiginoso tempo postmoderno e nella nuova geografia del mercato neoliberale. Ma ciò che colpisce di più non è il fatto che “non siamo più come prima”, ma che – anzi – siamo troppo uguali a prima e non abbiamo più il gusto di scoprire sapienze alternative e creative, che forse appartengono ad altri. In questo essere sempre come e con le idee di prima giustifichiamo la nostra fedeltà, senza renderci conto che manteniamo sempre gli stessi stereotipi. Ci sono parole, termini, idee, che suonano come qualcosa di strano in mezzo al linguaggio politico attuale, così come – negli ambiti ecclesiali – suona strana la categoria evangelica del regno, esaltando invece la esclusività di Gesù. Ci sono parole o termini che oggi, politicamente, si pronunciano con insicurezza, e a volte con un sentimento di vergogna o paura.

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