Il mondo è di tutti
È
una domanda frequente quella riguardante la gestione della globalizzazione.
Quali modalità di finanziamento definiscono e regolano i beni pubblici globali?
Tale interrogativo, centrale nel tema che trattiamo, ruota intorno alle
crescenti disuguaglianze prodotte da quelle che gli economisti definiscono
considerevoli esternalità negative: la povertà degli uni intacca la prosperità
degli altri. Bisogna quindi ridefinire l’equilibrio tra “privato” e
“pubblico”, tra le attività degli attori “privati” nel quadro globale
(che include sia gli stati che le grandi imprese, le ONG e i singoli individui)
e il settore pubblico mondiale. Come spingere i diversi soggetti a essere più
responsabili delle proprie azioni e soprattutto dei danni che possono provocare?
Questa riflessione impone l’invenzione di nuovi strumenti intellettuali –
termini e concetti che possano mostrare che, nell’era della globalizzazione,
la risposta ai bisogni «privati» (fra cui anche gli interessi nazionali) è
sempre più legata all’elaborazione di obiettivi comuni e alla cooperazione
internazionale.
Cosa
sono?
Particolarmente
utile, a questo proposito, è il concetto di “beni pubblici globali”. Una
prima categoria, tradizionale, di beni pubblici globali è costituita da quei
beni che si trovano “al di fuori” degli Stati, o sulle frontiere, la cui
regolamentazione è materia di ciò che viene solitamente definito “affari
esteri”. Per molto tempo, abbiamo considerato i beni pubblici naturali (lo
strato d’ozono) come beni gratuiti, e li abbiamo consumati a dismisura.
Bisognerebbe ora applicare dappertutto, a livello dei singoli Stati, misure
correttive, come una riduzione dell’uso dei clorofluorocarburi (Cfc) e delle
energie non rinnovabili.
Per
un’altra globalizzazione
Il
contadino del Sud, invece, preferirà che ci si concentri sulla malattia
piuttosto che sulla volatilità della moneta, che lo riguarda meno da vicino.
Senza una giustizia che, per definizione, deve applicarsi a tutti i popoli e in
tutte le regioni, così come tra tutte le generazioni, è inutile pretendere di
voler difendere l’interesse generale. I tempi sono maturi perché questa idea
rifiorisca, nella forma più attuale di “beni pubblici globali”. Tale
nozione potrebbe avere un ruolo determinante nella concretizzazione politica di
un’idea di gestione della globalizzazione che, per il momento, è ancora allo
stato di visione utopistica o di incantesimo rituale.