Oltre il simbolo
E non è neppure uno strumento di potere e di forza. Ma testimonianza di fede.
Di una fede laica.
La
Chiesa cattolica italiana non può essere l’ancella di una religione civile.
Se essa perde il sapore della profezia, che cosa le resta? Se essa si lega a
quanti, di fronte ai problemi immani dell’umanità (esodo di popoli, squilibri
economici, ruolo delle donne, distruzione del corpo della Terra) non trovano di
meglio che rifugiarsi sulla sabbia dell’identità occidentale, facendo del
Crocifisso e dell’essere cristiani una bandiera più che un’esperienza può
davvero testimoniare Cristo Risorto speranza del mondo? Su tali questioni ha
riflettuto bene Paolo Farinella, prete e biblista genovese, nel suo libro Crocifisso
tra potere e grazia. Egli, con un linguaggio scorrevole, piacevole, spesso
ironico, con continui riferimenti biblici e storici, prende spunto dalla vicenda
di Ofena in provincia dell’Aquila sulla pronuncia del giudice a proposito del
Crofisso nelle scuole, per fare un discorso più in generale. Per questa ragione
il sottotitolo del libro è Dio e la civiltà occidentale. Il Crocifisso
non può essere fatto prigioniero di un’identità particolare, individuale,
nazionale o regionale che sia, da contrapporre all’altro diverso da sé. Per
il credente “il prossimo cioè l’altro è la parte migliore dell’io-sé
perché lo svela e lo induce all’amore”. Se ciò è vero, si comprende bene
che usare il Crocifisso come segno di identità chiusa porta fuori strada. Anche
perché, spiega don Farinella, “l’identità è un processo e quindi
non è mai univoca dal punto di vista culturale, perché cambia e si modifica in
base agli impulsi esterni che si acquisiscono per diventare parte di un
patrimonio in crescita”. In questo senso parlare di una identità cristiana
è qualcosa di riduttivo, anzi è un “non-senso”. Per questo dire, come fanno
i neo-conservatori o atei devoti, che il Crocifisso è simbolo della nostra
identità, dove nostra sta a significare civiltà occidentale,
è sbagliato. È un modo di porsi che non aiuta i cristiani a essere testimoni
del Risorto nel mondo.
Non
solo costume
Rinchiudere
il Crocifisso dentro le ristrette mura dell’identità significa mortificarne e
sconoscerne il suo richiamo universale. Significa tacere che il Crocifisso è
“icona scandalosa”che si misura certamente con ogni cultura e situazione, ma
senza farsi rinchiudere da nessuno di esse. In questo senso se si riprendesse di
più e concretamente nella vita della Chiesa il discorso sull’inculturazione
le cose sarebbero diverse per il futuro del Vangelo. No, il Crocifisso non può
essere ridotto a un elemento di costume, a un corollario di folklore. Né,
più ancora, il Crocifisso può essere strumento di una corrente culturale o può
essere posto nelle mani di una politica e di un governo. Se la Chiesa si
accontenta di vedere ridotto il Crocifisso a un simbolo, non fa altro che negare
la propria funzione missionaria e profetica e diventa soltanto “uno strumento
nelle mani di un potere”. La Chiesa non può farsi imprigionare dentro le mura
di un discorso funzionale, quello di farsi collante di un sistema di rapporti di
forza e di organizzazione sociale, frutto di una politica e di meccanismi
determinati storicamente da altri. In quel caso il suo volto non sarebbe più
quello che il Concilio Vaticano II ha delineato. Gli uomini e le donne cristiani
per primi non dovrebbero accordarsi al rito di banalizzare il Crocifisso a segno
culturale, a segno di una religione civile. Essi per primi dovrebbe essere
intransigenti su questo, e non tanto su dove collocare fisicamente un simbolo.
Essi per primi dovrebbero vigilare sul tentativo di usare il Crocifisso, scrive
don Paolo Farinella, “come spada a difesa dei confini territoriali di una
nazione”.
Una
fede laica
Agire
in questo modo è un modo attuale e fecondo per testimoniare la propria fede
cristiana. Una fede laica che nasce dalla fiducia nel Signore Crocifisso e
Risorto. Una fede laica, perché la laicità non è estranea ai cristiani
e alla Chiesa. La laicità li riguarda più di tutti, perché è proprio la fede
nel Crocifisso e Risorto che li spinge a demitizzare ogni cultura e potere e a
guardare sempre più avanti, in una continua ricerca alimentata da una forte
speranza fondata sulla Promessa. Ma per fare questo, per vivere una fede laica.
Non farsi omologare, anche davanti all’offerta di aiuti di ogni tipo. Bisogna
sapere rinunciare a borse e bastoni per sporcarsi i piedi nelle strade polverose
della società, di questa nostra, complessa e pluralista, non di un’altra
società che non esiste. Può la Chiesa italiana che si appresta a convenire a
Verona, a dieci anni dal convegno di Palermo, riuscire a mostrare un volto di
Chiesa libera, capace di ascolto reciproco, di povertà e, insieme, di speranza?
È il nostro augurio.