Per una Chiesa della speranza

Ripercorriamo la storia della Chiesa dal Concilio in poi. Tra grandi sogni e arretramenti. Tra il dormiveglia dei laici e l’avanzamento di silenzi complici.
Giorgio Campanini (sociologo)

A oltre quarant’anni di distanza dalla conclusione del Concilio Vaticano II, non tutte le speranze che esso aveva suscitato si sono realizzate, non tutte le sue indicazioni sono state accolte. Si parlava, alla vigilia del Concilio, del laicato cattolico come di un “gigante addormentato”, ma è difficile poter affermare che quello che rimane un “gigante” (se si pensa alle proporzioni fra le varie componenti del conciliare “popolo di Dio”) si sia veramente “svegliato”. Interrogarsi sulle ragioni di questo mancato decollo di un aspetto importante del messaggio conciliare implicherebbe una lunga e complessa

Dignità della coscienza morale

Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa questo, evita quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato.

Gaudium et Spes

riflessione. Si è verificata una sorta di silenziosa convergenza fra la naturale tendenza di chi esercita l’autorità a guardare con diffidenza a tutto ciò che potrebbe sminuirla e l’altrettanto naturale inclinazione al “quieto vivere”, per evitare tensioni e frizioni, come quelle che la Chiesa ha conosciuto, anche in Italia, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta del Novecento.

Cambiamento o conservazione?

È proprio detto, tuttavia, che il gusto per il “quieto vivere” – o, nella sua forma migliore, la giusta preoccupazione di evitare nella comunità cristiana conflitti e lacerazioni – debba avere la meglio sull’aspirazione a costruire una Chiesa sempre più vicina al sogno paolino di una comunità “senza rughe e senza macchie” e, proprio per questo, insieme più evangelica e più evangelizzante? In ogni gruppo umano agiscono egualmente una spinta al cambiamento, di cui soprattutto le giovani generazioni sono portatrici, e una spinta alla conservazione, propria di chi detiene l’autorità e anche di chi, per la lunga esperienza maturata, tende a scorgere i rischi assai più che le opportunità di ogni trasformazione (camminare su un terreno conosciuto, anche se non sempre piano, sembra preferibile a tentare l’avventura del deserto o della foresta...). Una comunità sopravvive, e anzi assolve sempre meglio al suo compito, nella misura in cui riesce a conciliare in sé questa duplice tendenza. Ma vi è da domandarsi se la Chiesa italiana dell’ultimo ventennio abbia saputo seguire questa strada, soprattutto in ordine alla valorizzazione del

Scaffali

AA.VV., Laicità e vocazione dei laici nella Chiesa e nel mondo, Edizioni Paoline, 1987

AA.VV., A trent’anni dal Concilio, Studium, 1995

AA.VV., Laici e laicità nei primi secoli della Chiesa, Paoline, 1995

Giorgio Campanini, Il laico nella Chiesa e nel mondo, Dehoniane, 2004

Giuseppe Lazzati, Per una nuova maturità del laicato, Ave, 1986

Giacomo Canobbio, Laici o cristiani?, Morcelliana, 1997

laicato. Ad alcune aperture hanno corrisposto, parallelamente, non poche chiusure. Alcune esemplificazioni appaiono, al riguardo, illuminanti.

La strada dei ministeri ecclesiali è diventata una sorta di “sentiero interrotto” e alle timide aperture di Paolo VI (Ministeria quaedam, 1972) hanno fatto seguito rigidissime chiusure, soprattutto in ordine all’accesso ai ministeri laicali da parte delle donne. La consultazione dei laici – sia nell’ambito dei Consigli pastorali, sia in un ipotetico (e previsto dal Concilio) “Consiglio nazionale dei laici” – si è trasformata in un fatto puramente rituale: ancora oggi le grandi decisioni che riguardano la Chiesa italiana passano sulla testa del laicato. Le autonomie delle scelte nel temporale è andata sempre più riducendosi per effetto di una “discesa in campo” delle gerarchie ecclesiastiche sempre più ricorrente e puntuale, che ha lasciato spazi alquanto ridotti all’esercizio di quell’arte della “mediazione” che è l’anima stessa della politica. Più che moltiplicarsi gli esempi di quello che in altra sede chi scrive ha chiamato il “disincanto” dei laici (cfr. Campanini, 2004) vale tuttavia la pena di cercare di individuare le vie di uscita da questa situazione di stallo.

Alcune proposte

La prima strada da percorrere, da parte dei laici cristiani, è quella del coraggio della proposta, accompagnata dall’esemplarità della vita e dal disinteressato

Per la quarta volta in 30 anni – dopo quello di Roma del 1976, di Loreto del 1985 e di Palermo del 1995 – la Chiesa cattolica italiana si accinge a celebrare a Verona (16-20 ottobre 2006) un Convegno ecclesiale nazionale, questa volta sul tema “Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”. In vista di tale importante appuntamento, la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e il Comitato ad hoc dell’incontro veronese hanno invitato tutte le variegate strutture, presenze ed esperienze ecclesiali cattoliche del nostro Paese a offrire un loro contribuito per preparare al meglio l’evento, e favorire un dialogo che, noi pensiamo, non potrà che essere aperto, intenso e costruttivo. Accogliendo volentieri tale invito anche la nostra Comunità cristiana di base di S. Paolo a Roma si è interrogata sul tema proposto, riferendosi prima di tutto alle Sacre Scritture e poi esaminando la “traccia di riflessione” in vista di Verona (pubblicata il 29 aprile 2005 dalla Commissione Preparatoria presieduta dal cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano) e anche ripensando alla propria stessa piccola storia, e ora offre alla più vasta comunità ecclesiale le sue riflessioni, i suoi interrogativi e le sue proposte.

 

È questa la premessa di un ampio documento che la Comunità di base di S. Paolo, in data 19 maggio 2006, ha inviato all’ufficio preparatorio del Convegno di Verona e ha poi pubblicato su “Adista”. Il Cipax ne ha curato la pubblicazione in un volumetto di 32 pagine che ora mette a disposizione di quanti volessero conoscere e utilizzare quest’ampia e ricca riflessione.

Il volumetto può essere richiesto, come di consueto, direttamente al Cipax.

 

CIPAX - Centro Interconfessionale per la Pace

Via Ostiense, 152 - 00154 Roma

Tel./Fax: 06-57287347

 

esercizio del servizio. Si tratta di servire liberamente la Chiesa e dunque di esercitare (nel servizio, non nel disimpegno o nella aprioristica critica dell’istituzione) quella cristiana parrhesia, quel “diritto alla parola” – anche nella Chiesa e di fronte alla Chiesa – che è insito nello statuto battesimale di ogni cristiano. Non è della critica fraterna ma del disamorato silenzio che la comunità cristiana deve aver timore. La seconda via da percorrere è quella della presenza: presenza nella Chiesa, evitando di disertare i luoghi che restano ancora aperti al dibattito o di condannare all’irrilevanza le voci che coraggiosamente continuano a levarsi; ma presenza anche nella società, mostrando come i laici cristiani sappiano fare correttamente e lucidamente uso della libertà dei figli di Dio. Laici che sappiano essere sino in fondo partecipi – qualche volta criticamente partecipi – della vita della Chiesa e che nello stesso tempo sappiano fare proprie le angosce e le speranze dell’umanità, nella linea indicata dal grande preambolo della Gaudium et Spes, potranno riuscire a coniugare nella propria esperienza di vita la duplice vocazione del cristiano laico, quella a costruire la Chiesa e a umanizzare il mondo: senza lasciarsi relegare nel vicolo cieco di una Chiesa autoreferenziale e ripiegata su se stessa, ma nello stesso tempo senza diluire e svendere nell’impegno mondano la propria identità. Essere fedele alla duplice vocazione di servizio a Dio e agli uomini è il difficile compito, e la severa responsabilità, dei laici cristiani. Senza il loro impegno, tuttavia, né l’evangelizzazione né la promozione umana sono possibili, e rischierebbero comunque di diventare due parallele destinate a non incontrarsi mai. Sta qui il senso profondo della duplice e difficile fedeltà a Dio e all’uomo: un’unica e comune fedeltà che la Chiesa deve saper coniugare, e accettare, nelle sue varie e diverse espressioni.

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