Dalla parte della speranza
Quello che abbiamo potuto costatare con i nostri occhi nei quartieri di Dahie e Shia a sud di Beirut lascia senza parole. Si tratta di accanimento cieco e crudele in cui i bombardamenti si sono ripetuti per giorni e giorni su un’area densamente abitata, senza rispetto alcuno dei civili, degli abitanti, dei bambini... Altro che danni collaterali! In quel caso ci è sembrato che i civili costituissero il vero bersaglio dei raid aerei israeliani come dei bombardamenti navali. D’altra parte anche i missili lanciati da Hezbollah nell’area dell’Alta Galilea, sia pur con danni minori, non discriminavano certo gli obiettivi. Testimoni attenti e partecipi, dal 5 al 10 agosto, rappresentanti di altrettante organizzazioni della società civile italiana, abbiamo potuto visitare i feriti negli ospedali, incontrare gli sfollati dal sud del Libano, le organizzazioni umanitarie che cercavano di offrire soccorso e accoglienza, i campi profughi dei palestinesi e la sede della Caritas Libano... e poi l’Ambasciata italiana e la delegazione dell’Unione Europea, il Primo Ministro libanese Siniora e il Presidente della Repubblica Laoud. Non un’avventura sotto le bombe, ma il tentativo di condividere almeno un tempo con le vittime. Amnesty International ci fa sapere che dal 12 luglio al 14 agosto sono stati 7.000 i raid aerei israeliani in Libano, 2.500 i bombardamenti navali e incalcolabili i lanci di artiglieria a lungo raggio.
Per continuare nell’impietosa sequenza delle statistiche sappiamo che tra aeroporti, porti, centrali idriche ed elettriche, sono 31 gli impianti strategici distrutti e 80 i ponti resi inservibili, 94 le strade poste fuori uso, 900 gli stabilimenti e le fabbriche colpiti, 25 stazioni di carburante incendiate e oltre 30.000 case rase al suolo. Tale accanimento di combattimenti ha causato lo sfollamento del 25% della popolazione libanese. Al primo posto restano le 1.300 vittime e gli innumerevoli feriti. Il rapporto di Amnesty “contiene prove di distruzioni di massa, da parte dell’esercito israeliano, di interi insediamenti civili e villaggi; attacchi contro ponti in zone prive di alcuna apparente importanza strategica; attacchi a centrali di pompaggio dell’acqua, impianti per il trattamento delle acque e supermercati, nonostante sia proibito prendere di mira obiettivi indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile”. Ancora una volta il peso maggiore del conflitto armato, violento ed efferato, è pagato a caro prezzo dalla popolazione inerme. Secondo una volontà deliberata, pianificata e attuata dai signori della guerra. Forse è solo la più valida ed evidente delle ragioni per cui la società civile organizzata dovrebbe acquisire maggiore attitudine a intervenire in prima persona ogni volta che la vita umana è minacciata, un territorio violentato, le case distrutte.
Una solidarietà che non può essere delegata. In questi mesi estivi dall’Italia sono partiti gli osservatori per le elezioni nel lontanissimo Congo. Sfida di democrazia, scommessa di libertà. Beati i costruttori di pace ha organizzato una presenza riconosciuta dall’abbraccio della gente del Congo prostrata da anni di mancanza di libertà e continuamente minacciata della violenza di opposte fazioni.
Pressappoco negli stessi giorni la nostra delegazione (Un ponte per, Libera, CRIC, Assopace, Pax Christi, CISS, Servizio Civile Internazionale, Cooperazione e ricerca, Rete Lilliput, ARCI-ARCS) si recava a Beirut mentre i bombardamenti si facevano più aspri. Per quanto mi riguarda, questa ennesima esperienza ha decretato definitivamente il disgusto assoluto nei confronti della violenza che è legata alla guerra in maniera tragicamente indissolubile. Indignazione e rabbia per la distruzione e l’odio che ancora in quella terra sono stati disseminati. Aconti fatti, la guerra è servita solo a questo. Come sempre non ci sono vincitori. Tutti sconfitti. Forse anche noi. Noi che non avremmo bisogno di risoluzioni ONU, di ceralacche ministeriali e di calcoli di consenso elettorale per poter intervenire e che puntualmente ci facciamo sorprendere alle spalle dal nemico numero uno dell’umanità.
Di qui l’appello per elaborare, insieme, l’intervento, l’interposizione, la presa in carico, la presenza, la politica efficace... insomma tutto ciò che vorremmo che altri facessero se un giorno dovesse toccare a noi.