Obbedientissimo ribelle
Obbedienza e ribellione in un’unica esistenza: don Zeno.
“Personalità dirompente, carattere vulcanico, temperamento sanguigno. Indomato e indomabile, ligio e ribelle”: così introduce la nostra conversazione- intervista Fausto Marinetti, autore del libro Obbedientissimo ribelle, edito da la meridiana. Una conversazione incentrata sulla figura di don Zeno, fondatore della comunità “Nomadelfia”, testimone fedele del Vangelo e dell’amore fraterno, attuale più che mai.
Chi era don Zeno?
Obbediente e rivoluzionario. Che contrasto tra il suo dire terra-terra e le
Maggio 1946
Perché la Chiesa ha osteggiato i sogni di un uomo così vicino ai poveri e ai diseredati dalla storia?
Nel dopoguerra l’espansionismo sovietico dilaga, pianificando l’eliminazione della religione oppio del popolo. Pio XII è terrorizzato. Si fa di tutto per impedire che la città eterna cada sotto l’amministrazione dei senzadio. Si parla di crociata contro l’alluvione rossa, ci si trincera dietro lo scudo della DC per difendere “la civiltà dalla barbarie”. Il Papa lancia un appello: La scelta è tra materialismo ateo e cristianesimo (1 giugno 1946) e una sfida: O con Cristo o contro Cristo (22 dicembre 1946). E don Zeno pare simpatizzare con i nemici di Dio. Insopportabile che i giornali di sinistra esaltino Nomadelfia, la sua città dove la fraternità è legge; che segua i funerali civili con le bandiere rosse. Lui non è un funzionario del culto, non si accontenta di devozioni ed elemosine. Si ritiene seguace del Salvatore del mondo, cioè di colui che salva tutte le realtà umane: lavoro, società, politica. “Una civiltà si giudica da come concepisce il rapporto di lavoro. Se sognassi anche per un istante d’essere sotto un padrone, morirei di crepacuore. Sogno una società fondata sul sacro valore del lavoro, che non può essere ridotto a merce. Il lavoro umano non è oggetto di compra-vendita, altrimenti si riduce allo stesso rapporto che c’è tra libertino e prostituta: un commercio nel quale non c’è parità di materia. Cedere il proprio lavoro alla speculazione, non è prostituirsi alla libidine degli egoisti?”.
I suoi discorsi sono indigesti per i ricchi, i politici temono un’emorragia di iscritti, qualche prete gli dà dell’esaltato. Solo il popolo gli va dietro, perché capisce meglio dei prelati il linguaggio di Dio. Vede che i poveri li ha in casa e nel cuore, che è in bolletta come loro, che è padre più di loro. Negli anni Cinquanta, mentre la DC perde quota, rilancia il suo movimento, ma i politici premono sul Vaticano, che gli ordina di lasciare la comunità. Con il pretesto dei debiti viene ordinata la liquidazione coatta di Nomadelfia. I figli tornano sulla strada e in galera. Con la morte nel cuore chiede di essere ridotto allo stato laicale: “Se non posso essere loro padre come prete, lasciatemelo essere come laico. Perché la Santa Sede non accetta che il sacerdote si faccia fratello dei laici? Potrei subirlo come misura disciplinare, non come dottrina. O mangiare questa minestra o saltare dalla finestra. Io ho ubbidito, perché non potevo saltare dalla finestra. Il mio atto d’ubbidienza, tanto esaltato da chi non capisce niente, è una necessità di fronte a una violenza”.
Ma strappare i figli a chi si è fatto loro padre e madre non è un delitto?
750 minori scandalizzati e dispersi. Oh se il Santo Padre avesse assistito a certe scene! Su tutto il resto ci si poteva intendere, ma qui abbiamo commesso un reato. Questa è la strage degli innocenti per opera di noi ecclesiastici... Così commenterà don Zeno: “La fede ci porta tra le braccia degli oppressi come via maestra per trovarci tra le braccia di Cristo. Sono amaro! Ho bevuto troppo fiele” (Lettera a Ottaviani, 4 agosto 1952). Lo si accuserà di aver troppo amato la Chiesa, fino a passare sulla sua coscienza e sul corpo di 750 figli. Lui si giustificava dicendo:”Ho servito la Chiesa e la servirò per il resto della mia vita. Non saprei fare diversamente, perché per me la vita è naturalmente possibile solo nella Chiesa. Ho ubbidito, facendo tacere la mia vocazione, violando le leggi della giustizia naturale, lasciando sterminare i figli. Provati in quella maniera finiranno per sentire che la Chiesa ha urgente bisogno di essere amata fino a queste forme di terribile ubbidienza” (11 agosto 1952).
Secondo la pratica di don Zeno, che ruolo hanno i preti nel mondo d’oggi?
Fin da giovane ha a che fare con i piccoli delinquenti, per i quali fonda una scuola di arti e mestieri. Constata: “Diamo loro cibo, lavoro, ma noi assistenti, loro assistiti; noi al di sopra, loro al di sotto. Impossibile essere fratelli alla pari”. Nel diventare prete si presenta all’altare con un ex-carcerato, il primo di quattromila. “La mia messa è quella lì: sposo la Chiesa, le do un figlio, non un assistito. Odio l’assistenza”. È l’inizio di un modo nuovo di essere prete. Come trasmettere Dio a un figlio
27 gennaio 1951
Allora si fa padre del popolo, perché è orfano anche lui. Sulle piazze, nelle osterie invita le donne a fare da mamma e le famiglie a fraternizzare tra loro. Se un figlio perde il genitore bisogna restituirglielo, altrimenti si è ingiusti, perché chiede ciò c gli spetta: il pane della paternità non l’istituto. L’elemosina è umiliante, l’assistenza inadeguata. Con tanto di Vangelo si è inventato l’assistenzialismo fino a istituzionalizzarlo! Nel 1943 una dozzina di preti abbracciano la sua causa. Insiste sugli abbandonati, perché nelle loro stigmate ritrova quelle di Cristo. Così Zeno scrive al S. Offizio: “Quanti abusi in casa nostra! Il clero si è assicurato casa e sostentamento, lasciando nell’abbandono coloro dei quali abbiamo detto di essere padri. Se questo non è scandalo... Un padre che nega il pasto al figlio, e per di più gli mangia in faccia, è finito, esautorato. Se la Chiesa nega i sacramenti ai concubini, perché non si decide a imporre in coscienza la giustizia distributiva ai cattolici?” (27 giugno 1951). “Nella Chiesa molti rifiutano come superiori alle forze umane il superamento dell’istinto del sangue e dell’interesse personale” (31 luglio 1951). Il card. Pizzardo gli dice delle cose, che “rivelano una corrente di sfiducia”. E lui: “Mi ha sfiduciato, perché ritiene impossibile si possa amare dello stesso amore un figlio carnale e uno accolto.
Il che mi manda in bestia fino a buttargli in faccia: ‘Lei è un luterano! Non crede alla forza della grazia, la quale ha il potere di amplificare il nostro amore su misura di quello di Dio. Non siamo nati da lui?’”. È inquietante, se non provocatorio, che una comunità cattolica, nell’Emilia rossa, si regga in forma collettivista in nome del Vangelo. Zeno s’interroga: “Ho messo Roma in difficoltà? Finché un prete rimarrà sul piedestallo del sacro, mai potrà scendere a farsi fratello del popolo. E io avrò da piangere un contrasto d’anima: il sacerdozio mi lega a una casta, non posso essere un paria. Sono i paradossi della storia [...]. Non possono ingoiare il nostro modo d’essere preti, perché metterebbe in crisi il sistema ecclesiastico. Se implica privilegi, come è possibile essere alla pari? Per noi prima si è nomadelfi, poi sacerdoti; prima popolo, poi sacerdoti” (7 febbraio 1951). “La Chiesa ha sempre inviato alle opere d’assistenza i sacerdoti, ma rimanevano al di fuori della realtà dei poveri. Nomadelfia esige che si facciano popolo, non più per, ma con le vittime. Quindi non più da fuori o da sopra, non più assistenti né assistiti, l’amore è possibile solo tra soggetti alla pari” (16 giugno 1951).
Note
F. Martinetti, Obbedientissimo ribelle, edizioni la meridiana, Molfetta 2006.Per ordini contattare l’autore, Fausto Marinetti
tel. 071-7931486, fausto@60019.it .