Vivere senza paure
Chi sono io per parlare dei martiri? Mi sento piccolo per una cosa così grande. Il martirio non è un tema di cui parlare, ma piuttosto una vita scritta con luce e sangue. Da anni, partecipando alle celebrazioni del martirio di mons. Romero, sentivo che il martire ci rende testimoni del suo sangue, e questo non ci lascia “in pace”, inquieta la nostra coscienza “tranquilla”. Ci chiama a parlare e a testimoniare. Il martire ci insegna che l’essere umano non è così debole come sembra. Il martirio ci libera dalla timidezza, dalla paura e dal complice silenzio. Cosa significa essere martire nell’Islam? La parola shahid, martire, in arabo è derivata dal verbo shahida che significa: testimoniare, essere presente e in qualche maniera concretizzare e attualizzare un ideale, un valore, testimoniare il Vero e la Verità.
Sapienza di cuore
Il primo Shahid è Dio stesso, è uno dei suoi bei nomi che rappresentano per gli uomini valori esemplari, modelli da seguire, per attualizzare il potenziale di santità e di divinità che c’è nel cuore di ogni essere umano. “Dio testimonia, e con Lui gli Angeli e i dotati di sapienza, che non v’è altro dio che Lui, certo: è Colui che mantiene la Giustizia. Non altro dio se non Lui, l’Eccelso, il Saggio” Corano (3: 18). Di che tipo di sapienza sono dotati questi uomini soci di Dio e degli Angeli nella testimonianza dell’unicità e della giustizia divina? Questa sapienza semplice e pura, la saggezza primordiale, testimonia il legame tra l’unicità di Dio e la Sua Giustizia. La Sua unicità è la garanzia metafisica della nostra uguaglianza, della pari dignità davanti a Lui, e questo implica la Giustizia; non ci sono privilegi davanti a Dio, davanti a Lui non ci sono muri, né veli, né razze... siamo nudi come siamo, una trasparenza totale davanti al Testimone che vede tutto e sa tutto. Questa sapienza di giustizia non è altro che quello che chiamiamo la coscienza umana, il nostro senso più profondo della verità e della giustizia, un senso innato nella natura umana: “E quando il Signore trasse, dai lombi dei figli di Adamo, tutti i loro discendenti e li fece testimoniare a proposito di loro stessi [disse]: ‘Non sono il vostro Signore?’. Risposero: ‘Sì, noi ne siamo testimoni’” Corano (7: 172). In questo tempo fondativo, che si offre in ogni tempo degli uomini come patto primordiale, si radica la testimonianza della Signoria di Dio nel profondo della coscienza. Il patto fondativo significa riconoscere che Lui è l’Unico Maestro della nostra vita. Questa è la Testimonianza, che libera dalla paura, dalla mediocrità e dalla miseria umana, recupera quella dignità innata in ognuno di noi che viene da Dio. Vediamo insieme le caratteristiche di questi testimoni della Verità e della Giustizia nel Corano:
Fedeltà a Dio
“Credenti, siate fermi nella giustizia e testimoniate in Dio, fosse anche contro voi stessi, contro padre, madre, parenti prossimi. Si tratti di un ricco o di un povero, Dio è più vicino [di voi] agli uni e agli altri. Non seguite le passioni, sì che possiate essere giusti. Se distorcete, se rifiutate, Dio conosce perfettamente ciò che fate” Corano (4: 135). È una fedeltà incrollabile, che va oltre i legami sociali e parentali, e anche oltre gli egoismi individuali e comunitari. L’autocritica è la garante della credibilità di questa rettitudine.
Amore radicale
“O voi che credete! State ritti innanzi a Dio come testimoni di giustizia, e non vi trasformi l’ingiustizia di certa gente in criminali impedendovi di agire con giustizia” Corano (5: 8). I veri testimoni della verità e di Dio non vivono la giustizia come reazione al male, rischiando di riprodurre l’oppressione che hanno subito. Il martirio non è un’espressione di odio che distrugge, ma di un amore radicale e di dono totale. Il martire dà la vita volentieri per il volto dell’Amato.
Essere tra la gente
“E così facemmo di voi una comunità di mezzo, affinché siate testimoni di fronte ai popoli e il Messaggero sia testimone di fronte a voi” Corano (2: 143). Il testimone è una persona di mezzo, non è un estremista che non può testimoniare perché è lontano. La posizione “in mezzo a” consente di essere vicino a ognuno e a tutti. Il martire non è un idealista, ma parte dalla vita concreta della società e della gente, dagli oppressi. È vicino, come Dio.
La libertà dalla paura
“Satana vi minaccia di povertà e vi ordina il peccato, mentre Dio vi promette il perdono e la grazia, Dio è immenso, sapiente” Corano (2: 268). “Non temete gli uomini, ma temete Me. E non svendete a vile prezzo i segni Miei” Corano (5: 44). La paura è l’arma di satana che ci fa dimenticare il legame con Dio, il Signore della nostra vita; ci rinchiude nella nostra mediocrità, facendoci diventare piccoli, attenti solo ai nostri interessi egoistici. Questa paura ci invita a nascondere la testimonianza e a diventare soci non di Dio ma dei criminali, con il nostro silenzio e la nostra indifferenza. Perciò dice il Corano che nascondere la testimonianza è l’ingiustizia più grande:“Chi è più ingiusto di quelli che nascondono la loro testimonianza davanti a Dio?” Corano (2: 140).
La vittoria del sangue contro la spada
“E dissero:‘Abbiamo ucciso il Messia Gesù figlio di Maria, il Messaggero di Dio!’ Invece non l’hanno né ucciso né crocifisso, ma così parve loro” Corano (4: 157). Questo versetto è stato spesso usato come negazione della Croce, invece in questo contesto si può capirlo come segno della grande fiducia che ha il martire in Dio, perché sente Dio come il Maestro della sua vita, e che nessun altro può toglierla senza il permesso divino. Il martire sta nella volontà di Dio, e sa bene che quello che sembra la vittoria della volontà di potenza degli altri è solo un’illusione, perché “non sanno quello che stanno facendo. Quella che sembra una grande vittoria fisica e morale è un’apparenza ingannevole. La volontà è una questione di libertà e non di potenza.
Portatore di pace e non di violenza
“E quando accettammo la vostra alleanza [vi imponemmo]: ‘Non spargete il sangue tra voi e non scacciatevi l’un l’altro dalle vostre case!’. Accettaste il patto e ne foste testimoni” Corano (2: 84). In questo versetto Dio ci chiede di essere testimoni della pace contro la violenza, la distruzione e lo spargimento del sangue dell’altro. Il martire non è il suicida: può anche morire nel suo letto, ma testimoniando la verità e condannando l’ingiustizia rischia seriamente la sua vita, come Mosè davanti a Faraone, per esempio. Il martire è un datore di vita e di amore. È un testimone del patto di non uccidere e, insieme, della trasgressione altrui, della violazione del patto primordiale. Il martirio non è quel culto della morte, che serve solo la dottrina militare dell’impero e del terrorismo reazionario, che è l’altra faccia dell’imperialismo.
Portatore di speranza
“Non considerare morti quelli che sono stati uccisi sul sentiero di Dio. Sono vivi invece e ben provvisti dal loro Signore, lieti di quello che Dio, per Sua grazia, concede. E a quelli che sono rimasti dietro a loro, danno la lieta novella: ’Nessun timore, non ci sarà afflizione’” Corano (3: 169-170). Un’altra caratteristica della testimonianza è la speranza: nessuna morte può rompere il legame con Dio. E la vita e la morte del martire dicono che Dio non si è sbagliato a fidarsi dell’uomo nonostante la sua debolezza e le tragedie della storia umana. Il mondo ha un senso perché l’uomo è capace della fiducia di Dio. Il sangue del martire è portatore di redenzione, perché testimonia che la morte non interrompe la vita, che cioè il rapporto con Dio non finisce. La morte, il male, non hanno potere: è questo che libera dalla paura. Il martire non è un cercatore della morte ma della vita, un datore della vita e del senso della vita. Il martire è anche un esempio di libertà contagiosa, perché poteva far finta di non vedere, poteva nascondere la sua testimonianza, ma non l’ha fatto. Come Hussayn, il nipote del profeta, che poteva godere della vita, del rispetto e dell’amore della gente, ma ha preferito sacrificare se stesso e la sua famiglia, dicendo: “Se la religione di Muhammad non rimane diritta senza lo spargimento del mio sangue, che le spade mi trafiggano”. Così Romero poteva vivere in pace il ministero episcopale, ma ha preferito unirsi agli oppressi, dicendo: “Se mi uccidono risorgerò nel popolo salvadoregno”. Il martire dà la sua vita per l’Amato volentieri; non è un sacrificio per lui, ma un atto di amore puro, è la liberazione totale dall’egoismo.
Universalità
Il messaggio del martire è universale, va oltre i confini comunitari, nazionali e religiosi. Un messaggio che testimonia l’umanità. Il Corano ricorda i martiri tra i profeti dei figli di Israele come propri martiri, ricorda i martiri cristiani come propri martiri. Oggi e nello stesso modo si può dire che mons. Romero è il nostro martire, come i martiri della Shoah sono i martiri di tutta l’umanità. Questo forum interreligioso, ebraico-cristiano-islamico, è una testimonianza dell’universalità del martire e del suo messaggio di speranza. Tutto perisce, sparisce e finisce: rimane solo il volto di Dio, come dice il Corano.
Allegati
- Lettera aperta ai nostri martiri (28 Kb - Formato htm)