CHIESA

Risorse umane...

Persone non merci. Il lavoro come mezzo per affermare la propria dignità.
A partire dall’appello del Papa, una riflessione sulla necessità di umanizzare il lavoro.
Rocco D’Ambrosio
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Ha creato un po’ di sorpresa il tema scelto dal Papa in uno dei suoi ultimi Angelus: il lavoro e il riposo. “Occorre guardarsi – ha detto Benedetto XVI – dai pericoli di un’attività eccessiva, qualunque sia la condizione e l’ufficio che si ricopre, perché – così san Bernardo dice al Papa di quel tempo e a tutti i Papi, a tutti noi – le molte occupazioni conducono spesso alla ‘durezza del cuore’, ‘non sono altro che sofferenza dello spirito, smarrimento dell’intelligenza, dispersione della grazia’” (II, 3). L’ammonimento vale per ogni genere di occupazioni, fossero pure quelle inerenti al governo della Chiesa. La parola che, a questo riguardo, Bernardo rivolge al Pontefice, già suo discepolo a Chiaravalle, è provocatoria: “Ecco – egli scrive – dove ti possono trascinare queste maledette occupazioni, se continui a perderti in esse... nulla lasciando di te a te stesso”.

Oltre l’alienazione

Certamente non è facile pensare al nostro lavoro. Al lavoro che abbiamo o cerchiamo, a quello che amiamo o detestiamo, a quello in comune o individuale, a quello che ci gratifica o ci deprime, ci esalta o ci abbatte, a quello più o meno dignitoso o sicuro o retribuito. È una sfida audace e faticosa. In essa il punto di partenza comune potrebbe essere il fatto che “la società è diventata una macchina per comprimere il cuore”, come scriveva Simone Weil. E i lavoratori sono tra i più compressi. Ma qual è il nostro modo di lavorare? Quali contenuti cognitivi ed emotivi informano il nostro lavoro? Che dire

Itinerario di riflessione sul tema del LAVORO
a cura di R. D.

1. Il lavoro dimensione costitutiva della persona umana:
- Gen 1,26-31; Sal 104
- Gaudium et Spes, 35; Laborem Exercens, 9;
2. Il lavoro collaborazione con Dio Creatore:
- Gen 1,28; Lc 19,12-27; 1 Cor 3,9
- Gaudium et Spes, 34; Laborem Exercens, 25;
3. Il lavoro comando di Dio:
- Es 20, 8-11; Dt 5,12-15; 2 Ts 3,6-14
- Laborem Exercens
4. Il lavoro come fatica:
- Gen 3,14-15; Mt 20,1-16; Mt 24,45-51; Gc 5,11
- Gaudium et Spes, 8; Laborem Exercens, 9 e 27
5. Il lavoro e il riposo:
- Es 20,8-11; Dt 5, 2-15
- Laborem Exercens, 25
6. Il lavoro come luogo di solidarietà:
- Mt 25
- Laborem Exercens, 8 e 20
7. Il lavoro come luogo di giustizia. Il sostentamento-salario:
- Lv 19,13; Dt 24,15; Lc 10,7; 1 Tm
5,18; 1 Ts 2,9-4,10-12; Gc 5,4
- Gaudium et Spes, 37; Laborem Exercens, 19;
8. Il datore di lavoro
- Mt 18,21-35
- Laborem Exercens, 16-17;
9. Il lavoro e la produzione: il capitale è per il lavoro, il lavoro è per l’uomo:
- Mt 25,14-30
- Laborem Exercens, 6-15;
10. Il lavoro e il sindacato:
- Mt 20,1-16
- Laborem Exercens, 20;
11. Il lavoro e le istituzioni politiche. Il problema disoccupazione:
- Mt 18,21-35; Mt 20,1-16
- Laborem Exercens, 10-15; 18-20;
12. Chiesa e mondo lavoro:
- Laborem Exercens, 1-3; 24;
13. Il lavoro come preghiera-offerta:
- Gv 6,27
- Laborem Exercens, 24;
14. Gesù Cristo Divin Lavoratore:
- Mt 13,55
- Laborem Exercens, 26.
dell’incidenza della fatica fisica e di quella intellettuale, dell’apporto di persone e luoghi di lavoro che frequentiamo? Il primo nodo è allora quello della formazione, cioè quanto abbiamo appreso in termini di significato del nostro operare. Al lavoro, in età giovanile o adulta, si giunge senza un’adeguata preparazione e nella stragrande maggioranza dei casi si è “catapultati”, senza avere una minima formazione necessaria a vivere il lavoro con convinzione e serenità. In questo clima la domanda sul senso del lavoro, sia per la cultura religiosa che per quella laica, circola in ristretti centri di formazione oppure, emergendo con forza nella quotidianità, trova delle risposte insufficienti e, spesso, pericolose e deleterie.

La mancanza di formazione è determinante nel vivere il lavoro in maniera stanca, depressa, demotivata, conflittuale, così da incidere sensibilmente e gravemente sulla dignità dei lavoratori. L’analisi marxista sull’alienazione, se pur superata nei suoi riferimenti economico- sociali, resta valida nel suo nucleo fondamentale: chi lavora male, sotto tutti i punti di vista, vive male, non cresce e non matura, perdendo in serenità, equilibrio, efficienza e capacità relazionale. È quella alienazione che si manifesta rispetto al prodotto, all’atto del produrre e, infine, rispetto al proprio simile e come tale produce la perdita completa del senso dell’attività umana. La mancanza di impegno dei singoli educatori come delle istituzioni preposte a educare al senso del lavoro assume una particolare gravità se si considera che spesso non è solo frutto di immaturità e superficialità, ma è segno di una tendenza precisa a ricercare il senso della vita e la sua realizzazione piena nel divertimento futile.Chi non forma e non si forma al lavoro ha una doppia responsabilità: da una parte contribuisce ai processi di alienazione descritti, dall’altra contribuisce all’affermarsi di visioni di vita dannose per la dignità umana.


Un magistero latitante

In un bellissimo saggio giovanile Aldo Moro scriveva: “Il lavoro è necessario alla vita; irrigettabile dovere così come la vita; esperienza di amore, consumazione di gioia così come la vita. Questo dunque non è un dato, ma un farsi, un processo senza riposo nel quale soltanto la vita si conquista ed è”. I credenti, pur possedendo un ricco patrimonio biblico e magisteriale sul tema del lavoro, non costituiscono un’eccezione in materia. Nell’età moderna, esattamente dal 1891, anno di pubblicazione della Rerum novarum, i cattolici dispongono di un ricco insegnamento sul tema del lavoro. Purtroppo sconosciuto a molti pastori e fedeli laici. Al lodevole e immenso sforzo di attività catechetica (per lo più per i fanciulli) e liturgica, non corrisponde un altrettanto lodevole e immenso sforzo di formazione sui contenuti biblici e teologici relativi al mondo del lavoro (lo stesso va detto per i contenuti riguardanti il campo culturale, sociale, politico ed economico). Senza informazione e formazione non si può vivere cristianamente il lavoro, né evangelizzare il suo mondo. Continua – sempre meno, grazie a Dio! – a dominare quella limitata e dannosa visione per cui la morale è solo familiare e/o sessuale. Solo raramente si parla di testimonianza negli ambienti lavorativi, sociali, economici e politici. Data la carente formazione molto spesso, da parte dei credenti, si vive il lavoro come luogo lontano da Dio dimenticando che è proprio, primario e fondamentale impegno dei laici, santificare le realtà in cui vivono, partendo dal lavoro e dalla famiglia. Si pensi a quelle personalità scisse, che si comportano da angeli nelle parrocchie e, molto facilmente, si trasformano in diavoli nei luoghi di lavoro (e/o in famiglia).

Oltre il profitto

Ritornare a formarsi al lavoro vuol dire scoprire, prima di tutto, il nucleo fondamentale del “Vangelo del lavoro”: la centralità della persona. Scriveva Mounier, “ogni lavoro tende a fare contemporaneamente un uomo e una cosa”. Affermazione che, decenni dopo, sarà ripresa dal Vaticano II, in piena sintonia con il filosofo francese:“L’uomo quando lavora, non trasforma soltanto le cose e la società, ma perfeziona se stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, esce da sé e si supera”. Esso è realtà in cui si coltiva e si attua l’integrale vocazione umana (Vaticano II), è collaborazione con l’opera di Dio. Per la Costituzione, quindi per tutti, il lavoro è realtà sintetica da cui l’edificio sociale trae la sua ispirazione profonda. Contenuti tutti, cristiani e laici, molto spesso dimenticati. Con l’aggravante di un mondo in cui al centro dei processi più che i lavoratori ci sono il lavoro e il profitto. Forme di capitalismo selvaggio molto spesso determinano processi, leggi e finalità del mondo del lavoro in maniera spietata. Il magistero ha sempre affermato, sia contro il liberalismo che contro il socialismo e comunismo, che non la produzione o il rendimento o i prodotti ma la persona umana, con tutte le sue potenzialità, deve essere al centro del lavoro. E questo non è un problema solo sociale, economico e politico; è un fatto prima di tutto personale. È una sfida al sistema capitalistico che ci prova continuamente. Ognuno di noi sa quanto costa, in termini umani e materiali, affermare la propria dignità sui luoghi di lavoro; eppure questa resta la strada maestra, da coniugare con un’azione economica, politica e sindacale.

Nel magistero sociale, in tema di lavoro, a partire dal punto fondante della dignità si sviluppa un articolato discorso sulle caratteristiche del lavoro nel pensiero cristiano, di cui l’enciclica Laborem Exercens di Giovanni Paolo II, rappresenta la sintesi più ricca e completa. L’enciclica affronta questi temi (vedi scheda allegata): 1. il lavoro dimensione costitutiva della persona umana; 2. il lavoro collaborazione con Dio Creatore; 3. il lavoro comando di Dio; 4. il lavoro come fatica; 5. il lavoro e il riposo; 6. il lavoro come luogo di solidarietà; 7. il lavoro come luogo di giustizia; il sostentamento-salario; 8. il datore di lavoro; 9. il lavoro e la produzione: il capitale è per il lavoro, il lavoro è per l’uomo; 10. il lavoro e il sindacato; 11. il lavoro e le istituzioni politiche. Il problema disoccupazione; 12. Chiesa e mondo lavoro; 13. il lavoro come preghiera-offerta; 14. Gesù Cristo Divin Lavoratore. Sono i contenuti attraverso i quali l’enciclica ci porta a prendere coscienza del fatto che “il lavoro umano – precisa Giovanni Paolo II – è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo”. Una “chiave” che non solo permette al singolo di diventare se stesso, ma sfida le istituzioni – politiche, culturali, economiche e religiose – perché si promuova, in maniera concreta, il bene di tutti.

Note

Docente di Etica Politica presso la Facoltà Teologica Pugliese e la Facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana di Roma (www.rocda.it)

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