MEDIORIENTE

Una guerra contro tutti

Intervista esclusiva a mons. Michel Sabbah.
Da una terra infuocata, dal cuore di profonde ferite sanguinanti, un padre esprime tutto il dolore di un popolo e la speranza infinita di una pace vera.
Nandino Capovilla

I capi delle Chiese cristiane e i musulmani libanesi il 3 agosto scorso hanno espresso in un appello il loro immenso dolore. Un lamento infinito...
Proprio quando il Libano cominciava a curarsi le ferite inflitte dalle guerre, mentre cominciava la convivialità tra le sue molteplici famiglie religiose... è arrivato il disastro!

Nel frattempo centinaia di morti a Gaza, ancora occupazione stretta in Cisgiordania. Attorno il silenzio.Come ha vissuto il patriarca di Gerusalemme questo mese di violenza e di guerra?
L’ho vissuta con il popolo, perché anche qui il popolo è stato toccato direttamente. Abbiamo avuto persone uccise e demolizioni ad Haifa. La guerra non è contro uno solo ma contro tutti, anche contro chi la dichiara. Israeliani, palestinesi, libanesi, hezbollah: la loro vocazione non è quella di fare la guerra. Così la vocazione di Hamas è quella di liberare la Palestina dall’occupazione militare.Tutti vogliono la pace, ma fanno la guerra. Tutti sono ugualmente colpevoli di voler fare la pace con la guerra.

La comunità internazionale, seppur con ritardo, con reticenze e distinguo, si è mossa per il Libano. Cosa fare perché si mobiliti anche per la Palestina?
Qui viviamo ormai una ferita di cui forse il mondo è stanco. Nel frattempo, però, noi continuiamo a morire. Io non capisco la logica di Israele: se veramente volesse la pace, potrebbe farla. Invece continua ad ammazzare i palestinesi con il pretesto del terrorismo. Dicono che per fare la pace bisogna prima fermare il terrorismo, ma intanto demoliscono case, ammazzano intere famiglie, bambini, gente innocente. Certo ci sono dei violenti, dei combattenti tra i palestinesi, proprio come tra gli israeliani ci sono soldati che uccidono.È come se il mondo si fosse abituato al crimine quotidiano compiuto nella nostra terra. Nessuno interviene e questa è la grande responsabilità che in questo momento ha la comunità internazionale.Sì, il mondo è ormai abituato al sangue che scorre sulla nostra terra. Bisogna scuotere le coscienze affinché avvenga qualcosa di positivo che porti veramente alla pace. Altrimenti saremo condannati a vivere nell’insicurezza.

Due anni fa lei concludeva la mia intervista con la certezza che “tra 15- 20 anni la pace arriverà anche qui”. C’è stata una sostituzione al vertice israeliano, e anche in Palestina. E ancora sangue, ancora muri. Arresti indiscriminati tra i politici eletti dal popolo. È questa la generazione di politici che porterà alla pace?
Il cambiamento israeliano ha preso un’altra direttrice rispetto alle mie speranze. Io spero in una nuova generazione, perché anche quella di Olmert ha solo una visione militare per la soluzione di questo conflitto. È stato ucciso Angelo Frammartino, a Gerusalemme. “Un germoglio fecondo” hanno detto gli amici, “un pacifista d’altri tempi”, ha detto una giornalista.“Quella terra non è più santa, ma maledetta”, ha detto mons. Capucci portando al funerale il dolore del popolo palestinese. Voglio pensare, sperare e credere che la vostra terra continui a essere santa, purificata dalla fatica di tanti uomini di pace palestinesi, israeliani, internazionali... La presenza di questi volontari deve continuare come un elemento di vita in un luogo in cui prevalgono l’odio, la violenza, la morte. I volontari come Angelo ci ricordano che la pace è possibile e dicono ai due popoli che la guerra è un male, sempre. Che c’è un altro modo di affrontare i conflitti: solo la pace ci garantisce di difendere la vita. La presenza dei volontari non può mancare in Terrasanta.

Note

Mons. Sabbah è Patriarca latino di Gerusalemme e presidente internazionale di Pax Christi.

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