PAROLA A RISCHIO

Silenzio e indignazione

La nostra storia è intrisa di contraddizioni. Consumo e austerità. Silenzio e rivendicazione. Ora è il tempo di cercare nuove letture della fede e della quotidianità. Di rivestirci di nuovi sguardi.
Antonietta Potente

Mister Tamburino, non ho voglia di scherzare,
rimettiamoci la maglia,
i tempi stanno per cambiare.
Siamo figli delle stelle
e pronipoti di sua maestà il denaro.
Per fortuna il mio razzismo
non mi fa guardare quei programmi demenziali
con tribune elettorali.
E avete voglia di mettervi profumi e deodoranti
siete come sabbie mobili tirate giù...
C’è chi si mette degli occhiali da sole
per avere più carisma
e sintomatico mistero.
Come è difficile restare padre
quando i figli crescono
e le mamme imbiancano...
Quante squallide figure
che attraversano il paese,
come è misera la vita
negli abusi di potere.
Sul ponte sventola bandiera bianca...
A Beethoven e Sinatra
preferisco l’insalata
a Vivaldi l’uva passa
che mi da più calorie.
Come è difficile
restare calmi e indifferenti
mentre tutti intorno fanno rumore.
In questa epoca di pazzi
ci mancavano gli idioti dell’orrore.
Ho sentito degli spari in una via del centro
quante stupide galline
che si azzuffano per niente.
Minima immoralia
...e sommersi soprattutto da immondizie musicali.
Sul ponte sventola bandiera bianca...
Minima immoralia...

(Franco Battiato)

È vero, non abbiamo più voglia di scherzare.Davvero la nostra storia è troppo importante, come è importante la vita quando sappiamo quanto costa vivere, e quando avvertiamo come questa nostra stessa vita si muove nelle vene, con forza ma anche con tutta la sua vulnerabilità e delicatezza profonda. Sappiamo che questa storia è ambigua, piena di contraddizioni. Sappiamo che ci muoviamo tra sogni ancestrali – per essere figli delle stelle – per scoprire che discendiamo da princìpi vitali e olistici di antichi misteri; ma nello stesso tempo ci piace consumare ciò che la nostra epoca produce senza chiedere il permesso a nessuno – per essere pronipoti di sua maestá il denaro...

Il nostro tempo
Questa canzone piena di simboli, soprattutto per noi “occidentali” e italiani – simboli che evocano molte cose – è come una retorica della nostra vita postmoderna. Gioco contraddittorio di forze e stili di vita. Consumo e austerità, ricerca di equilibri esistenziali e trasgressioni. Silenziosi orgogli e capillari rivendicazioni. Toni malinconici e rabbie piene di nostalgia... Ma questo è il nostro tempo, questa è la nostra vita, la nostra storia; in questo contesto si percepisce l’urgenza di nuovi criteri di lettura, nuove ermeneutiche, ma anche di nuovi sguardi “compassivi”, di nuove ispirazioni tra la folla, per consolare e per moltiplicare il pane, il mosto, il vino e l’olio... Urgenza di autenticità e creatività; critica non solo alla pura ratio, ma anche alla sola dottrina; critica a una fede bisognosa di un Dio che faccia tutto. Storia annoiata dalle nostre moraleggianti critiche e dalle nostre analisi storiche e teologiche, così sicure di sé e capaci – ancora una volta – di dividere il mondo e la vita stessa in due, superando la pazienza di un mistero che cresce tra erba buona, zizzania e dolori di parto.
Da questa storia si innalzano gemiti inesprimibili, custoditi nella vita che scorre e scorre rapidamente, soprattutto nelle vene di coloro che la vita se la giocano nella quotidianità e che tornano a leggere i trattati di storia e di teologia, solo per scoprire ciò che non hanno mai saputo e potrebbero ancora sapere su questo inedito mistero.

Il pianto soffocato
Che tristezza, che pena! Ancora una volta, come il profeta dell’Apocalisse, ci domandiamo: chi aprirà il libro? Chi potrà leggere ciò che nessuno ha saputo ancora scrivere? Chi saprà ascoltare? Chi potrà osare ancora un sogno, lontano da tutto ciò che già si è detto sulla storia, sulle religioni e su Dio... Non piangere più... continua il testo dell’Apocalisse...
Credo a ciò che dice il libro, ma chi mi può assicurare che non piangerò mentre l’epidermide umana dei popoli soffre per la guerra e per le religioni? Chi mi assicura che posso non piangere, se poi siamo sommersi da ogni lato, da chiuse e stantie ermeneutiche sulla vita, sulla storia e sugli dei? Sì, forse è proprio vero, dovremmo parlare degli dèi perché nessuno offenda o si senta profondamente giudicato, ma anche perché nessuno – né un rappresentante religioso, né un semplice e comune credente – possa pensare che il suo Dio è quello giusto. Critichiamo il relativismo morale e religioso, ma forse è questo il grido di una postmodernità privata delle sue nostalgie più grandi, sì perché queste nostalgie vengono comprate dal mercato, dal mito del consumo per essere qualcuno, ma anche dalle stesse dottrine religiose sempre più impositive e statiche. Così il mondo segue il suo proprio corso, ricerca altri modelli e crea altri miti per salvarsi, mentre noi parliamo ai mondi intellettuali, dalle solenni cattedre universitarie; parliamo a poche persone perché ormai sono sempre meno quelle che ci obbediscono.
Ma perché citiamo sempre le stesse cose? Perché il nostro desiderio si è fossilizzato intorno a ciò che già si sa, perché... continuiamo a usare gli stessi criteri di sempre?

Uno strano malinteso
Mi metto a scrivere e ci provo, una e più volte; sento in me una grande tristezza, sento il bombardamento delle interpretazioni ufficiali intorno a un malinteso che prende la forma dei più antichi casi diplomatici che molte volte si sono dati nella storia e che sempre hanno generato guerre o sottili violenze etniche, sociali, culturali e religiose. Che triste, sembra che solo i mezzi di comunicazione ufficiali, i giornali, le radio e i canali televisivi, possano dire qualcosa e dissolvere i drammi e le crisi profonde delle religioni, in semplici notizie: ...il Papa Benedetto XVI in un discorso nell’università.... E i drammi, divenuti notizie, sono una scusa in più, per l’Occidente sempre meno cristiano ma sempre più arrogante, per vedere e criticare le immagini piene di rabbia dei popoli di cui questo stesso Occidente – da sempre – ha avuto paura, così come avevano paura i suoi imperatori, anche se letterati o “santi”... Una occasione in più perché tutti possano esaltare le loro tradizioni democratiche e cattoliche. Che pena, che tristezza, mentre la Parola tace, per rispetto o forse per paura, o forse perché già, tutta la diplomazia si è ritrattata.
Restano i commentari quotidiani, quasi segreti; la sottile indignazione etica, mentre sono in molti quelli che pensano che, ancora una volta, abbiamo ragione e che la storia ce la darà, perché noi siamo il modello del rispetto e della libertà, oltre che dei diritti... e quindi della pace.
Ma perché succedono questi malintesi nei nostri mondi socio-religiosi e politici postmoderni? Perché dobbiamo correre ai ripari e scusarci o sentirci eroi e vittime?
Le nostre sapienze e le nostre storie quotidiane sono così frammentate, così lontane dalla vita... Siamo maestri e maestre in eloquenti discorsi culturali e religiosi, eruditi nelle nostre disquisizioni cattedratiche, ma così lontani tra noi! I sistemi religiosi sono sempre più sistemi e sempre meno sensibilità esistenziali, compassioni. Possiamo sederci come i contemporanei di Gesù per fare disquisizioni, per vedere se qualcuno trasgredisce la legge religiosa a noi più cara. Possiamo discutere per giorni interi, per anni, possiamo citare personaggi illustri o meno illustri... forse perché già le nostre viscere non sanno ciò che significa essere curvi per tutta la vita o vivere pubblicamente l’emarginazione? I nostri sistemi religiosi stanno difendendo fantasmi, anche quando sembra che i fantasmi come non mai, stiano ritornando, ciclicamente, chiamati dalla nostra sete di avere ancora una volta la ragione e di tenere ancora una volta la verità dalla nostra parte.

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