Cara banca ti scrivo
Da alcuni anni la campagna “banche armate”, promossa dalle riviste “Nigrizia”, “Missione Oggi” e “Mosaico di pace”, cerca di tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema del commercio di armi e, in particolare, sull’intreccio tra questo e gli istituti di credito attraverso i quali avvengono transazioni e pagamenti.
Ovviamente, la campagna è stata solo l’ultima delle attenzioni al tema delle armi che le tre riviste hanno mantenuto in questi anni, sin da quando, a metà degli Anni ‘80, si cominciò a squarciare il velo su un commercio che vedeva l’Italia ai primissimi posti nel mondo, e la vicenda di Zanotelli e Nigrizia è emblematica. Ma come è nata l’idea di questa campagna? “Ci siamo incontrati a Milano con le altre riviste sul finire del 1999” racconta Raffaello Zordan, redattore di Nigrizia “abbiamo elaborato una lettera e invitato i lettori a spedirla al loro istituto di credito. In quella lettera – che abbiamo chiesto ai vescovi, ai parroci e agli istituti religiosi di far propria – ci si domandava se, nell’anno del Giubileo che stava cominciando, non fosse il caso di interrogarsi su quali strade percorrono i nostri risparmi e se fossero strade eticamente percorribili, specie per un cristiano.” “Alla Marcia della pace del 31 dicembre 1999 a Siena” aggiunge Renato Sacco di Mosaico di pace “abbiamo distribuito il volantino con l’elenco delle banche coinvolte e la lettera che invitava a scrivere alle banche.” “Le tre riviste” dice Giorgio Beretta di Missione Oggi “si sono inoltre impegnate a pubblicare le risposte che gli aderenti alla campagna ricevono dalle banche e a monitorare le modifiche della normativa italiana che regola l’esportazione di armi”.
Qual è stato il riscontro dei lettori delle tre riviste? “Un riscontro immediato e battagliero” per Zordan. “I nostri lettori hanno scritto numerosi (qualche centinaio di persone) alle loro banche e inviato a noi una copia. Ancora oggi ci arrivano lettere di lettori che c’informano di aver aperto un contenzioso con la propria banca sul tema del finanziamento dell’export bellico”. “Si tratta in genere di singole persone” nota Sacco “ma per questo è importante valorizzare il lavoro da piccole formiche dei singoli risparmiatori che hanno tenuto vivo il problema e hanno messo la pulce nell’orecchio alle banche. Tuttavia, diventa necessario un coinvolgimento diretto delle istituzioni, cioè far sì che siano le parrocchie a scrivere alla banche, le diocesi, gli istituti religiosi, le associazioni, ecc...” Anche Beretta conferma: “Il riscontro è andato crescendo anche dopo il Forum Sociale Europeo di Firenze, nel novembre scorso, dove si è parlato del tema in vari incontri, e ovviamente anche grazie alla campagna “Difendiamo la 185”.
Che cosa emerge da queste lettere? Per Zordan “sono tutte lettere
Chi vuole, comunque, può trovare stralci e analisi di lettere provenienti dalle banche sul sito della campagna nonché all’indirizzo
http://www.saveriani.bs.it/Missioneoggi/Campagne/Banche/giustificazioni.htm.
Indubbiamente la campagna ha “beneficiato” della mobilitazione che in passato si è verificata sul tema del commercio delle armi. “Senza la legge 185 del 1990” conferma Zordan “non avremmo potuto avere a disposizioni i dati di cui invece disponiamo e che sono del tutto pubblici. Mi pare che anche l’attuale legge, nonostante le modifiche peggiorative intervenute nel giugno scorso, mantenga l’obbligo per la Presidenza del Consiglio di pubblicare una relazione annuale. Vendere armi italiane
all’estero ora è più facile, ma i cittadini possono ancora avere qualche informazione sull’entità e la destinazione dei movimenti”. “Anzi” aggiunge Sacco “il pericolo che venisse cancellato l’obbligo della relazione annuale sull’import-export delle armi è stato scongiurato grazie alle forti pressioni che ci sono state, il che attribuisce un maggior peso alla campagna”. Anche per Beretta la questione della legge 185 ha influito molto sulla campagna, anche se “è importante chiedere a gruppi, associazioni, comuni e istituzioni di adottare una serie di criteri etici nel decidere la propria banca e tra questi criteri come “criterio penalizzante” suggeriamo quello che la banca appoggi il commercio delle armi”. E aggiunge: “Preoccupa il fatto che da alcuni anni stanno aumentando le esportazioni a Paesi a rischio triangolazioni, a Paesi che violano i diritti umani e in guerra. Pur segnalando questo, poco si è mosso a livello parlamentare, anche internazionale: di qui la pressione sulle banche che appoggiano il commercio delle armi le quali, essendo istituti privati, possono adottare dei criteri etici per decidere una volta per sempre e/o di volta in volta se fornire i propri servizi per un’operazione di export di armi. E visto che le banche sbandierano tanto i loro cosiddetti “prodotti etici” ci sembra importante anche chiedere conto circa i criteri che adottano quando decidono appunto di fornire i propri servizi per un’operazione di export di armi”.
Ma veniamo al futuro della campagna. Come potrebbe proseguire? Risponde Zordan: “Dovrebbe insistere sulle banche armate italiane e nel contempo alzare il tiro a livello europeo. Ma per farlo dovrebbe darsi una struttura di coordinamento stabile.” Per Renato Sacco “è importante continuare a denunciare il coinvolgimento delle banche nell’export di armi. Ma forse una svolta alla campagna potrebbe venire da qualche adesione ‘di grido’: se una diocesi scrivesse alla banca e poi togliesse il conto e rendesse pubblico tutto questo... avrebbe un’eco e si potrebbe verificare un effetto domino sulle altre Diocesi. I nostri lettori hanno già fatto molto. Ora si tratta di continuare e, come nel poker, rilanciare, senza troppa paura... perché vinca il disarmo e la pace”. Da Beretta arrivano altre indicazioni: “È importante continuare a monitorare il commercio delle armi italiane facendo pressioni sul governo (ogni governo!) affinché si attenga strettamente ai criteri/divieti all’export della 185 e rendendo pubblici i dati: Occorre inoltre coordinarsi con altre campagne a livello europeo per promuovere una legislazione comunitaria nonché con quelle campagne che hanno come interlocutori gli istituti bancari e premono su di essi affinché non finanzino progetti che distruggono l’ambiente, le foreste...”. Insomma, ancora lavoro per la campagna!