Se scoppia l'apocalisse
La prefettura di Latina, ufficio Protezione Civile, ha diffuso, a richiesta, estratti del “Piano di emergenza esterna relativo alla sosta di unità navali militari a propulsione nucleare nella rada di Gaeta”. In quella rada, infatti, attraccano sottomarini nucleari militari USA.
Ci sono tanti tipi di incidenti nucleari, da quello puramente meccanico, come in un qualsiasi altro motore, a quelli tipici dei reattori nucleari. Ovviamente questi secondi preoccupano di più. Il fatto fondamentale di un reattore nucleare è che, anche quando si riesce a spegnere la reazione a catena, la potenza residua da smaltire è enorme. Un reattore nucleare è dotato di un potente sistema di raffreddamento a liquido. Ma esso può fallire, come è avvenuto in vari casi (Garigliano 1971, Three Miles Island 1978, Cernobyl 1986). E allora la temperatura del nucleo del reattore può salire a milioni di gradi (fusione del nocciolo).
Nel caso di surriscaldamento, c’è da sperare che le sicurezze riescano a limitare i danni per un certo tempo. Le sicurezze sono tre. La prima è il rivestimento delle barre di uranio (il nocciolo), fatto per impedire che il materiale radiattivo si disperda nel refrigerante. Ma questo rivestimento di metallo non regge a temperature più alte di qualche migliaio di gradi. La seconda sicurezza è quella del vessel, il contenitore di tutte le barre d’uranio assieme al liquido refrigerante (acqua); è costituito anche esso di metallo, un acciaio veramente speciale; che però anche esso non può resistere a temperature superiori di migliaia di gradi. Infine c’è il contenitore globale del reattore: una palla di acciaio per il reattore del Garigliano, un edificio rettangolare per altre centrali nucleari, lo scafo del sottomarino nel caso in esame. Ma se il nocciolo arriva a temperature di milioni di gradi, allora tutto, pietre comprese, fonde ed evapora; il fungo atomico è formato essenzialmente dai gas di vaporizzazione dei materiali più vicini al punto zero della fusione.
Che cosa può accadere?
Nel caso di un sommergibile nucleare, una volta fuso lo scafo del sottomarino, si avrebbe un vero e proprio maremoto, per esplosione gassosa dell’acqua marina attorno al nocciolo incandescente. Prevedere le conseguenze di tale apocalittico evento è molto difficile; minima conseguenza è un’ondata enorme sulla costa, oltre che l’inquinamento (per centinaia di anni) del Mediterraneo a causa dell’enorme quantità di materiali radioattivi rilasciati nell’acqua; oltre al getto in aria di una nube di vapore d’acqua radioattiva che ricadrà a terra per decine di km, in direzioni che dipendono dai venti del momento. È ben comprensibile che le compagnie di assicurazione (Lloyd compreso) si rifiutino di assicurare le centrali nucleari, anche civili. Sono gli Stati che si sono consorziati per affrontare al meglio un’evenienza del genere. Ma nel caso di un reattore militare è chiaro che non valgono questi accordi civili. E il caso dell’incidente del Cermis ci dice che la servitù militare italiana contempla solamente un indennizzo alla popolazione colpita, a giudizio della potenza militare che ha causato il danno, la quale non accerta più di tanto le responsabilità penali dei singoli colpevoli del disastro.
Ma in caso di incidente che cosa si prevede per Gaeta? Un “piano operativo della Marina Militare Italiana, secondo il quale, in caso di incidente a unità navale con fuoriuscita o pericolo di fuoriuscita di sostanze radioattive, l’allontanamento dell’unità sinistrata, quale misura protettiva per la popolazione, deve avvenire con una velocità di allontanamento non inferiore a tre nodi entro un’ora dal rilevamento o dalla comunicazione dell’incidente da parte del comando di bordo… A tale scopo è assicurata la presenza, presso la base, di mezzi navali militari appartenenti alla nazione straniera, idonei a soddisfare questa esigenza”. Quindi il piano operativo, benché venga dichiarato “della Marina Militare Italiana”, è in effetti affidato ai “mezzi navali militari appartenenti alla nazione straniera”; la MMI in realtà sta a guardare che cosa succede.
Questo, poi, è il quadro ipotizzato: “È possibile, seppur con probabilità molto bassa, che sull’unità ormeggiata in rada nel punto di fonda previsto si abbia un incidente nucleare ovvero un’avaria che comporti fuoriuscita di sostanze radioattive allo stato aeriforme, ovvero un qualsiasi altro evento che possa evolvere in inci dente nucleare. Il massimo incidente ipotizzato dal CAMEN (ora CISAM, ente militare sito vicino Pisa) nel 1979 e riconfermato attualmente dallo Stato Maggiore della Marina può dare luogo alla diffusione di una nube radioattiva che contamina l’atmosfera e le superfici con le quali viene a contatto”. Anche nel caso più sfavorevole previsto, sempre secondo il piano, “le misure cautelative e il raggiungimento di una distanza di sicurezza dalle coste pari, per la potenza di 130 MW, a circa 10 km, assicurano la protezione delle popolazioni; la contaminazione del suolo sarebbe, invece, sempre rilevante fino a distanze notevoli”. Viene da domandarsi: dove è la realtà e dov’è il sogno?
Effetti apocalittici
Nel punto 4 il piano afferma di voler “tener conto del caso più sfavorevole previsto”. Al punto 1 informa sul “massimo incidente ipotizzato”. Quindi scorrettamente si danno nomi differenti a ciò che in un piano di emergenza di poche pagine deve essere la stessa cosa; altrimenti, se si cambiano i termini di riferimento, a livello operativo può nascere una babele. Andando alla sostanza, il documento dice che l’incidente “può dare luogo a una nube radioattiva”. Solamente? Per loro bontà, è riportata la “Definizione dell’incidente” data dal CAMEN.
Qui si dice che gli effetti dell’incidente sono stati valutati mediante il metodo del “massimo incidente credibile (MIC)”. Notiamo che si usa una terza dizione per lo stesso fenomeno. Ci si spiega che “Per questo tipo di impianto [il PWR dei reattori dei sommergibili] si è ritenuto che il massimo incidente credibile sia costituito dalle perdite del refrigerante primario con conseguente fusione del nocciolo e fuoriuscita dei prodotti di fissione”. Finalmente qui viene detta una cosa oggettivamente chiara: l’incidente di riferimento viene descritto così come dice tutta la letteratura internazionale sull’argomento. A causa della perdita, o altra causa di eliminazione del refrigerante, avviene la fusione del nocciolo; la quale, se prosegue indisturbata, non si arresta che con lo smaltimento di una potenza che all’inizio è del 7% della potenza massima: cioè con effetti apocalittici.
Il piano di emergenza di Gaeta (come quello per i sottomarini nucleari nel golfo di Taranto e quello per le centrali nucleari civili del Garigliano e di Caorso) gioca sulle parole. Rispetto all’ipotesi di incidente massimo “ipotizzabile”, la parola utilizzata in USA anche nel famoso rapporto Rassmussen degli anni ‘80, in Italia si è creata una nuova parola: ipotesi di “massimo incidente credibile” e si è coniato la sigla corrispondente “MIC”. E poi lo si chiama in altre due maniere per favorire una comprensione solo approssimativa della realtà da descrivere. Ma nella scienza non si può parlare di “credibile”, perché nella scienza non esistono “credenze”. Quindi usando questa parola (“credibile”) il rapporto del CAMEN ammette implicitamente di non riferirsi più a dei dati scientifici. Il problema è come tenere buona la popolazione. E questo ha sacrificato la scienza e la verità.
Di fatto, il rapporto si ritaglia un’ipotesi tecnologica di tutto comodo: la fusione del nocciolo del reattore nucleare, senza che ci sia fuoriuscita di sostanze radioattive, se non per la incontinenza parziale della terza protezione (oltre quelle del rivestimento delle barre di combustibile e del pentolone o vessel), in questo caso lo scafo intero del sommergibile nucleare. Il rivestimento esterno può avere qualche crepa e allora un po’ di gas potrebbe sfuggire all’esterno. Ma questo può avvenire solo in una primissima fase della fusione del nocciolo e non rappresenta affatto lo “incidente massimo ipotizzabile”, casomai quello quasi minimo.
Come gli altri piani per le centrali civili, questi piani di emergenza dovevano essere revisionati dopo Cernobyl. Ma si è aspettato a lungo. Alla fine del 2001 il gioco di parole (“ipotesi credibile”) è stato ripetuto senza modifiche. D’altronde le autorità non avevano vie d’uscita: o rifiutare questi reattori nucleari su tutto il territorio nazionale dicendo “No” anche agli USA, o subire le conseguenze di un eventuale incidente con uno straccio di piano di emergenza scritto per nascondere la realtà.